sabato 17 dicembre 2016

Il re discendente di eroi

Daniele entrò nella stanza del re con un certo timore; le finestre erano chiuse, ma i raggi del Sole passavano dai vari spiragli sulle persiane, un intenso odore di incenso aleggiava. Il re era sul letto, si contorceva dal dolore, lamentandosi e imprecando. Era molto diverso dal grande sovrano che aveva guidato il paese per più di trent'anni, eppure in Daniele egli incuteva ancora un certo timore.
"Chi è?" chiese il sovrano.
"Grande Erode- disse il servitore che lo stava assistendo- lo scriba che hai convocato."
"Avvicinati!"
Daniele si accostò al letto.
"Hai portato il mio testamento come avevo detto?"
Daniele si affrettò a sedersi e ad estrarre il suo leggio per poi srotolare il prezioso documento.
"Certamente...grande re."
Erode si mise a ridere.
"Dallo a Giovanni!"
Il servitore del re si avvicinò allo scriba e prese il papiro in cui erano riportate le ultime volontà del re.
"Gettalo nel braciere!"
Il servo diligente gettò il testamento tra le braci che prese fuoco.
"Antipa...quel pusillanime... non siederà sul mio trono...non avrà Gerusalemme..."
Il re si girò sul fianco e guardò il povero Daniele con una smorfia di dolore. Dopo pochi istanti iniziò a sorridere.
"Sei giovane" disse il re.
"Sono al servizio del mio re" rispose Daniele senza sapere cos'altro dire.
Erode sospirò.
"Quanti anni hai?"
"Ventidue mio re."
"Tre anni di meno di quelli che avevo io quando ho iniziato a governare la Giudea...eppure non sono mai stato un Giudeo..."
"Non capisco mio re."
"Come ti chiami?"
Daniele era perplesso.
"Ti ho chiesto...qual'è il tuo nome" Erode si alzò su un braccio. Anche se vecchio e malato era ancora un uomo molto possente.
"Daniele...mio re."
"Cosa significa il tuo nome?"
Daniele sospirò e rispose: "Dio è il mio giudice."
"E cosa significa il mio?"
Daniele abbassò lo sguardo.
"Cosa significa il mio nome?" chiese ancora il re.
"Chiedo perdono mio re...non lo conosco."
"Certo che no. Tu hai un nome d'Israele...il nome di un profeta. Il mio nome, Erode, significa discendente degli eroi. Si tratta di un nome greco...mio padre era molto amico dei Greci e ne apprezzava la cultura, proprio come me."
Daniele, in effetti, sapeva molto bene tutto questo, ma aveva preferito non dire niente poiché in passato il sovrano si era dimostrato molto irascibile quando si parlava delle sue origini.
"Tanto lo vedo chiaramente nei tuoi occhi...anche in quelli di Giovanni e di tutte le mogli che ho avuto. Io, un figlio di Edom, messo a regnare sul popolo di Giuda, messo qui dall'Imperatore...dai pagani."
Daniele cominciava a chiedersi cosa ci facesse lì.
"E' vero: io sono un edomita, un discendente di Esaù e non di Israele, da parte di padre, e mia madre, Cipro, era del popolo dei Nabatei e quindi era dei discendenti di Ismaele. Ma non era Esaù discendente di Abramo come suo fratello Giacobbe? Non è forse vero che Giacobbe, poi detto Israele, rubò ad Esaù la sua eredità? E Ismaele non era forse il primo dei nati dei figli di Abramo? Il fratello maggiore di Isacco, padre di Israele? E allora perché si maledice me? Perché sono un edomita, con madre nabatea e regno sui Giudei. Non lo capite che se non ero io erano i Parti, i Romani o i Greci a dominarci e non avreste avuto nemmeno qualcuno da chiamare re...voi Giudei."
"In che modo posso servire il mio re?" chiese il giovane scriba.
Erode si era di nuovo rigirato guardando il soffitto.
