venerdì 30 marzo 2018

Il giorno del sacrificio

Il Colle del Teschio, lo chiamano così perché ha una forma perfettamente tonda come un cranio. Se sei un ladro e un assassino è lì che ti portano i Romani per ucciderti nel modo più orribile che si possa immaginare.
Ci sono stato molte volte per vedere degli uomini morire appesi a quei pali, inchiodati e dissanguati e onestamente non pensavo che un giorno sarei stato al loro posto. Oggi tocca anche a me essere crocifisso.
Io non ho più un nome, si è perso insieme alla mia innocenza. Posso dire che non avevo intenzione di fare ciò che ho fatto, ma non avevo scelta... o almeno così credevo.
Una volta ero un fornaio, vivevo a Gerusalemme e avevo una bella vita: lavoravo onestamente, vivevo bene, salivo regolarmente al Tempio e anche con i Romani non avevo problemi. Poi i miei fornitori hanno perso la terra, così io ho perso la mia attività. Mi sono rivolto ad un pubblicano per avere dei soldi in prestito e trovare nuovi fornitori con cui salvare il mio forno, ma gli interessi erano così esorbitanti che ripagare il debito era impossibile.
Prima di perdere la mia casa presi una decisione estrema; una notte mi introdussi nella dimora di un uomo ricco, uno del Sinedrio, una volta gli portavo il pane in casa e sapevo dove si trovava un armadio dove quell'uomo teneva un forziere con del denaro. Entrai nella stanza con la sola luce della luna dalla finestra che avevo scassinato, con un coltello forzai l'armadio cercando di non fare alcun rumore. Era lì, alla portata della mia mano, un piccolo scrigno che conteneva la soluzione a tutti i miei problemi. Lo presi ma subito dopo sentii un forte dolore alla schiena, mi voltai e vidi il padrone di casa che mi colpiva con un bastone. Si gettò contro di me e io, non so perché, non so come, ma alzai il braccio e il mio coltello si conficcò proprio in mezzo al suo petto. Sua moglie e i suoi bambini mi fissavano terrorizzati, lei aveva una lampada ad olio la cui luce mostrava il marito e padre che avevo appena ucciso e lo scrigno caduto a terra, rotto e vuoto.
Non ho opposto resistenza, sono stato condannato a morte dai Romani per crocifissione, perché qui è così che deve morire un ladro e un assassino.
Lo merito? Certo che lo merito e quando sarò al cospetto di Dio allora sì che riceverò la giusta condanna... è lì che sto andando. Ma non capivo perché ci stesse andando anche lui.
Quelli del Sinedrio lo avevano condannato a morte la notte prima e lo avevano portato dal procuratore Pilato per farlo giustiziare, lui lo ha fatto bastonare come si fa a chi crea qualche disordine o contraddice le autorità pubbliche, perché è questo quello che ha commesso e nulla di più. Io l'ho visto al Tempio, quando ha cacciato via i cambiavalute e i mercanti che avevano trasformato quel luogo di preghiera in un mercato, proprio quello in cui avevo perso tutto. 
Persino Pilato non lo voleva condannare, ma non ha avuto scelta a causa del Sinodo e della folla che li accompagnava quando hanno chiesto che venisse messo in libertà un assassino di nome Barabba invece di quel Gesù di Nazaret. Lo chiamavano il Re dei Giudei, ma il Sinedrio ha detto che i Giudei non hanno altro re se non Cesare e hanno costretto Pilato a mandarlo a morire.
Ecco, eravamo sul colle. Quanto era pesante quella trave, l'avevo portata per tutta la città, ma adesso che me l'ero tolta dalle spalle pesava più che mai. Davanti a noi c'erano tre altissimi pali piantanti nel terreno, con dei ganci su di essi e dei soldati romani si aggiravano lì intorno con scale, sacchi e dei cartelli di legno. Davanti a me uno di loro portava un cartello su cui era scritta una parola, l'unica che conoscevo della lingua dei Romani: Raptor. Ladrone.
È questo che sono: un ladro e un assassino. Uno dei soldati appoggiò la scala sul palo al centro e si arrampicò per preparare le corde con cui sollevare la trave e appese il cartello. Era quello a cui sarebbe stato inchiodato lui, ma c'era scritto qualcosa di strano. Era un messaggio nella lingua dei Romani, dei Greci e anche nella mia: il procuratore Pilato aveva fatto scrivere "Gesù di Nazaret, il Re dei Giudei."
Quanto avrei voluto vedere quel Regno di cui parlava e in cui sarebbe andato.
Uno dei soldati mi porse una borraccia, era una miscela di diverse bevande alcoliche. In fondo non erano così crudeli. È più facile affrontarlo da ubriachi.
Dopo aver bevuto mi sentii barcollare e mi sdraiai stendendo le braccia sul palo. Mi legarono i polsi e uno dei soldati prese un sacchetto da cui estrasse i più grandi e terribili chiodi che avessi mai visto. Mi piantarono  un chiodo al polso sinistro e mi colpirono con tre forti martellate, ogni volta sentivo come una folgore che mi attraversava il braccio, il corpo e gli occhi. Anche il chiodo al polso destro fu una serie di dolori fulminanti. Mi sentii trascinare indietro e fui issato sul palo. La mia trave venne agganciata all'asta e io appoggia i piedi ad un piedistallo posto sotto di me. I soldati mi incrociarono i piedi e vi piantarono un altro chiodo. Quello fu il dolore più grande perché ci volle molto più tempo e molte più martellate per conficcare quel pezzo di metallo nella carne, nelle mie ossa spezzate e nel solido legno.

