domenica 10 dicembre 2017

L'energia del vapore nell'Impero Romano

Erone di Alessandria, è uno di quei nomi che dovrebbero venire in mente quando si pensa alla parola genio.
Non si sa esattamente quando è nato, senza dubbio è stato durante il I secolo d.C. Di origine greca insegnò materie tecniche presso il Museo di Alessandria, all'epoca uno dei luoghi di sapere e insegnamento più prestigiosi del mondo. 
Un tipo che sapeva di cosa parlava quindi.
Erone era un attento studioso di Archimede e di Euclide da cui trasse notevole ispirazione. Egli stesso fu autore di diversi trattati sulla matematica, la geometria e la meccanica in cui illustrava dei brillanti metodi di misurazione. Qui sotto la "formula di Erone", necessaria per determinare l'area di un triangolo in funzione dei suoi lati.
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Ha lasciato anche delle descrizioni molto dettagliate e sbalorditive sulla costruzione di macchine da guerra, su come misurare la distanza tra Roma e Alessandria basandosi sulle ore locali in cui è stata osservata un'eclissi lunare e anche sulla costruzione di automi. Sì, esatto: macchine autonome che Erone aveva ideato per eseguire, senza partecipazione umana, uno spettacolo di dieci minuti circa.
Ma l'invenzione che avrebbe fatto passare Erone alla storia è la sfera di Eolo (Eolipila).
Si tratta di una sfera di rame in cui viene fatta bollire dell'acqua che evapora uscendo da due tubicini a forma di L sulla sfera, uno dei quali si può svitare per ricaricare l'acqua. Il vapore genera il movimento della sfera (circa diciotto secoli prima della Rivoluzione Industriale). Erone dimostra così una grande capacità di comprensione dell'energia termica e l'intelletto necessario per concepire macchine autonome. 
Ma allora perché quella rivoluzione non è iniziata ai suoi tempi, quando l'Impero Romano aveva messo in contatto così tanti popoli e promuoveva già un enorme progresso in diversi campi?
Forse l'Umanità di allora non aveva ancora bisogno del genio di Erone che somiglia molto a quello di Leonardo Da Vinci, magari non era ancora tempo per i treni a vapore con a bordo un Cesare.
Gli scritti di Erone furono purtroppo a rischio di smarrimento durante il caos che fu la fine dell'Impero Romano, ma molte delle sue opere furono riprese e diffuse dai Califfati arabi del Medioevo e tornarono in Europa attraverso l'Impero Romano d'Oriente, le Repubbliche Marinare e il Rinascimento.
Qui segue una lista delle opere di Erone e del suo genio di cui si potrebbe parlare per diciotto secoli.

  • Metrica, descrizione di tecniche per calcolare superfici e volumi di differenti oggetti, in cui sono presenti dimostrazioni con esempi numerici.
  • Definizioni.
  • Sulla dioptra, raccolta di metodi per misurare lunghezze; in questo lavoro viene descritto l'odometro, come pure un apparato che assomiglia ad un teodolite.
  • Baroulkos, sulla costruzione di una macchina per il trasporto dei pesi.
  • Catoptrica, propagazione della luce e sua riflessione, uso degli specchi.
  • Mechanica, manuale in tre libri destinato agli architetti e agli ingegneri, contiene strumenti per sollevare oggetti pesanti. Nel primo libro vengono esposti i teoremi sulla gravità di Archimede; nel secondo è un trattato sui vantaggi delle macchine semplici e delle loro combinazioni; nel terzo si tratta di applicazioni pratiche dei concetti degli altri due libri.
  • Belopoeica, descrizione di macchine da guerra.
  • Pneumatica, descrizione di macchine funzionanti a pressione (ad aria, acqua o vapore), incluso l'hydraulis, l'organo ad acqua.
  • Automata, descrizione di macchine in grado di creare effetti nei templi per mezzi meccanici o pneumatici (apertura o chiusura automatica delle porte, statue che versano vino, ecc.).

Esistono dei testi che vengono attribuiti ad Erone, ma che potrebbero essere opera di altri autori:

  • Geometria, raccolta di equazioni basate sul primo capitolo della Metrica.
  • Stereometrica, esempi di calcoli tridimensionali basati sul secondo capitolo della Metrica.
  • Mensurae, strumenti che possono essere usati per misure, basati sulla Stereometrica e la Metrica.
  • Cheirobalistra, sulle catapulte
  • Definitiones, raccolta di definizioni di geometria.


Il vero pollice verso

Quante volte abbiamo visto al cinema un Imperatore Romano mostrare il pollice alzato o abbassato per decidere se un gladiatore doveva vivere o morire? Quante volte lo abbiamo fatto noi stessi: pollice in alto per il successo, pollice in basso per il fallimento.
Eppure se facessimo questi gesti ad un antico Romano questi ci risponderebbe: "Ma che fate?"
In realtà il pollice puntato verso l'alto non decretava la salvezza di un gladiatore, è probabile che invece significasse la sua morte (cosa decisa molto raramente).
Il pollice, in questo caso, rappresenta infatti una spada sguainata, il pollice nel pugno chiuso invece è la spada infilata nel fodero e garantisce la grazia. Bisogna dire che le fonti sono discordanti e piuttosto scarse ma sufficienti a dire che il pollice premuto sul palmo era il segno della salvezza e della grazia che un gladiatore poteva ricevere.
Ma da dove nasce l'equivoco?
Da questo quadro: Pollice Verso, del pittore Jean- Léon Gérôme del 1872. Nel dipinto si vedono delle vergini vestali che rivolgono il pollice in basso per ordinare ad un mirmillone di uccidere l'avversario sconfitto. Questo dipinto fu un mezzo di diffusione dell'errore di interpretazione del gesto conosciuto come "pollice verso". Il cinema ha poi fatto il resto rendendo il pollice alzato e il pollice abbassato una tradizione dei nostri tempi attribuendole un valore antico ma non originale.



sabato 25 novembre 2017

I 7 re più uno di Roma

2770 anni. Così tanto è antica la città di Roma e da così  tanto tempo essa ospita e produce leggende e grandi uomini. Tutto cominciò con i primi sovrani di quella città, i Sette Re più uno.