"A chi non ho mai raccontato di quando ho incontrato lui? Cesare...L'Augusto che oggi domina il mondo...un uomo straordinario, potente, intelligente...eppure molto gracile. Ha una mente che è la sua vera arma."
Daniele estrasse una tavoletta di terracotta e un pennino di osso. Teneva la schiena dritta, con il leggio appoggiato alle sue ginocchia e attento a sentire cosa diceva il re.
"Lo incontrai a Roma- continuò Erode- lui e Marco Antonio, all'epoca erano ancora alleati, ma si vedeva chiaramente che Marco Antonio era il condottiero, il soldato. Eppure aveva una mente debole, a differenza di Cesare Ottaviano. Erano opposti l'uno all'altro. Marco Antonio mi fece re di Giudea, ricordandosi di quando avevo combattuto Cecilio Basso, nemico di Cesare, in Siria. Poi la regina Cleopatra volle la mia testa e queste terre, ma Antonio non poteva dargliele."
"Erano in guerra contro Ottaviano a quei tempi, non è vero?"
Il re guardò Daniele, quasi sorpreso del suo interessamento, poi sorrise.
"Già...devo ammettere che fui sorpreso quando giunse la notizia della loro sconfitta ad Azio...ma è chiaro che la mente vince sempre sulla forza..."
"Ma il Principe Ottaviano sapeva che il mio re era stato un alleato di Antonio."
"Dici bene Daniele, ma il Principe sapeva anche che Cleopatra non lo era affatto, così lo raggiunsi sull'isola di Rodi...lo trovai lì e gli chiesi di lasciarmi fare la sola cosa che ho sempre saputo fare..."
Daniele si mostrò molto interessato.
"Il re...il re di Giudea nel nome del grande Cesare che o ci proteggeva o ci distruggeva."
"Ma il mio re come ha convinto il Principe Ottaviano a lasciarlo sul trono di Giuda, in una posizione così strategica ad Oriente?"
"Gli ho solo detto la verità. Ebbene sì: gli dissi che ero stato alleato con Marco Antonio solo perché mi aveva fatto diventare re di Gerusalemme e che se mi avesse lasciato al mio posto avrei continuato a mantenere l'ordine in questa terra così importante. Lui mi diede una pacca sulla spalla e poi disse ai membri della sua corte di salutare Erode, il grande re di Giudea."
Erode si girò di nuovo sul fianco, questa volta dando le spalle allo scriba.
"Durante quel viaggio mi fu detto che mia moglie, la mia amata Mariamne, aveva complottato contro di me. Lei giurava il contrario, ma mia madre e mia sorella passarono interi giorni a sussurrarmi all'orecchio...tradimento...tradimento....morte e caos...Mariamne....mia splendida Mariamne....come posso sperare nel perdono per aver messo a morte il mio amore?"
Il re tornò a guardare verso l'alto. Daniele notò delle lacrime lungo il suo viso.
"Tu hai moglie Daniele?"
"Sì...grande re."
"E la ami?"
"Sì...con tutto il cuore."
"E allora ringrazia di non essere un re. Io darei via il mio regno, le mie ricchezze, i miei anni di gloria per avere una vita da scriba al fianco della mia Mariamne."
"Eppure il mio re l'ha messa a morte."
"NON HO DI CERTO BISOGNO CHE TU ME LO RICORDI!"
Daniele si rese conto di aver osato troppo.
"TU NON LO SAI...TU NON SAI COSA VUOL DIRE! Un re non si fida di nessuno, non c'è affetto, non c'è lealtà: persino la madre di un re è talmente invidiosa del suo potere da complottare per strappargliene un po'. Non potevo evitare di condannare Mariamne, così come non ho potuto evitare di mettere a morte i miei figli."
Daniele si ricompose, poi osservò quel sovrano tanto discusso. Ebbe pietà di lui, non sapeva perché ma quel vecchio malato e potentissimo gli suscitava compassione.
