venerdì 30 marzo 2018

Il giorno del sacrificio

Il Colle del Teschio, lo chiamano così perché ha una forma perfettamente tonda come un cranio. Se sei un ladro e un assassino è lì che ti portano i Romani per ucciderti nel modo più orribile che si possa immaginare.
Ci sono stato molte volte per vedere degli uomini morire appesi a quei pali, inchiodati e dissanguati e onestamente non pensavo che un giorno sarei stato al loro posto. Oggi tocca anche a me essere crocifisso.
Io non ho più un nome, si è perso insieme alla mia innocenza. Posso dire che non avevo intenzione di fare ciò che ho fatto, ma non avevo scelta... o almeno così credevo.
Una volta ero un fornaio, vivevo a Gerusalemme e avevo una bella vita: lavoravo onestamente, vivevo bene, salivo regolarmente al Tempio e anche con i Romani non avevo problemi. Poi i miei fornitori hanno perso la terra, così io ho perso la mia attività. Mi sono rivolto ad un pubblicano per avere dei soldi in prestito e trovare nuovi fornitori con cui salvare il mio forno, ma gli interessi erano così esorbitanti che ripagare il debito era impossibile.
Prima di perdere la mia casa presi una decisione estrema; una notte mi introdussi nella dimora di un uomo ricco, uno del Sinedrio, una volta gli portavo il pane in casa e sapevo dove si trovava un armadio dove quell'uomo teneva un forziere con del denaro. Entrai nella stanza con la sola luce della luna dalla finestra che avevo scassinato, con un coltello forzai l'armadio cercando di non fare alcun rumore. Era lì, alla portata della mia mano, un piccolo scrigno che conteneva la soluzione a tutti i miei problemi. Lo presi ma subito dopo sentii un forte dolore alla schiena, mi voltai e vidi il padrone di casa che mi colpiva con un bastone. Si gettò contro di me e io, non so perché, non so come, ma alzai il braccio e il mio coltello si conficcò proprio in mezzo al suo petto. Sua moglie e i suoi bambini mi fissavano terrorizzati, lei aveva una lampada ad olio la cui luce mostrava il marito e padre che avevo appena ucciso e lo scrigno caduto a terra, rotto e vuoto.
Non ho opposto resistenza, sono stato condannato a morte dai Romani per crocifissione, perché qui è così che deve morire un ladro e un assassino.
Lo merito? Certo che lo merito e quando sarò al cospetto di Dio allora sì che riceverò la giusta condanna... è lì che sto andando. Ma non capivo perché ci stesse andando anche lui.
Quelli del Sinedrio lo avevano condannato a morte la notte prima e lo avevano portato dal procuratore Pilato per farlo giustiziare, lui lo ha fatto bastonare come si fa a chi crea qualche disordine o contraddice le autorità pubbliche, perché è questo quello che ha commesso e nulla di più. Io l'ho visto al Tempio, quando ha cacciato via i cambiavalute e i mercanti che avevano trasformato quel luogo di preghiera in un mercato, proprio quello in cui avevo perso tutto. 
Persino Pilato non lo voleva condannare, ma non ha avuto scelta a causa del Sinodo e della folla che li accompagnava quando hanno chiesto che venisse messo in libertà un assassino di nome Barabba invece di quel Gesù di Nazaret. Lo chiamavano il Re dei Giudei, ma il Sinedrio ha detto che i Giudei non hanno altro re se non Cesare e hanno costretto Pilato a mandarlo a morire.
Ecco, eravamo sul colle. Quanto era pesante quella trave, l'avevo portata per tutta la città, ma adesso che me l'ero tolta dalle spalle pesava più che mai. Davanti a noi c'erano tre altissimi pali piantanti nel terreno, con dei ganci su di essi e dei soldati romani si aggiravano lì intorno con scale, sacchi e dei cartelli di legno. Davanti a me uno di loro portava un cartello su cui era scritta una parola, l'unica che conoscevo della lingua dei Romani: Raptor. Ladrone.
È questo che sono: un ladro e un assassino. Uno dei soldati appoggiò la scala sul palo al centro e si arrampicò per preparare le corde con cui sollevare la trave e appese il cartello. Era quello a cui sarebbe stato inchiodato lui, ma c'era scritto qualcosa di strano. Era un messaggio nella lingua dei Romani, dei Greci e anche nella mia: il procuratore Pilato aveva fatto scrivere "Gesù di Nazaret, il Re dei Giudei."
Quanto avrei voluto vedere quel Regno di cui parlava e in cui sarebbe andato.
Uno dei soldati mi porse una borraccia, era una miscela di diverse bevande alcoliche. In fondo non erano così crudeli. È più facile affrontarlo da ubriachi.
Dopo aver bevuto mi sentii barcollare e mi sdraiai stendendo le braccia sul palo. Mi legarono i polsi e uno dei soldati prese un sacchetto da cui estrasse i più grandi e terribili chiodi che avessi mai visto. Mi piantarono  un chiodo al polso sinistro e mi colpirono con tre forti martellate, ogni volta sentivo come una folgore che mi attraversava il braccio, il corpo e gli occhi. Anche il chiodo al polso destro fu una serie di dolori fulminanti. Mi sentii trascinare indietro e fui issato sul palo. La mia trave venne agganciata all'asta e io appoggia i piedi ad un piedistallo posto sotto di me. I soldati mi incrociarono i piedi e vi piantarono un altro chiodo. Quello fu il dolore più grande perché ci volle molto più tempo e molte più martellate per conficcare quel pezzo di metallo nella carne, nelle mie ossa spezzate e nel solido legno.