Le sue origini sono così antiche da farci conoscere il mito come storia, ma indubbiamente il popolo romano si è sviluppato nel solo modo possibile in cui una civiltà può nascere e prosperare: con un re. 

Gli autori antichi ci riportano la storia di alcuni uomini, non tutti appartenenti al popolo romano, che guidarono Roma nel primo secolo della sua esistenza prima della fondazione della Repubblica. Come ogni storia, si comincia dal principio, con il primo re.


ROMOLO

 

Secondo il mito era figlio del dio Marte, signore della guerra ma anche dei confini e della prosperità. Sua madre, Rea Silvia, apparteneva alla famiglia reale della potente città di Alba Longa che Virgilio definisce discendenti di Enea e degli ultimi Troiani. Dopo aver liberato la sua patria da un usurpatore Romolo decise di fondare una nuova città intorno al colle Palatino, dove, secondo la leggenda, una lupa lo aveva salvato e protetto, per questo entrò in conflitto con suo fratello Remo che voleva fondarla intorno all’Aventino. Il mito descrive Romolo mentre fonda la città secondo il rito degli Etruschi, antico e misterioso popolo della Toscana. Il principe tracciò i solchi delle quattro strade principali della città (verso nord, sud, est e ovest), e un solco che delimitava le mura, il pomerio. Fatto ciò Romolo consacrò il pomerio e il suolo in cui costruire la città, in seguito il fondatore si riunì con i sacerdoti a cui comunicò il vero nome della città, sacro e da tenere  segreto, e un nome ufficiale con cui essa si sarebbe presentata a tutto il mondo: Roma.

Il vero nome della Città Eterna è ancora oggi un mistero, un segreto per cui in passato molti sono morti.

Era il 21 aprile del 753 a.C. quando avvenne questa consacrazione e Remo, fratello di Romolo, attraversò il pomerio armato commettendo un sacrilegio che rese necessaria la sua uccisione. Secondo altre versioni della leggenda Remo non sarebbe stato ucciso ma costretto alla fuga in Gallia dove avrebbe fondato la città di Reims. 

Fu così che Romolo divenne il primo re di una città disabitata in cui diede asilo a schiavi fuggiti, banditi e vari reietti ottenendo così gli uomini, ma mancavano le donne. Per dare inizio ad un nuovo popolo Romolo decise di far rapire le donne dei Sabini di Cures. Ovviamente i Sabini reagirono e dichiararono guerra alla nuova città guidati dal loro re Tito Tazio. Ironia della sorte furono proprio le donne a porre fine alla guerra mettendosi tra gli uomini e promettendo che avrebbero amato i loro sposi in cambio di: onore di stare sempre alla destra, essere sempre protette dai mascalzoni, avere sempre la strada libera e il primo passaggio per le porte e il dominio della casa di famiglia. Romolo accettò e nacque la galanteria.

I Sabini cessarono la guerra e si unirono ai Romani stabilendosi sul colle Quirinale portando la loro cultura ad arricchire la città. Elemento importante per la pace fu che Romolo iniziò a condividere il trono con Tito Tazio.

Nelle antiche civiltà mediterranee la diacria (governo di due) era molto diffusa, un esempio di quell’epoca era Sparta governata da due famiglie reali.

Dopo la morte di Tito Tazio i Sabini del Quirinale, ormai perfettamente fusi con il popolo romano, accettarono che Romolo conservasse da solo il trono ed egli regnò per quarant’anni, durante i quali conquistò diverse città del Lazio, espanse i territori di Roma e organizzò il suo popolo costituendo il Senato, le tribù e l’esercito.

La tradizione dice che il primo re di Roma scomparve, prelevato dal suo divino padre Marte che lo rese immortale. I Romani lo divinizzarono e lo chiamarono Quirino, il dio dei Romani.


TITO TAZIO 


Tito Tazio era il re dei Sabini di Cures, una città molto potente e ricca da cui i Romani rapirono le donne per dare inizio alla loro città; ovviamente re Tito Tazio iniziò una guerra ma si concluse e i due popoli si unirono come i loro re. Così  egli fu re con Romolo per cinque anni prima di venire ucciso in un agguato dai Laurenzi (quadro a destra), abitanti di Laurentum. Alcuni parenti di Tito Tazio maltrattarono e aggredirono degli ambasciatori laurenzi e il re rifiutò di fare giustizia, per questo motivo venne aggredito e ucciso dai parenti delle vittime. Forse fu per questo motivo che oggi non è annoverato tra i re di Roma: Tito Tazio non fece il suo dovere di sovrano e pagò con la vita.



INTERREGNO


Dopo la scomparsa di Romolo i Romani dovettero eleggere un nuovo re, perché la carica non era ereditaria: il cittadino più illustre era scelto dal suo predecessore oppure eletto dal Senato al titolo di rex ma per un anno intero questo non avvenne. Il motivo era che la popolazione (come il Senato) era diviso in Sabini e Romani autoctoni e ognuno voleva un re che appartenesse alla propria gente. Durante questo periodo la città veniva governata da un magistrato detto interrex eletto dal Senato e in carica per cinque giorni. Passato un anno però la situazione divenne insostenibile e i senatori decisero di provare qualcosa di nuovo: i Romani avrebbero proposto il nome di un Sabino e i Sabini il nome di un Romano, il più meritevole dei due sarebbe diventato il nuovo re di Roma.

I Romani proposero Numa Pompilio, un abitante di Cures che fu la salvezza del regno, immediatamente approvato anche dai Sabini. 


NUMA POMPILIO


Di origine Sabina, aveva già passato i quarant’anni quando gli venne detto che era diventato re. Viveva a Cures dov’era conosciuto come un uomo saggio, così esperto dei testi sacri e rispettabile da essere definito pius. Suo suocero era stato il re Tito Tazio in persona e anche i Romani conoscevano la sua ottima reputazione. 