Piansi, non so per quanto ma piansi. Quando riaprii gli occhi vidi una grande folla radunata intorno al Calvario, guardavano l'uomo che era stato crocifisso accanto a me. Mi voltai alla mia sinistra e lo vidi, con una corona di spine e tante ferite precedenti alla condanna.
Ma perché gli avevano fatto tutto questo? Perché accanirsi così su un uomo che non aveva fatto nulla tranne predicare la nascita di un nuovo mondo migliore?
C'era un altro uomo crocifisso vicino a lui, un altro ladro come me. 
I soldati sotto le croci si dividevano i vestiti di quel Gesù e si giocavano ai dadi la sua bella tunica. Lui prese un profondo respiro e gridò: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno!"
Dicevano che era il Figlio di Dio e lo pregava non per essere salvato ma per perdonare i suoi assassini. C'erano saggi, scribi e farisei, il vertice della nostra società che ridevano di lui e lo insultavano e lui pregava per loro. Ma perché ucciderlo? Perché fargli subire la morte peggiore che si possa sopportare?
"Non sei tu il Messia?- iniziò a dire l'altro condannato- Se sei tu il Figlio di Dio allora salva te stesso e noi!"
"Stai zitto..." mormorai.
"Salva te stesso e noi!"
"STAI ZITTO!" 
Mi fissarono tutti, ma io guardavo solo gli altri crocifissi.
"Neanche ora hai timore di Dio?- dissi- Noi stiamo subendo questo supplizio perché lo abbiamo meritato. Ma lui non ha fatto niente!"
Presi un profondo respiro e urlai al mondo intero: "Lui non ha fatto niente per meritare di morire così!"
Nessuno rideva più ormai. Io piangevo e mi sentivo sempre più debole. Ripensai a colui che avevo ucciso, al motivo per cui era accaduto. Tutto perduto per la crudeltà di questo mondo. Possibile che non esistesse nulla di migliore?
"Gesù- dissi- Gesù... ti prego... ricordati di me... quando entrerai nel tuo Regno."
Se fosse tornato al cospetto di Dio, almeno avrebbe ricordato il mio pentimento per sempre e avrebbe saputo quanto mi dispiaceva per il male che avevo fatto.
Lui si voltò verso di me e mormorò: "In verità... in verità io ti dico... oggi tu sarai con me... in Paradiso!"
Sentii come un formicolio sulla mia testa e il dolore alle mie membra che si alleviava. 
Lui urlò improvvisamente: Elì, Elì, lamà sabactani.
Cosa voleva dire? Sentii qualcuno che diceva che chiamava Elia. Un uomo vicino alla croce corresse subito quell'errore e disse che in realtà diceva: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Era uno dei Salmi.
All'improvviso il cielo si oscurò e la terra iniziò a tremare.
Lui disse: "Tutto è compiuto... Padre, nelle tue mani ripongo... tutto il mio spirito..."
Poi lanciò un grande grido e spirò.
Ecco come vidi morire Gesù di Nazaret. Era stato crocifisso solo da sei ore, di solito ci volevano anche giorni, ma lui era morto molto in fretta, mentre la città di Gerusalemme soffriva e tremava.
Ad un certo punto sentii l'altro ladrone urlare, poi un dolore lancianante e improvviso salì dalle mie gambe, più veloce del suono delle ossa che si spezzavano. Un Romano mi aveva rotto le gambe con una clava. In fondo non erano così crudeli; sapevano che senza il sostegno delle gambe non avrei respirato per molto. Fu come addormentarmi dopo la giornata più faticosa della mia vita. Meritavo di morire per quello che avevo fatto, ma Gesù aveva promesso che si sarebbe ricordato di me.
Riaprii gli occhi e vidi che ero sdraiato in un posto incredibile: sembrava il Tempio ma era più grande, più pulito e magnifico, brillava di luce propria.
Vidi l'uomo che avevo ucciso, era lì in piedi, sano con vesti splendide simili a quelle che indossavo io e mi tendeva la mano sorridendo. Mi aiutò ad alzarmi e mi indicò un uomo accanto a me. Era Gesù che mi sorrideva.
"Per questo sono venuto nel mondo" disse prima di farmi entrare nel Regno, salvo, finalmente.