"Il popolo di Giuda non smetterà mai di ringraziare il grande Erode per avergli ridato il Tempio" disse lo scriba.
"Non ho bisogno della tua pietà. Io ho solo costruito un edificio, il popolo lo ha consacrato. Se è per questo ho anche costruito delle fortezze imprendibili in tutto il paese e una città, Cesarea, che ho donato a Cesare Ottaviano. Ma tu sai bene che non è per queste cose che verrò ricordato."
"Betlemme" mormorò Daniele.
"Betlemme- disse il re- Anche quella notte non ebbi scelta. Era scritto che Rachele doveva piangere i suoi figli. Cosa dovevo fare? Mi dissero che quella notte sarebbe nato un bambino destinato a diventare il re. Stranieri saggi e nobili che andavano a cercare un sovrano tra i pastori. Anche un profeta morto da quattrocento anni diceva che quella notte sarebbe nato un re."
Daniele si ricordava di quel passo del profeta Michea in cui si parlava di colui che sarebbe uscito da Betlemme per condurre il popolo di Israele.
"Ma un re non può nascere a caso tra i pastori. Il re può essere solo figlio di un re. Se avessi lasciato vivere anche un solo bambino di quel villaggio i miei nemici lo avrebbero usato contro di me e i miei successori. Questo avrebbe minato anche i nostri rapporti con i Romani: il Principe Ottaviano avrebbe mandato le sue legioni a riportare l'ordine con la forza devastando il paese e probabilmente anche i Parti ne avrebbero approfittato per invadere questo regno e ridurre il popolo in schiavitù e chissà quanti bimbi innocenti sarebbero morti nella guerra che ne sarebbe derivata tra Roma e il Regno Partico. Cosa ne sanno coloro che parlano di una strage di innocenti? COSA NE SANNO?"
Daniele rimase inorridito, non tanto per le parole del re, ma per la sua logica.
"Cosa ne sapete voi, di cosa deve fare un sovrano per proteggere il suo paese? Il re è il capo supremo di un popolo e come tale è responsabile della sua sicurezza e delle sue colpe. Non è forse così? Dimmi Daniele, non è forse questo il punto?"
"Io non posso comprendere. Però so che, anche senza approvarle, non posso giudicare le scelte fatte dal mio re, perché non so quali siano state le sue e quali egli sia stato costretto a prendere. Io sono qui solo per servire il mio signore."
Erode tornò ad osservarlo, sembrava più sereno. Forse capire di avere a che fare con un uomo onesto gli aveva ridato un po' di forza.
"Daniele...porterò con me il tuo nome. Ora scrivi!"
Lo scriba fu pronto con il pennino sulla tavoletta d'argilla.
"Io, Erode Ascalonita...Erode il Grande, re di Giudea per volontà del Principe Cesare Ottaviano Augusto, dichiaro mi figlio Erode Archelao principe ereditario e re di Giudea e Samaria, mio figlio Erode Antipa riceva in eredità il dominio di Galilea e Perea su cui regnerà con il titolo di Tetrarca. Stesso titolo e stesse priorità trasmetto a mio figlio Erode Filippo che avrà così potere su Iturea, Batanea e su tutti i territori circostanti che fanno oggi parte del mio regno. I miei figli avranno così questa eredità che comprende la divisione del mio regno e del potere che essi eserciteranno a condizione che essi giurino al Principe Cesare Ottaviano Augusto, Primo Cittadino della Repubblica Romana e Imperatore, la stessa fedeltà che io ho mostrato lui, nella speranza che egli approvi questo mio testamento in quanto protettore del nostro paese. Questa è la mia volontà. Hai scritto?"
"Ho scritto mio re."
"Allora riportalo su una pergamena e sbrigati. Non ho ancora molto tempo per firmare."
Daniele eseguì il suo compito giurando solennemente di non dimenticare e di non giudicare mai più quel uomo, il suo re, Erode il Grande.

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