All’inizio Numa Pompilio rifiutò l’offerta perché aveva paura dei Romani e della loro reputazione di uomini pericolosi e violenti, ma in seguito accettò e divenne re. Era il 715 a.C. e il suo regno durò quarantatré anni durante i quali i Romani non combatterono nemmeno una guerra.  

Numa Pompilio fu il primo Pontefice Massimo e istituì molti degli uffici religiosi di Roma, tra cui le Vestali, gli Auguri e i Flamini che gestivano i culti di Giove, Marte e Quirino. 

Secondo la leggenda re Numa fu aiutato dalla saggia ninfa Egeria (dipinto accanto) a realizzare queste e altre riforme che consolidarono le istituzioni della città e prepararono i Romani ad essere gli esportatori di una cultura ricca e complessa. 

Morì di vecchiaia, ottantenne, circondato dai Romani e da rappresentanti di molti popoli vicini, grati per l’epoca di pace e progresso che il suo regno aveva dato. Fu seppellito sul Gianicolo e molti Romani sperarono di essere paragonati a lui, ma era molto difficile eguagliare un uomo che costruì un grande regno senza mai impugnare una spada. 


TULLO OSTILIO


Il successore di Numa Pompilio era originario di Roma, anzi il nonno di Tullo Ostilio, Osto Ostilio, era stato uno dei generali di Romolo nella guerra contro i Sabini e fu un grande conquistatore del Lazio. 

Se il regno di Numa Pompilio era stato estremamente pacifico, quello di Tullo Ostilio fu segnato da una lunga serie di guerre contro le città vicine tra cui Alba Longa, la potente città da cui proveniva Romolo stesso. 

Tullo Ostilio regnò dal 673 al 641 a.C. e il suo primo atto fu dividere i territori appartenuti a Romolo (e quindi di proprietà del re) tra i nullatenenti di Roma ottenendo un grande appoggio popolare. 

Tullo Ostilio viene descritto come il padre della disciplina e dell’arte militare che avrebbero reso Roma invincibile e lo dimostrò subito assoggettando la potente Alba Longa e il popolo degli Albani (guerra descritta nella vicenda degli Orazi e dei Curiazi). Gli Albani in seguito si rifiutarono di aiutare Roma in un’altra guerra e, dopo la vittoria, re Tullo Ostilio ordinò la totale distruzione di Alba Longa per poi ampliare Roma con le ricchezze e gli abitanti della vecchia città. Stando alla leggenda il regno di Tullo Ostilio finì quando a Roma scoppiò un’epidemia di peste e il re venne colpito da un fulmine, come punizione per le sue eccessive guerre e il suo orgoglio.

 

ANCO MARZIO


L’ultimo re di origine sabina, nipote di Numa Pompilio, regnò dal 641 al 616 a.C.

Dopo aver ripristinato il legame tra il re e la classe sacerdotale (guastato dal suo bellicoso predecessore) condusse diverse guerre per difendere il proprio regno ed espanse i confini di Roma verso il sud Italia. Espanse molto la città con diverse opere urbanistiche che inglobarono Aventino, Celio e Gianicolo e fondò la colonia di Ostia grazie alla quale Roma ebbe un collegamento diretto al mare.

Morì di morte naturale, ma nessuno dei suoi due figli gli succedette, infatti il suo trono andò ad uno straniero che si era guadagnato la sua fiducia e che avrebbe aperto a Roma le porte di una nuova era: Tarquinio Prisco.


TARQUINIO PRISCO 


Lucio Tarquinio Prisco, il primo re della città di origine etrusca che regnò dal 616 al 579 a.C.

Era originario di Tarquinia, una città dell’Etruria (Toscana) e può essere considerato una metafora delle radici greche ed etrusche della civiltà romana. La tradizione e gli storici romani antichi raccontano che suo padre fosse Demarato, originario di Corinto in Grecia. Per questo motivo Tarquinio non era molto apprezzato nella sua città natale ed essendo figlio di un fuggitivo straniero era escluso dalle cariche pubbliche. Decise di emigrare a Roma dove i reietti e gli stranieri erano sempre i benvenuti per accrescere la gloria e la ricchezza della città; gli storici parlano anche della moglie di Tarquinio, Tanaquilla, famosa per essere una strega, indovina e abile lettrice di presagi, arte in cui gli Etruschi erano abilissimi.

Appena entrato a Roma, sul suo carro con la famiglia e gli averi, incontrò un’aquila che gli rubò il cappello per poi farglielo ricadere sulla testa. Tanaquilla disse che quello era un segno divino  che indicava Tarquinio come un uomo degno della grande città. Tarquinio era particolarmente intelligente, abile mercante e politico intelligente, lo storico Floro dice di lui che “riuniva in sé il genio greco e le qualità italiche.” 

Presto Tarquinio si guadagnò la fama e la grandezza che a Tarquinia gli era preclusa. Presto, anche grazie alle predicazioni di Tanaquilla, il re Anco Marzio decise di conoscerlo e lo fece suo consigliere; con il tempo Tarquinio Prisco divenne anche figlio adottivo del re e, alla sua morte, si fece eleggere rex.

Una volta re Tarquinio respinse un attacco dei Sabini per poi sottometterli insieme ai Latini, in seguito compì diverse campagne contro gli Etruschi e altri popoli dell’Italia settentrionale.

È molto importante ricordare che Tarquinio fu il primo a celebrare un trionfo nella città per poi avviare la costruzione del Circo Massimo e innalzare nuove mura.

Re Tarquinio Prisco venne ucciso da un figlio di Anco Marzio che sperava di conquistare il trono, ma fu ostacolato dai presagi e dagli intrighi di Tanaquilla.

Un Etrusco di nome Servio Tullio sposò una figlia di Tarquinio e si guadagnò la sua fiducia così come questi aveva fatto con Anco Marzio accedendo così al trono di Roma.