mercoledì 14 febbraio 2018

Il giuramento di Strasburgo

Anno domini 842, nella città di Strasburgo finisce il nostro futuro. Il 14 febbraio Carlo II e Ludovico II, il Calvo e il Germanico, figli e fratelli di un Imperatore, si trovarono a Strasburgo pronunciando il giuramento con cui vanificarono gli sforzi del loro avo: l'Imperatore Carlo Magno e di tutti i grandi uomini della storia. Essi pronunciarono il primo giuramento in lingua romanza scritta della storia, un documento di importanza straordinaria. I due fratelli si giurarono fedeltà reciproca e che non avrebbero mai stretto alleanza con Lotario, loro fratello e Imperatore. Con questo giuramento Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico diedero vita alle due nazioni oggi conosciute come Francia e Germania, spezzando l'unità portata da Carlo Magno e dal loro padre Ludovico il Pio nei territori dell'ex Impero d'Occidente. 


Carlo il Calvo pronunciò il giuramento in alto tedesco antico, la lingua dei soldati di Ludovico e questi parlò in proto-francese in modo che gli uomini del fratello lo comprendessero.

I patti di Strasburgo:

[Antico francese:] “Pro Deo amur et pro christian poblo et nostro commun saluament, d'ist di in auant, in quant Deus sauir et podir me dunat, si saluarai eo cist meon fradre Karlo, et in adiudha et in cadhuna cosa si cum om per dreit son fradra saluar dist, in o quid il mi altresi fazet. Et ab Ludher nul plaid nunquam prindrai qui meon uol cist meon fradre Karle in damno sit.” “Per l'amore di Dio e per il popolo cristiano e per la nostra comune salvezza, da qui in avanti, in quanto Dio mi concede sapere e potere, così aiuterò io questo mio fratello Carlo e in aiuto e in qualunque cosa, così come è giusto, per diritto, che si aiuti il proprio fratello, a patto ch'egli faccia altrettanto nei miei confronti, e con Lotario non prenderò mai alcun accordo che, per mia volontà, rechi danno a questo mio fratello Carlo.”

[Alto tedesco antico:]“In Godes minna ind in thes christines folches ind unsr bdhero gehaltniss, fon thesemo dage frammordes, sō fram sō mir Got gewizci indi mahd furgibit, sō haldih thesan mnan bruodher, sso man mit rehtu snan bruodher scal, in thiu thaz er mig sō sama duo, indi mit Ludheren in nohheiniu thing ne gegango, the mnan willon imo ce scadhen werdhn.”- “Per l'amore di Dio e del popolo cristiano e per la salvezza di entrambi, da oggi in poi, in quanto Dio mi concede sapere e potere, così aiuterò io questo mio fratello, così come è giusto, per diritto, che si aiuti il proprio fratello, a patto ch'egli faccia altrettanto nei miei confronti, e con Lotario non prenderò mai alcun accordo che, per mia volontà, possa recargli danno [a Ludovico].”

