Sapeva che il suo bisnipote, l'erede designato, aveva solo cinque anni, proprio come lui quando suo padre era morto ed era diventato il quarantaquattresimo re di quella nazione che aveva reso la più splendida del mondo. Gli venne da sorridere al pensiero di quel bambino che stava per iniziare la sua stessa avventura, da piangere per quello che lo aspettava e da pregare per il suo bene.
Luigi il Grande, XIV del suo nome, Re Sole sovrano della Francia ripensò a quando suo padre era morto molto tempo prima, o almeno al poco che riusciva a ricordare di quel periodo. Aveva appena cinque anni quando il tredicesimo Luigi era morto lasciando alla sua regina e al cardinale Mazzarino l'onore di una lunga reggenza fino alla sua maggiore età.
Luigi crebbe così al sicuro, con la sua amata madre ad insegnargli tutto quello che era necessario per essere il capo del propio popolo. Già da bambino sapeva che aveva pochissime persone di cui fidarsi, tra cui suo fratello Filippo... caro Filippo. Se solo fossero rimasti solo fratelli. Almeno era il sangue di entrambi a scorrere nelle vene del futuro re.
Il re sperò che il nuovo Luigi fosse forte come aveva dovuto esserlo lui. Sin da bambino era quasi annegato, malato, punzecchiato ed aveva già ricevuto l'estrema unzione diverse volte, decenni prima di quella sera di settembre. Eppure aveva resistito, poiché sapeva di essere la Francia e come lui, durante il suo regno, la Francia era sopravvissuta e aveva sconfitto i suoi nemici diventando più grande che mai.
Di tutte le opere di cui era fiero, la sconfitta della Fronda era quella che lo rassicurava di più per il futuro, con difficoltà era riuscito a far tramontare i privilegi degli aristocratici e a far sì che il merito e il talento fossero i caratteri dei capi dello Stato invece dei meriti degli avi e il denaro nei forzieri. Aveva preso questa decisione dopo aver visto, con i suoi occhi, la miseria che regnava a Parigi e tra i suoi abitanti. Aveva cacciato i protestanti dalla sua terra e i Tedeschi non erano riusciti a piegarlo, nemmeno quei voltagabbana degli Inglesi. Quanto lo avevano tormentato quei pirati.
Eppure aveva vinto, sia contro gli stranieri che contro i traditori e aveva ribadito che il re è il vertice del popolo, il suo rappresentante, il responsabile delle sue azioni, il solo in grado di garantire ordine e prosperità. Luigi era diventato dunque il Sole, unico astro per i Francesi non più costretti a seguire ogni singolo barone e i suoi ricatti. Ma erano ancora potenti e sarebbero rimasti pericolosi se non avessero capito. Doveva allontanarli dalla capitale, bisognava liberare Parigi. Ma come?
Il giovane Luigi si era allora ricordato di Pierre, quel giardiniere sempliciotto ma gentile che salvava sempre la regina madre, il re bambino e suo fratello dalle vespe che tanto spaventavano il piccolo Filippo.
"Un bicchiere di vino, per noi è di pessima qualità, ma per loro ha un odore dolce e buono. Lo mettiamo qui e, senza costringerle e cacciarle, loro andranno nella coppa e saranno talmente ubriache che non ronzeranno più intorno a Vostra Maestà!"
Così Luigi XIV decise di farsi costruire una reggia grandiosa, come non si erano mai viste. Un palazzo degno del suo imperiale antenato Carlo Magno e dei suoi predecessori Augusti.
La fece realizzare fuori da Parigi, circa mezza giornata a cavallo, ci vollero anni ma alla fine il Re Sole ebbe il suo Olimpo su cui ora stava angosciando il mondo. Probabilmente molti si aspettavano di vederlo guarire miracolosamente come quando a trent'anni era quasi morto per dell'acqua contaminata.
Non quel giorno purtroppo.
Era fiero di quel castello ricco di fontane in cui aveva attirato quelle vespe degli aristocratici, aprendo il cantiere e il castello alle visite di tutti i nobili e i cittadini comuni. Tutti i servi, i soldati, i nobili, gli stranieri e i monarchi dovevano sapere che la Francia aveva un grande re, che Luigi era la Francia.
"Lo Stato sono io!" disse ancora. Nessuno poteva dargli torto.
Aveva fatto sì che il re fosse davvero il centro del potere, Parigi era al sicuro perché i nobili e la corte vivevano relegati in una prigione d'oro fuori dalla capitale.
Era per la Francia, aveva fatto tutto sempre e solo per la Francia.
Voleva renderla più bella e lo aveva fatto. Perché non avrebbe dovuto visto che poteva?
"Chi ha il potere di rendere tutto più bello deve sempre farlo- gli aveva detto qualcuno- e se non lo fa il re, chi lo può fare?"
Un dolore alla pancia, Luigi si destò.
Non stava soffrendo, era solo stanco. Aveva detto chiaramente che voleva essere salutato con il rito cattolico e aveva già confessato. Non aveva avuto la forza di essere povero e umile, ma aveva fatto esattamente ciò per cui era nato, ciò per cui Dio lo aveva fatto re di Francia.
Intorno a lui piangevano: parenti, amici, membri della corte. Tutte persone protagoniste di quel mondo barocco di giardini, fontane, titoli, arte e progresso che aveva creato e reso bellissimo. Sembravano convinti che, se fosse morto davvero, il mondo sarebbe piombato nel buio e nella rovina più totale. Come se, dopo di lui, sarebbe venuto il Diluvio.
Gli fecero pena. Non avevano capito cos'era necessario fare per salvare il mondo dalle epoche più oscure.
Magari Dio lo avrebbe fatto capire al nuovo Luigi, poteva solo sperarlo. Ma quel pianto, quelle smorfie lo avevano stancato.
"Ma perché piangete? Cosa credevate? Che i re fossero immortali?"
Non lo disse con cattiveria ma con dolcezza, come un padre che spiega ai figli che dopo la notte sorge sempre una nuova alba.
Era un uomo forte, anche dopo più di settant'anni da re non abbandonava il suo ruolo di mecenate e padre di ogni Francese. Diede le sue ultime disposizioni con calma, augurò una buonanotte a tutti e fece dire al piccolo Luigi XV di non divertirsi troppo e di far sempre vedere a tutti com'era bella la sua Versailles.
Questo Sole è tramontato Lettor, aspettiamo che ne sorga un altro.