SERVIO TULLIO 


Il sesto re di Roma che regnò dal 578 al 539 a.C. Era di origini umilissime: sua madre era una prigioniera ridotta in schiavitù da re Tarquinio dopo la conquista della sua città Corniculum (Montecelio). Fu la regina Tanaquilla ad indovinare il suo grandioso futuro e a dargli in moglie la figlia sua e del re Tarquinio. Quando questi fu assassinato la regina mise in atto una congiura grazie alla quale Servio ascese al trono. All’inizio doveva essere una misura temporanea; Servio doveva conservare il trono solo temporaneamente in attesa di passarlo al primogenito di Tarquinio, ma così non fu. 

Una volta preso il potere Servio Tullio riformò l’esercito, aprendone i ranghi anche alle classi più basse della società romana, riformò la società  dando origine alla plebe, distinta dai patrizi che discendevano dai primi comandanti di Romolo. 

Re Servio Tullio ampliò il pomerio e costruì delle nuove mura (Mura Serviane) e un nuovo Foro per poi organizzare una federazione di popoli e città italiche con Roma al centro. 

Anche le sue conquiste militari furono notevoli specialmente verso nord, in Etruria (Toscana).

Alla fine il sesto re di Roma fu ucciso da Lucio Tarquinio, marito di sua figlia Tullia Minore. Il futuro re Tarquinio spinse re Servio Tullio giù dalle scale della Curia e fu finito dalla sua stessa figlia che gli passò sopra con un carro (quadro accanto).

Questo è il destino di chi si mette una corona in testa da solo: perderla tragicamente.


TARQUINIO IL SUPERBO 


L’ultimo dei re di Roma prima della fondazione della Repubblica Romana che regnò dal 535 al 509 a.C. apparteneva alla dinastia dei Tarquini in quanto figlio di re Tarquinio Prisco. Probabilmente in collera con re Servio Tullio che aveva usurpato il trono di Roma, organizzò una congiura per ucciderlo e conquistare Roma. Il suo primo atto fu di negare una degna sepoltura al re Servio Tullio; questo, insieme all’ascesa senza elezione gli fece guadagnare il soprannome di Superbo.

Re Tarquinio si dimostrò subito deciso a condurre un regno con il pugno di ferro, circondandosi di una guardia personale, abolì le riforme democratiche istituite dal suo predecessore e costruì qualcosa che, prima di allora, Roma non aveva mai conosciuto: la monarchia assoluta.

Tarquinio il Superbo sconfisse le ultime città latine che ancora si opponevano al dominio romano, in effetti fu tanto crudele con i suoi  sudditi quanto fu efficiente nel combattere i nemici. Per colpa sua iniziò una guerra centenaria tra i Romani e i Volsci (abitanti di Velletri, Azio e altre città nel centro Italia e del Lazio). Dopo le principali vittorie Tarquinio ebbe un bottino sufficiente per abbellire Roma con nuovi monumenti ed edifici tra cui il tempio di Giove Ottimo Massimo.

Ad un certo punto un nipote del re, Lucio Giunio Bruto (che si fingeva un imbecille) organizzò una congiura contro di lui. Mentre re Tarquinio era impegnato nella guerra con i Rutuli Bruto denunciò suo figlio Tarquinio Sestio che aveva violentato la moglie del nobile Lucio Tarquinio Collatino, portando la donna al suicidio. Insieme, Bruto e Collatino, convinsero plebe e patrizi a cacciare per sempre i Tarquini da Roma. Re Tarquinio il Superbo fu esiliato dalla città mentre Bruto e Collatino divennero i primi due consoli della neonata Repubblica Romana nell’anno 509 a.C. (nella foto accanto: Lucio Giunio Bruto, fondatore della Repubblica e avo dell’assassino di Cesare).

Re Tarquinio il Superbo si alleò con il lucumone Lars Porsenna, il re etrusco di Clusium (Chiusi) per riconquistare Roma, ma l’alleanza fallì e i Romani non ebbero più un re. Tarquinio il Superbo, “ottavo” e ultimo re di Roma morì in esilio a Cuma nel 495 a.C.

La Repubblica Romana continuò ad esistere finché non divenne incapace di reggersi senza un vero comandante e una salda autorità incarnata nel Princeps (l’Imperatore) nel 27 a.C., sicché, tra nascita della Repubblica e l’ascesa dell’Impero Romano è passato lo stesso periodo di tempo che separa noi dalla fine del Medioevo.


Lettor… pensa a quanto può succedere in così poco tempo.



martedì 31 ottobre 2017

Halloween, tra storie e rape

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Halloween, la Notte delle Streghe, la “serata del dolcetto o scherzetto”, delle zucche e dei costumi da mostri. Ormai è da molto tempo che questa festa ha fatto prepotentemente ingresso nei nostri calendari, eppure ancora non si riesce a comprendere esattamente cosa sia.

Il suo nome deriva dal termine “All Hallow’s Eve” (Notte di Tutti i Sacri), ma esistono moltissime ipotesi a questo proposito.

La festa di Halloween, per come la conosciamo oggi, è il risultato di un lungo processo di fusione, evoluzione e mutazione di diverse festività antiche. Essa è legata al mondo dell’occulto e della morte, infatti nero, viola e arancione sono i suoi colori più tipici, tutti associati piuttosto spesso con l’oscurità e l’Oltretomba. 

Questa festa permea il mondo anglosassone, ma non tutti sono concordi nel trovare in essa le sue radici, è possibile che anche il mondo latino abbia dato il suo contributo alla nascita di questa festività.


ORIGINI


Senza dubbio i Celti sono coloro che hanno tramandato il ceppo originale della moderna Halloween, specie attraverso la celebrazione di Samhain. Questa festa ha origine nelle isole britanniche presso i Gaeli, antenati degli Scotti e degli Irlandesi; il nome di questa festività significa “Fine dell’Estate”, certe volte è chiamata anche “Capodanno Celtico” e in gaelico  moderno indica il mese di Novembre.Lo Samhain si celebra tradizionalmente il 31 ottobre e il 1 novembre. La civiltà celtica ha una visione ciclica del tempo, basata sulle fasi lunari e sui tempi dell’agricoltura; la conclusione dei raccolti e la preparazione del terreno per l’inverno erano rispettivamente la fine e l’inizio del nuovo anno.