[Antico francese:] “Si Lodhuuigs sagrament quæ son fradre Karlo iurat, conseruat, et Carlus meos sendra, de suo part, non lostanit, si io returnar non l'int pois, ne io, ne neuls cui eo returnar int pois, in nulla aiudha contra Lodhuuuig nun li iu er.”- “Se Ludovico mantiene il giuramento fatto a Carlo, e Carlo, mio signore, da parte sua non lo mantiene, e se io non posso da ciò distoglierlo, né indurre qualcuno a farlo, non gli sarò di nessun aiuto contro Ludovico.”

[Alto tedesco antico:] "Oba Karl then eid, then er snemo bruodher Ludhuwge gesuor, geleistit, indi Ludhuwg mn hrro then er imo gesuor forbrihchit, ob ih inan es irwenden ne mag: noh ih noh thero nohhein, then ih es irwenden mag, widhar Karlo imo ce follusti ne wirdhit."- “Se Carlo mantiene il giuramento fatto a Ludovico, e Ludovico, mio signore, da parte sua rompe il giuramento che ha prestato, e se io non posso da ciò distoglierlo, né indurre qualcuno a farlo, non lo seguirò contro Carlo."


Così i due figli dell'Imperatore Ludovico il Pio, successore di Carlo Magno, divisero l'Impero d'Occidente ricostruito con tanta fatica e fecero tramontare ogni speranza di riunificazione della civiltà occidentale per migliaia di anni, tradendo il loro fratello e Imperatore, dando origine alla Francia, alla Germania e ai 1200 anni di conflitti e competizioni che ci danneggiano e ci dividono ancora oggi.
Come giudicare questo evento e le sue conseguenze?

La vera storia di San Valentino

San Valentino da Terni è forse uno dei santi più famosi del mondo, il protettore dei malati, degli epilettici ma soprattutto degli innamorati.

Nacque nel 176 d.C. da una nobile famiglia romana di Interamna (oggi Terni), si convertì al Cristianesimo nel 197, cosa che lo espose alle persecuzioni che l'Impero Romano praticava contro questa fede. Sembra che la sua famiglia fosse talmente prestigiosa da spingere l'Imperatore Claudio II il Gotico a chiedergli di rinnegare la cristianità e tornare ai culti tradizionali di Roma. Valentino si rifiutò e cercò di convertire l'Imperatore stesso. Invece di condannarlo a morte Claudio II graziò il nobile e lo affidò ad una famiglia nobile affinché venisse sorvegliato e rieducato, ma non funzionò, infatti Valentino continuò ad operare per la Cristianità e divenne anche vescovo di Terni.
Valentino venne arrestato di nuovo dall'Imperatore Aureliano, promotore del culto del Sol Invictus. Questa volta però Valentino non venne graziato ma condotto sulla via Flaminia, fuori città, per essere flagellato. La popolarità di Valentino era cresciuta così tanto che era considerato un pericolo per i culti tradizionali e gran parte della popolazione italica era sua simpatizzante.
Era il 14 febbraio del 273 quando Valentino venne flagellato sulla via Flaminia e infine decapitato, tutto avvenne di notte e di nascosto per evitare che i cittadini insorgessero in suo aiuto.
Secondo le fonti agiografiche l'aguzzino del santo si chiamava Furius Placidus e applicò la sentenza perché Valentino aveva celebrato in segreto un matrimonio tra il centurione Sabino e una giovane cristiana di nome Serapia, poco prima che entrambi morissero di malattia. Oltre a questo si parla di quando Valentino donò una grossa somma di denaro ad una fanciulla come dote per potersi sposare, una vicenda simile a quella di San Nicola. 
Per questi motivi Valentino è ricordato come il protettore degli innamorati, e la sua festività venne fissata il 14 febbraio (giorno della sua morte), per volontà di Papa Gelasio I nel 496 d.C., nello stesso periodo della festa romana dei Lupercalia, dedicata al dio della fertilità Luperco.
San Valentino è quindi una figura di grandissima importanza per la cultura occidentale, tanto che diversi condottieri e sovrani europei dopo la sua morte e la caduta dell'Impero, si ispiravano a lui e lo invocavano per garantire il successo delle proprie imprese.
Che questo giorno dedicato a lui e all'amore che difendeva sia di buon auspicio a chiunque si ispirerà a San Valentino e alla sua storia.