Piansi, non so per quanto ma piansi. Quando riaprii gli occhi vidi una grande folla radunata intorno al Calvario, guardavano l'uomo che era stato crocifisso accanto a me. Mi voltai alla mia sinistra e lo vidi, con una corona di spine e tante ferite precedenti alla condanna.
Ma perché gli avevano fatto tutto questo? Perché accanirsi così su un uomo che non aveva fatto nulla tranne predicare la nascita di un nuovo mondo migliore?
C'era un altro uomo crocifisso vicino a lui, un altro ladro come me. 
I soldati sotto le croci si dividevano i vestiti di quel Gesù e si giocavano ai dadi la sua bella tunica. Lui prese un profondo respiro e gridò: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno!"
Dicevano che era il Figlio di Dio e lo pregava non per essere salvato ma per perdonare i suoi assassini. C'erano saggi, scribi e farisei, il vertice della nostra società che ridevano di lui e lo insultavano e lui pregava per loro. Ma perché ucciderlo? Perché fargli subire la morte peggiore che si possa sopportare?
"Non sei tu il Messia?- iniziò a dire l'altro condannato- Se sei tu il Figlio di Dio allora salva te stesso e noi!"
"Stai zitto..." mormorai.
"Salva te stesso e noi!"
"STAI ZITTO!" 
Mi fissarono tutti, ma io guardavo solo gli altri crocifissi.
"Neanche ora hai timore di Dio?- dissi- Noi stiamo subendo questo supplizio perché lo abbiamo meritato. Ma lui non ha fatto niente!"
Presi un profondo respiro e urlai al mondo intero: "Lui non ha fatto niente per meritare di morire così!"
Nessuno rideva più ormai. Io piangevo e mi sentivo sempre più debole. Ripensai a colui che avevo ucciso, al motivo per cui era accaduto. Tutto perduto per la crudeltà di questo mondo. Possibile che non esistesse nulla di migliore?
"Gesù- dissi- Gesù... ti prego... ricordati di me... quando entrerai nel tuo Regno."
Se fosse tornato al cospetto di Dio, almeno avrebbe ricordato il mio pentimento per sempre e avrebbe saputo quanto mi dispiaceva per il male che avevo fatto.
Lui si voltò verso di me e mormorò: "In verità... in verità io ti dico... oggi tu sarai con me... in Paradiso!"
Sentii come un formicolio sulla mia testa e il dolore alle mie membra che si alleviava. 
Lui urlò improvvisamente: Elì, Elì, lamà sabactani.
Cosa voleva dire? Sentii qualcuno che diceva che chiamava Elia. Un uomo vicino alla croce corresse subito quell'errore e disse che in realtà diceva: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Era uno dei Salmi.
All'improvviso il cielo si oscurò e la terra iniziò a tremare.
Lui disse: "Tutto è compiuto... Padre, nelle tue mani ripongo... tutto il mio spirito..."
Poi lanciò un grande grido e spirò.
Ecco come vidi morire Gesù di Nazaret. Era stato crocifisso solo da sei ore, di solito ci volevano anche giorni, ma lui era morto molto in fretta, mentre la città di Gerusalemme soffriva e tremava.
Ad un certo punto sentii l'altro ladrone urlare, poi un dolore lancianante e improvviso salì dalle mie gambe, più veloce del suono delle ossa che si spezzavano. Un Romano mi aveva rotto le gambe con una clava. In fondo non erano così crudeli; sapevano che senza il sostegno delle gambe non avrei respirato per molto. Fu come addormentarmi dopo la giornata più faticosa della mia vita. Meritavo di morire per quello che avevo fatto, ma Gesù aveva promesso che si sarebbe ricordato di me.
Riaprii gli occhi e vidi che ero sdraiato in un posto incredibile: sembrava il Tempio ma era più grande, più pulito e magnifico, brillava di luce propria.
Vidi l'uomo che avevo ucciso, era lì in piedi, sano con vesti splendide simili a quelle che indossavo io e mi tendeva la mano sorridendo. Mi aiutò ad alzarmi e mi indicò un uomo accanto a me. Era Gesù che mi sorrideva.
"Per questo sono venuto nel mondo" disse prima di farmi entrare nel Regno, salvo, finalmente.