Essendo lo Samhain il giorno di mezzo a questi momenti, esso era esterno alla normale dimensione temporale e quindi il momento in cui il confine tra i mondi si spezzava permettendo che spiriti di altre dimensioni visitassero la realtà degli uomini, radunandosi intorno ai grandi falò che venivano accesi nei villaggi per la celebrazione. Anche in epoca cristiana questo era un periodo gioioso poiché permetteva ai vivi di mettersi in contatto con i loro cari defunti.

Alcuni studiosi hanno trovato delle festività tipiche della civiltà romana, prima tra tutte le Parentalia. Erano queste delle feste, o meglio un periodo di rituali, che a Roma venivano celebrati in maniera privata e intima, in cui ogni famiglia onorava i suoi parenti defunti. Questo periodo si svolgeva dal 13 al 21 febbraio, giorno dei Feralia, la festa dedicata ai morti divinizzati di tutte le famiglie romane (i Mani), con una grande celebrazione pubblica. Per certi versi era  molto simile alla festa di Ognissanti che Papa Gregorio VI fissò a novembre durante l’anno 840.

Altro elemento romano ricollegabile ad Halloween è il culto di Pomona, la dea della frutta, dell’olivo e della vite. 

 Era una divinità dell’agricoltura a cui era dedicato un bosco, il Pomonal, vicino a Castel Porziano (RO), non si conoscono feste in onore di questa dea, alcuni ipotizzano che fossero mobili, che si spostassero in base alla maturazione dei frutteti. La dea avrebbe la tutela del mese di Settembre, quando i frutti maturano, interessante è la descrizione che Ovidio fa di Pomona, ponendole una falce nella mano destra. 

È superfluo dire che moltissime sono le tradizioni e gli archetipi di diversi popoli che potrebbero aver dato un contributo all’origine di Halloween o che mostrano delle similitudini con questa festa. Le feste celtiche e latine appena elencate hanno in comune: la celebrazione della fine dei raccolti e la preparazione dei campi per l’inverno, tipici di popoli con uno strettissimo legame con l’agricoltura e la possibilità di mettersi in contatto con i defunti, gli avi della propria famiglia, nel bene e nel male. 


LA LANTERNA PER GUIDARE I MORTI


Il nome della festa, anche questo è un mistero in realtà. Renato Cortesi trova un collegamento con il verbo inglese “to hollow” (scavare), riallacciandosi alla tradizione di scavare delle lanterne in particolari ortaggi.

Durante questa notte i morti camminano nel buio del Purgatorio in cerca di una via per uscire e raggiungere il Paradiso. I vivi devono aiutarli e per farlo realizzano delle torce, scavando un foro  in un ortaggio abbastanza grande da metterci una candela la cui luce dovrebbe guidare il defunto verso la retta via.

State pensando alle zucche con il ghigno non è vero? 

Comprensibile, ma sbagliato!

 

In Irlanda e in Scozia erano le rape i contenitori usati come lanterne, quando i coloni irlandesi importarono questa tradizione nelle Americhe trovarono un terreno ostile alla loro coltivazione tradizionale, così furono costretti a ricorrere alla zucca, originaria del Nuovo Mondo. Ecco come quest’ortaggio divenne il simbolo di Halloween.

Ma da cosa deriva la tradizione della torcia scavata nella rapa/zucca? Moltissime fonti raccontano una leggenda, la versione più conosciuta è quella di Jack e della sua lanterna (Jack O Lantern). Un uomo che ingannò il Diavolo ottenendo solo una condanna eterna.


DOLCETTO O SCHERZETTO?


In questa notte i bambini camminano per le strade, mascherati da mostri, demoni e da qualunque cosa possa spaventare o divertire, bussano alle porte delle case e chiedono un dolcetto minacciando uno scherzetto in caso di rifiuto, la filastrocca completa da cui deriva questa formula è "Trick or treat, smell my feet, give me something good to eat". Questa tradizione sembra risalire al Medioevo britannico in cui, nella notte di Ognissanti, i poveri andavano a bussare alle case dei ricchi chiedendo l’elemosina in cambio di preghiere per i defunti della famiglia, necessarie per guidare le anime fuori dal Purgatorio e accelerare la loro ascesa la Paradiso (un concetto ripreso anche da Dante nella cantica del Purgatorio). Meglio non provare a rifiutare, sfortuna a chi i morti fa arrabbiare.


I COSTUMI


Perché ci si traveste ad Halloween? Nei Paesi anglofoni si parla di travestimenti e fenomeni simili sin dal XVI secolo, anche se non tutti sono riconducibili alla storia di Halloween. I costumi si usavano soprattutto in Scozia e in Irlanda e sono legati alla convinzione che i morti e i demoni possono camminare per il mondo in questa notte ed è bene nascondersi e sembrare come loro. Il 1911 è il primo anno in cui vennero documentati, negli Stati Uniti, dei bambini che camminavano per le strade travestiti in maniera piuttosto macabra. Nell’ultimo secolo questo fenomeno si è diffuso in tutto il mondo, creando una vera e propria industria intorno a questi costumi e alla loro produzione. 


Questa festa, la sua storia, la sua tradizione e il suo perché ha origini antichissime, tanto che nessuno può dire con certezza quando e dove sia iniziata davvero. È stata diffusa da pellegrini e guerrieri, da santi e da pagani, ma l’importante è il significato che ognuno ci trova: divertimento, rigenerazione, pace per i defunti, fuga dal mondo della morte.

Per concludere ecco la storia che, secondo alcuni, ha dato origine a questa tradizione: la vicenda di un uomo che ingannò il Diavolo due volte per poi scavare (hollowing) una lanterna in una rapa, andando a vagare per sempre.


LA LANTERNA DI JACK


Jack, un fabbro irlandese, era noto per essere avido, ubriacone, crudele, il peccatore per antonomasia. Una sera, la vigilia di Ognissanti, si stava dirigendo alla locanda del suo villaggio, infischiandosene della sacralità di quella notte, quando udì un rumore di zoccoli, ma non c’erano cavalieri o carri per la strada, solo un uomo che veniva da est, una figura incappucciata.