martedì 13 febbraio 2018

Carnevale, festa delle feste


 Tutti sanno cos'è il Carnevale, tutti lo festeggiano e si mascherano per essere liberi di fare baldoria quando arriva. Ma cos'è il Carnevale?
Di fatto è una festa che appartiene alla tradizione cristiana con origini molto antiche, simile a diverse tradizioni pagane (tra cui le dionisiache e i saturnali romani) che prevedevano un temporaneo rovesciamento dell'ordine costituito, un periodo caratterizzato da scherzi, festeggiamenti, in certi casi anche giochi d'azzardo e orge. Non ha una data fissa: il Carnevale si svolge il martedì precedente all'inizio della Quaresima, quando si tiene un tradizionale banchetto prima del periodo di digiuno. La parola Carnevale significa infatti "levare la carne" (carnem levare).
Nell'Europa cristiana il Carnevale si è diffuso sin dagli inizi del secondo millennio, a partire da Venezia.
Proprio nei registri storici di questa città compare il termine "carnevale". Il vocabolo viene usato per la prima volta in un documento ufficiale del Doge Vitale Falier nel 1094, riferito alle misure di sicurezza da prendere in vista dei festeggiamenti pubblici che precedevano l'inizio della Quaresima.
Ma il Carnevale diventa una vera e propria festa più di due secoli dopo il Doge Falier; nel 1296 il Senato della Repubblica di Venezia dichiarò festivo il giorno prima del Mercoledì delle Ceneri concedendo alla popolazione il diritto di deridere pubblicamente le istituzioni pubbliche e l'aristocrazia. La Serenissima era infatti molto severa quando si trattava di ordine pubblico e rispetto delle istituzioni, quindi il Carnevale fungeva anche da sfogo per la popolazione che poteva dedicarsi totalmente ai festeggiamenti, ai balli e ai giochi.
 Le maschere della tradizione veneziana nacquero per garantire l'eliminazione delle differenze sociali, così si annullavano le gerarchie e chiunque poteva festeggiare e scherzare con chiunque.
In questo periodo un servo poteva incontrare per strada il Doge e far festa con lui, ridere con lui, ed entrambi si scambiavano il tradizionale saluto "Buongiorno signora Maschera" .
Le maschere e i costumi di Venezia si evolsero nel tempo in un commercio di grande successo, diffuso anche agli stranieri che venivano nella Serenissima per vivere il suo prestigioso Carnevale. Il 10 aprile del 1436 Venezia riconobbe ai produttori di maschere lo status di mestiere con uno statuto conservato presso l'Archivio di Stato.
Benché gli artigiani veneziani avessero sviluppato numerosi tipi di maschere sempre più complesse e ricche, la più diffusa e famosa resta la larva (nella foto), una maschera dotata di una forma particolare che permette di bere e mangiare senza mostrare la bocca, la sua forma modifica anche la voce. Quest'oggetto fa parte di un costume tradizionale detto Baùta, dove viene indossata con un tricorno e un mantello neri.
 Molti costumi come la Baùta fanno parte anche del teatro oltre che del Carnevale.
Quindi il Carnevale dava sfogo alla popolazione normalmente sottoposta ad un rigido protocollo e ad un codice di comportamento molto severo, ma questo evento portò presto alcuni cittadini a compiere degli abusi e ad approfittare delle feste e delle maschere per commettere rapine, omicidi, attentati e altro ancora. Per questo motivo la Serenissima dovette applicare delle norme per limitare i rischi di abusi o incidenti:

  • 1339: divieto di uscire di notte con le maschere;
  • 1458: viene vietato l'uso di maschere e costumi nei luoghi sacri;
  • 1703: non si possono usare maschere o costumi nelle case da gioco (nessuno sfugge ai propri creditori).
Oltre a questo vennero vietati i lunghi mantelli sotto cui si potevano nascondere delle armi, anche alle prostitute venne vietato portare maschere (le meretrici erano sempre tenute sotto stretto controllo per evitare la diffusione di pericolose malattie come la sifilide). La violazione di queste e altre norme significava mettere in pericolo la comunità e veniva punita con sanzioni, carcere e, in certi casi, alcuni anni d'esilio dalla Serenissima. C'erano anche delle eccezioni; nel 1776 venne vietato alle donne sposate di andare a teatro senza le maschere, così da proteggere la loro rispettabilità.
Innumerevoli sono le feste e le tradizioni pubbliche che caratterizzavano il Carnevale veneziano, una delle più famose nacque nel Cinquecento quando un giovane acrobata turco riuscì a camminare su una corda da una barca alla cella campanaria del Campanile di San Marco (98,6 metri), per poi scendere e fermarsi per rendere omaggio al Doge. L'evento fu così acclamato che venne organizzato e ripetuto anche negli anni successivi, con diverse modalità e varianti spettacolari svolte da acrobati che omaggiavano il Doge e ricevevano da questi una generosa ricompensa. Purtroppo nel 1759 l'acrobata di turno precipitò e questa tragedia spinse le autorità a sostituire gli atleti con una colombina di legno fatta scendere dal Campanile alla laguna. Così il Volo dell'Angelo divenne il Volo della Colombina.
Nel 1797 tutto questo finì.
 Napoleone Bonaparte invase la Serenissima e conquistò Venezia ponendo fine alla millenaria Repubblica, uno degli Stati più longevi della storia. Quando la città fu venduta agli Asburgo essi mantennero gli ordini di Napoleone che proibivano i festeggiamenti, le maschere e i costumi tranne che nelle feste private nei palazzi, al Teatro la Fenice e al Ballo della Cavalchina. Privati della possibilità di esprimere le loro gioie e le loro arti nella festa più amata, i Veneziani persero lo spirito carnevalesco e la festa scomparì dai loro cuori ma non dalle loro memorie.
Nel 1979 però il Comune di Venezia, la Biennale e il Teatro la Fenice, insieme a diverse associazioni di cittadini, rievocatori ed enti turistici, ridettero vita alla tradizione e riportarono in auge il Carnevale di Venezia anche presso gli stranieri.
Malgrado il tempo e le differenze con il passato il Carnevale di Venezia è tornato ad infiammare i cuori e gli spiriti non solo dei Veneziani, ma anche di moltissime altre genti in tutto il mondo.
Oggi è una festa davvero notevole, un evento turistico che si svolge di Martedì Grasso, restituendo almeno in parte a Venezia gli antichi splendori.