“Salve Jack” lo salutò lo sconosciuto con una voce sottile ma dall’aria divertita.

“Chi sei?” chiese il fabbro.

“Il tuo ultimo incontro.”

“Che diavolo vuol dire?”

Non poteva pronunciare parole più adatte; lo straniero si tolse il cappuccio rivelando un volto talmente spaventoso da non poter essere descritto. Buio, dolore, paura, solo così si può definire quell’essere.

“Tu… tu… tu sei…”

“Ho tantissimi nomi- rispose lo straniero- il tuo popolo mi definisce Diavolo.”

“Che cosa vuoi da me?”

“Solo te! Hai vissuto una vita di vizi, peccato e arroganza. Questa vita finisce qui e io sono venuto per portarti all’Inferno.”

Jack, per quanto terrorizzato, decise di non cedere così facilmente e di battersi contro quel destino.

“Diavolo, potresti trasformarti in una moneta per favore?”

“E perché?”

“Così potrò pagarmi un’ultima bevuta prima di andare all’Inferno. Sarà più facile andarci da ubriaco.”

Il Diavolo accettò, in effetti l’ultimo desiderio di un condannato non si nega mai. Appena si fu trasformato in una moneta Jack mise il Diavolo in una tasca, accanto alla croce d’argento che gli aveva regalato sua madre.

“Maledetto! Che hai fatto?”

“Qual è il problema? Andiamo all’osteria e facciamoci una bella festa testa di rapa!”

“La rapa sarà la tua sola consolazione, lo prometto! Fammi uscire!”

“Non dovresti essere il re dell’Inferno? Il padre di tutta la stregoneria? Esci da solo dalla mia tasca!”

“Soffrirai per questo!”

“Non finché sarai accanto ad una croce, so bene che non hai potere vicino a quel simbolo. Ma io sono un tipo ragionevole: fammi un’offerta, altrimenti resterai una moneta per sempre!”

Il Diavolo sembrò ringhiare, ma non aveva scelta.

“Ti offro altri dieci anni. Lasciami andare e vivrai altri dieci anni!”

“Affare fatto” disse Jack estraendo la moneta e gettandola nel terreno. Non vide cosa corse via, ma quell’orrore era fuggito.

Dieci anni dopo la condotta di Jack non era cambiata, anzi se possibile era addirittura peggiorata. Quando il Diavolo riapparve per reclamare l’anima del fabbro questi rivendicò il diritto ad un ultimo desiderio.

“Cosa vuoi questa volta?”

“Prendimi una bella mela matura, dopo che l’avrò mangiata verrò con te.” 

“Ma dovrai mangiarla subito!”

Il Diavolo salì su un grande melo, ma non riuscì a scendere, qualcosa lo bloccava. 

“Maledetto, hai inciso una croce sul tronco!” gridò il Diavolo.

“E adesso dovrai stare lassù fino alla fine dei tempi” disse Jack divertito.

“Fammi scendere… cancella quella croce, subito!”

“Ad una condizione.”

“Altri dieci anni? Guarda che così peggiorerai le pene che ti aspettano nell’Abisso!”

“Appunto, questo è il mio prezzo: rendimi libero per sempre. Se giuri che non andrò mai all’Inferno io cancello la croce e ti lascio andare.”

Il Diavolo accettò il patto e venne liberato. Ma nemmeno i più furbi possono giocare la morte e la vita di Jack finì.

I peccati del vecchio fabbro erano così gravi che gli venne negato l’ingresso in Paradiso, così si recò ai cancelli dell’Inferno.

“Salve” disse il Diavolo dall’interno.

“Alla fine sono venuto qui, penso che avrò quelle punizioni dopotutto” disse Jack. 

“Non credo proprio! Avevamo un patto; tu hai cancellato la croce che mi bloccava sul melo e io non ti farò mai entrare all’Inferno.”

“Ma non mi fanno entrare in Paradiso.”

“Lo credo bene, sei uno dei peccatori più efferati che abbia mai conosciuto, ma qui non entrerai mai. Un patto è un patto.”

“E dove andrò allora?”

“A vagare per sempre e ora vattene!”

“Vuoi dire che non vuoi punirmi per averti ingannato?”

“Saperti senza meta per sempre sarà una bella soddisfazione” disse il Diavolo.

“Ma qui fuori fa freddo ed è buio… non posso essere lasciato qua a vagare per sempre.”

Il Diavolo lanciò un tizzone ardente sulla radura accanto a Jack che lo raccolse, intagliò una lanterna in una rapa e vi collocò la fiammella infernale che iniziò a fare luce. Jack iniziò così a vagare per il mondo in cerca di un posto caldo dove riposare.

Sta ancora cercando e cammina con la rapa ad illuminargli la via. 


sabato 8 luglio 2017

Il costruttore di un mondo antico e nuovo

Lettor oggi ti parlo di don Vasco da Gama, un grande uomo per il Portogallo e l'Europa, colui che ricostruì gli antichi contatti tra l'Occidente e l'Asia. 
Questo esploratore portoghese era il conte di Vidigueira e viceré delle Indie Orientali in nome del Re del Portogallo e della Cristianità europea.

L'8 luglio del 1497, a bordo della San Gabriele, scortato dalla San Raffaele del capitano Nicolao Coelho e dalla Santa Fé, nave da carico comandata da Paulo da Gama, fratello di Vasco. Quello era il viaggio che avrebbe reso il conte da Gama il primo Europeo a raggiungere l'India circumnavigando l'Africa.
Già molto tempo prima di quel viaggio Vasco da Gama aveva fatto moltissimi viaggi in Africa, aggregandosi agli esploratori portoghesi e spagnoli, imparando tantissimo e preparandosi a compiere un'impresa straordinaria.
Circumnavigare l'Africa non fu una missione nata per orgoglio, ma per necessità. I mercati europei erano sottoposti ad una gravissima crisi causata dalla caduta dell'Impero Romano d'Oriente sostituito dallo Stato dei Turchi Ottomani che si stava espandendo ferocemente in tutti i territori intorno al Mediterraneo orientale.
Quindi le vie d'Oriente erano completamente chiuse da Turchi e Arabi che pretendevano pesanti tributi per il passaggio delle spezie e di altre mercanzie che non erano presenti nelle terre europee poco fertili rispetto al resto del mondo conosciuto.
Per necessità quindi l'Europa iniziò quella serie di esplorazioni e colonizzazioni che la resero nuovamente la potenza dominatrice del mondo.
Il viaggio di Vasco da Gama durò più di un anno ed egli ebbe la brillante idea di allontanarsi dalle sicure coste dei continenti per sfruttare i venti favorevoli, così i Portoghesi arrivarono al Capo di Buona Speranza, nell'estremo sud del continente africano per poi aggirarlo e dirigersi verso l'India.
Già in passato i Romani avevano contatti commerciali e ambasciatori in India, specie presso il re di Goa che, all'epoca dell'Imperatore Marco Aurelio, era definito un simpatico e gentile amico di Roma. Attraverso quei contatti l'Impero aveva contatti e dialoghi anche con la Cina degli Han.
Era il 20 maggio del 1498 quando Vasco da Gama sbarcò nella città di Kozhikode (Calicut), dove stabilì contatti commerciali con lo Zamorin, il sovrano della città, nonostante l'opposizione e i numerosi tentativi di sabotaggio da parte dei mercanti arabi che non volevano il progresso dell'Occidente che avrebbe minato i loro enormi guadagni. Sfruttando le concorrenze tra i diversi mercanti arabi e hindi, tra regni e sultanati, Vasco da Gama riuscì a stabilire un insediamento commerciale tra Goa, Mombasa, Melindi e Kozhikode, che sarebbero state le prime basi della futura dominazione europea in quei continenti.
Fu durante l'8 di luglio, Lettor, che iniziò quel periodo di progresso ed espansione, nato dalla necessità e dalla paura, senza la quale non avremmo dimostrato il coraggio incarnato da uomini come Vasco da Gama. 



martedì 4 luglio 2017

Il messaggio dal Cielo

Lettor, nel mese dedicato al grande Giulio Cesare, tanti grandi eventi sono avvenuti: nazioni sono sorte, domini universali crollati e le stelle hanno parlato agli uomini dicendo “sorpresa!”

Un esempio ci arriva dal 4 luglio del 1054 da una Cina divisa tra le dinastie Song, Liao, Jīn e Xia occidentali. Malgrado la divisione della grande patria i Cinesi non smettevano di essere tra i popoli più progrediti del mondo e osservarono un fenomeno incredibile: una grande esplosione nel cielo, un evento rarissimo e molto difficile da documentare. Nella costellazione del Toro una stella aveva terminato il suo ciclo ed era esplosa in supernova, le cronache dell’epoca dicono che la luce del fenomeno fu visibile per diversi mesi. 

Nel 1731 il medico e astronomo John Bevis scoprì che da quella supernova si era originata quella che definì Nebulosa del Granchio, corpo spaziale NGC 1952. 

Vasta 6 anni luce e distante circa 6.500 anni luce dal Sistema Solare, essa è in continua espansione e mostra al suo centro esatto una stella di neutroni, una pulsar che ruota su sé stessa compiendo 30 giri al secondo e bombardando lo spazio circostante con letali fasci di radiazioni, uno dei fenomeni astronomici più devastanti che si conosca, ma anche fonte di nuove materie prime, nuovi elementi creati dalla fusione nucleare avvenuta nella stella nelle fasi finali della sua esistenza e che la sua esplosione sta ancora espandendo verso nuovi sistemi e nuovi mondi. Ti rendi conto Lettor? Un fenomeno come questo ha sparso nel cosmo, in attesa di essere raccolti e ordinati, tutti gli elementi esistenti nel nostro mondo: il silicio delle nostre montagne, l’ossigeno della nostra acqua, il tungsteno del dispositivo con cui stai leggendo questo post, il calcio delle tue ossa, il carbonio della tua carne. Fusione ed esplosione che rende possibile la creazione Lettor. Splendido non è vero?

Parlando di Creazione il 4 luglio del 2012 Lettor, venne fatto un grande annuncio. Dopo averlo teorizzato nel 1964 lo scienziato Peter Ware Higgs e altri Titani della fisica teorizzarono l’esistenza di un campo scalare che permea l’intero spazio vuoto dell’universo contemporaneamente, il bosone di Higgs veniva indicato come la particella elementare, un bosone massivo e scalare capace di determinare la massa di ogni particella e quindi di rendere possibile l‘unitarietà probabilistica. In parole povere questa particella spiega come possono le particelle e quindi la materia unirsi e formare il cosmo che conosciamo.

L’acceleratore di particelle del CERN di Ginevra ha dimostrato l’esistenza di questa particella dopo anni di fatiche e un’impresa straordinaria di fisica, matematica e fede. Era il 4 luglio quando Higgs ha visto che aveva ragione. 

Buon 4 luglio Lettor e ben tornato.