sabato 6 gennaio 2018

L'Epifania che ogni festa porta via

È l'Epifania, giunge dodici giorni dopo il Natale, pone fine a tutte le festività, deriva dal greco epifàino (mi manifesto) e si riferisce alla manifestazione divina.
Già nell'antica Grecia il termine Epifania indicava appunto la manifestazione di una divinità, nel 150 d.C. i Cristiani di Alessandria festeggiavano la nascita di Cristo in questo periodo (6 gennaio), sia come il momento della nascita che della manifestazione di Cristo nel mondo.
Nel III secolo l'Epifania raccoglieva i tre segni della presentazione di Cristo: 
Adorazione dei Magi, battesimo di Gesù nel Giordano e il primo miracolo di Cana. 
Tra il 300 e il 400 d.C. la celebrazione della nascita di Cristo passò dal 6 gennaio al 25 dicembre, anche grazie all'attività di Giovanni Crisostomo, passando in questa data il ricordo dell'adorazione del bambino da parte dei Magi e la consegna dei doni nella dodicesima notte dopo il Natale.
Fissare una data per le festività venne reso più difficile anche dalla differenze tra calendario giuliano e gregoriano entrato in vigore in Europa nel 1582, ma il giorno dell'Epifania rimaneva sempre il 6 gennaio.
Ancora oggi i Cristiani Ortodossi celebrano il Natale del Signore tra il 6 e il 7 gennaio e l'Epifania il 19 chiamandola Teofonia (manifestazione di Dio).
Oggi in Italia c'è una figura particolare legata a questa festività, uno dei personaggi più amati della cultura italiana: la Befana.
Derivata da divinità femminili pagane votate a riportare la fertilità ai campi durante l'inverno, la Befana ha avuto una storia molto complessa. Romani, Celti e Germani offrono leggende che potrebbero essere considerate la fonte di questa figura e che mostrano dei tratti comuni con essa; Diana propiziatrice, Sàtia che porta sazietà, le ancelle di Giano e Gaia che volavano sui campi nelle notti di gennaio per fertilizzarli in attesa dei periodi di semina e raccolta, la bestiale Berchta austriaca e molte altre.
Nel Medioevo la Befana venne spogliata di tutte le sue connotazioni pagane e negative mostrando la figura che conosciamo oggi: una vecchietta simile ad una strega, dotata di poteri paragonabili a quelli di una strega, ma completamente diversa. È affettuosa, generosa e la sua scopa volante è un antico simbolo di purificazione delle anime e dei campi in vista della bella stagione. Persino il regime fascista cercò di strumentalizzare la Befana e di renderla uno strumento di propaganda, ma dopo la caduta della dittatura essa riprese il suo ruolo di portatrice di un momento di gioia.
Secondo una leggenda proprio i Magi, in viaggio verso Betlemme, incontrarono l'anziana signora e le chiesero indicazioni. Essi le offrirono di seguirli per portare dei regali al Bambin Gesù, ma ella declinò l'offerta, poco dopo però si pentì di questa decisione e preparò un cestino di dolci da dare in regalo a Gesù. Da allora essa, dodici giorni dopo il Natale, viaggia ovunque a portare i suoi doni a tutti i bambini nella speranza che tra di loro ci sia il piccolo Re.

Viene di notte, silenziosa e gentile, porta i saluti e gli auguri più cari, dodici giorni dopo il Natale per porre fine e inizio a tutte le feste. 
Buona Epifania Lettor!


domenica 10 dicembre 2017

L'energia del vapore nell'Impero Romano

Erone di Alessandria, è uno di quei nomi che dovrebbero venire in mente quando si pensa alla parola genio.
Non si sa esattamente quando è nato, senza dubbio è stato durante il I secolo d.C. Di origine greca insegnò materie tecniche presso il Museo di Alessandria, all'epoca uno dei luoghi di sapere e insegnamento più prestigiosi del mondo. 
Un tipo che sapeva di cosa parlava quindi.
Erone era un attento studioso di Archimede e di Euclide da cui trasse notevole ispirazione. Egli stesso fu autore di diversi trattati sulla matematica, la geometria e la meccanica in cui illustrava dei brillanti metodi di misurazione. Qui sotto la "formula di Erone", necessaria per determinare l'area di un triangolo in funzione dei suoi lati.
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Ha lasciato anche delle descrizioni molto dettagliate e sbalorditive sulla costruzione di macchine da guerra, su come misurare la distanza tra Roma e Alessandria basandosi sulle ore locali in cui è stata osservata un'eclissi lunare e anche sulla costruzione di automi. Sì, esatto: macchine autonome che Erone aveva ideato per eseguire, senza partecipazione umana, uno spettacolo di dieci minuti circa.
Ma l'invenzione che avrebbe fatto passare Erone alla storia è la sfera di Eolo (Eolipila).
Si tratta di una sfera di rame in cui viene fatta bollire dell'acqua che evapora uscendo da due tubicini a forma di L sulla sfera, uno dei quali si può svitare per ricaricare l'acqua. Il vapore genera il movimento della sfera (circa diciotto secoli prima della Rivoluzione Industriale). Erone dimostra così una grande capacità di comprensione dell'energia termica e l'intelletto necessario per concepire macchine autonome. 
Ma allora perché quella rivoluzione non è iniziata ai suoi tempi, quando l'Impero Romano aveva messo in contatto così tanti popoli e promuoveva già un enorme progresso in diversi campi?
Forse l'Umanità di allora non aveva ancora bisogno del genio di Erone che somiglia molto a quello di Leonardo Da Vinci, magari non era ancora tempo per i treni a vapore con a bordo un Cesare.
Gli scritti di Erone furono purtroppo a rischio di smarrimento durante il caos che fu la fine dell'Impero Romano, ma molte delle sue opere furono riprese e diffuse dai Califfati arabi del Medioevo e tornarono in Europa attraverso l'Impero Romano d'Oriente, le Repubbliche Marinare e il Rinascimento.
Qui segue una lista delle opere di Erone e del suo genio di cui si potrebbe parlare per diciotto secoli.