mercoledì 17 maggio 2017

Il Re Immortale

Tutti i suoi parenti gli stavano intorno, osservandolo sconvolti e senza parole davanti al Sole che tramontava. Sdraiato tra la seta e l'oro lui li osservava, dopo aver regnato su di loro per tutta la vita loro, dei loro padri e dei loro nonni. Come avrebbero fatto senza di lui? Come avrebbero fatto a sopravvivere? Come avrebbe fatto la Francia senza un Sole.
Sapeva che il suo bisnipote, l'erede designato, aveva solo cinque anni, proprio come lui quando suo padre era morto ed era diventato il quarantaquattresimo re di quella nazione che aveva reso la più splendida del mondo. Gli venne da sorridere al pensiero di quel bambino che stava per iniziare la sua stessa avventura, da piangere per quello che lo aspettava e da pregare per il suo bene.
Luigi il Grande, XIV del suo nome, Re Sole sovrano della Francia ripensò a quando suo padre era morto molto tempo prima, o almeno al poco che riusciva a ricordare di quel periodo. Aveva appena cinque anni quando il tredicesimo Luigi era morto lasciando alla sua regina e al cardinale Mazzarino l'onore di una lunga reggenza fino alla sua maggiore età.
Luigi crebbe così al sicuro, con la sua amata madre ad insegnargli tutto quello che era necessario per essere il capo del propio popolo. Già da bambino sapeva che aveva pochissime persone di cui fidarsi, tra cui suo fratello Filippo... caro Filippo. Se solo fossero rimasti solo fratelli. Almeno era il sangue di entrambi a scorrere nelle vene del futuro re.
Il re sperò che il nuovo Luigi fosse forte come aveva dovuto esserlo lui. Sin da bambino era quasi annegato, malato, punzecchiato ed aveva già ricevuto l'estrema unzione diverse volte, decenni prima di quella sera di settembre. Eppure aveva resistito, poiché sapeva di essere la Francia e come lui, durante il suo regno, la Francia era sopravvissuta e aveva sconfitto i suoi nemici diventando più grande che mai.
Di tutte le opere di cui era fiero, la sconfitta della Fronda era quella che lo rassicurava di più per il futuro, con difficoltà era riuscito a far tramontare i privilegi degli aristocratici e a far sì che il merito e il talento fossero i caratteri dei capi dello Stato invece dei meriti degli avi e il denaro nei forzieri. Aveva preso questa decisione dopo aver visto, con i suoi occhi, la miseria che regnava a Parigi e tra i suoi abitanti. Aveva cacciato i protestanti dalla sua terra e i Tedeschi non erano riusciti a piegarlo, nemmeno quei voltagabbana degli Inglesi. Quanto lo avevano tormentato quei pirati.
Eppure aveva vinto, sia contro gli stranieri che contro i traditori e aveva ribadito che il re è il vertice del popolo, il suo rappresentante, il responsabile delle sue azioni, il solo in grado di garantire ordine e prosperità. Luigi era diventato dunque il Sole, unico astro per i Francesi non più costretti a seguire ogni singolo barone e i suoi ricatti. Ma erano ancora potenti e sarebbero rimasti pericolosi se non avessero capito. Doveva allontanarli dalla capitale, bisognava liberare Parigi. Ma come?
Il giovane Luigi si era allora ricordato di Pierre, quel giardiniere sempliciotto ma gentile che salvava sempre la regina madre, il re bambino e suo fratello dalle vespe che tanto spaventavano il piccolo Filippo. 
"Un bicchiere di vino, per noi è di pessima qualità, ma per loro ha un odore dolce e buono. Lo mettiamo qui e, senza costringerle e cacciarle, loro andranno nella coppa e saranno talmente ubriache che non ronzeranno più intorno a Vostra Maestà!"
Ovviamente non veniva mostrato ai bambini cosa accadeva alle vespe, ma funzionava. 
Così Luigi XIV decise di farsi costruire una reggia grandiosa, come non si erano mai viste. Un palazzo degno del suo imperiale antenato Carlo Magno e dei suoi predecessori Augusti.
La fece realizzare fuori da Parigi, circa mezza giornata a cavallo, ci vollero anni ma alla fine il Re Sole ebbe il suo Olimpo su cui ora stava angosciando il mondo. Probabilmente molti si aspettavano di vederlo guarire miracolosamente come quando a trent'anni era quasi morto per dell'acqua contaminata. 
Non quel giorno purtroppo.
Era fiero di quel castello ricco di fontane in cui aveva attirato quelle vespe degli aristocratici, aprendo il cantiere e il castello alle visite di tutti i nobili e i cittadini comuni. Tutti i servi, i soldati, i nobili, gli stranieri e i monarchi dovevano sapere che la Francia aveva un grande re, che Luigi era la Francia.
"Lo Stato sono io!" disse ancora. Nessuno poteva dargli torto.
Aveva fatto sì che il re fosse davvero il centro del potere, Parigi era al sicuro perché i nobili e la corte vivevano relegati in una prigione d'oro fuori dalla capitale. 
Era per la Francia, aveva fatto tutto sempre e solo per la Francia. 
Voleva renderla più bella e lo aveva fatto. Perché non avrebbe dovuto visto che poteva?
"Chi ha il potere di rendere tutto più bello deve sempre farlo- gli aveva detto qualcuno- e se non lo fa il re, chi lo può fare?"
Un dolore alla pancia, Luigi si destò.
Non stava soffrendo, era solo stanco. Aveva detto chiaramente che voleva essere salutato con il rito cattolico e aveva già confessato. Non aveva avuto la forza di essere povero e umile, ma aveva fatto esattamente ciò per cui era nato, ciò per cui Dio lo aveva fatto re di Francia.
Intorno a lui piangevano: parenti, amici, membri della corte. Tutte persone protagoniste di quel mondo barocco di giardini, fontane, titoli, arte e progresso che aveva creato e reso bellissimo. Sembravano convinti che, se fosse morto davvero, il mondo sarebbe piombato nel buio e nella rovina più totale. Come se, dopo di lui, sarebbe venuto il Diluvio.
Gli fecero pena. Non avevano capito cos'era necessario fare per salvare il mondo dalle epoche più oscure.
Magari Dio lo avrebbe fatto capire al nuovo Luigi, poteva solo sperarlo. Ma quel pianto, quelle smorfie lo avevano stancato.
"Ma perché piangete? Cosa credevate? Che i re fossero immortali?"
Non lo disse con cattiveria ma con dolcezza, come un padre che spiega ai figli che dopo la notte sorge sempre una nuova alba.
Era un uomo forte, anche dopo più di settant'anni da re non abbandonava il suo ruolo di mecenate e padre di ogni Francese. Diede le sue ultime disposizioni con calma, augurò una buonanotte a tutti e fece dire al piccolo Luigi XV di non divertirsi troppo e di far sempre vedere a tutti com'era bella la sua Versailles.

Questo Sole è tramontato Lettor, aspettiamo che ne sorga un altro.