  • Metrica, descrizione di tecniche per calcolare superfici e volumi di differenti oggetti, in cui sono presenti dimostrazioni con esempi numerici.
  • Definizioni.
  • Sulla dioptra, raccolta di metodi per misurare lunghezze; in questo lavoro viene descritto l'odometro, come pure un apparato che assomiglia ad un teodolite.
  • Baroulkos, sulla costruzione di una macchina per il trasporto dei pesi.
  • Catoptrica, propagazione della luce e sua riflessione, uso degli specchi.
  • Mechanica, manuale in tre libri destinato agli architetti e agli ingegneri, contiene strumenti per sollevare oggetti pesanti. Nel primo libro vengono esposti i teoremi sulla gravità di Archimede; nel secondo è un trattato sui vantaggi delle macchine semplici e delle loro combinazioni; nel terzo si tratta di applicazioni pratiche dei concetti degli altri due libri.
  • Belopoeica, descrizione di macchine da guerra.
  • Pneumatica, descrizione di macchine funzionanti a pressione (ad aria, acqua o vapore), incluso l'hydraulis, l'organo ad acqua.
  • Automata, descrizione di macchine in grado di creare effetti nei templi per mezzi meccanici o pneumatici (apertura o chiusura automatica delle porte, statue che versano vino, ecc.).

Esistono dei testi che vengono attribuiti ad Erone, ma che potrebbero essere opera di altri autori:

  • Geometria, raccolta di equazioni basate sul primo capitolo della Metrica.
  • Stereometrica, esempi di calcoli tridimensionali basati sul secondo capitolo della Metrica.
  • Mensurae, strumenti che possono essere usati per misure, basati sulla Stereometrica e la Metrica.
  • Cheirobalistra, sulle catapulte
  • Definitiones, raccolta di definizioni di geometria.


Il vero pollice verso

Quante volte abbiamo visto al cinema un Imperatore Romano mostrare il pollice alzato o abbassato per decidere se un gladiatore doveva vivere o morire? Quante volte lo abbiamo fatto noi stessi: pollice in alto per il successo, pollice in basso per il fallimento.
Eppure se facessimo questi gesti ad un antico Romano questi ci risponderebbe: "Ma che fate?"
In realtà il pollice puntato verso l'alto non decretava la salvezza di un gladiatore, è probabile che invece significasse la sua morte (cosa decisa molto raramente).
Il pollice, in questo caso, rappresenta infatti una spada sguainata, il pollice nel pugno chiuso invece è la spada infilata nel fodero e garantisce la grazia. Bisogna dire che le fonti sono discordanti e piuttosto scarse ma sufficienti a dire che il pollice premuto sul palmo era il segno della salvezza e della grazia che un gladiatore poteva ricevere.
Ma da dove nasce l'equivoco?
Da questo quadro: Pollice Verso, del pittore Jean- Léon Gérôme del 1872. Nel dipinto si vedono delle vergini vestali che rivolgono il pollice in basso per ordinare ad un mirmillone di uccidere l'avversario sconfitto. Questo dipinto fu un mezzo di diffusione dell'errore di interpretazione del gesto conosciuto come "pollice verso". Il cinema ha poi fatto il resto rendendo il pollice alzato e il pollice abbassato una tradizione dei nostri tempi attribuendole un valore antico ma non originale.