domenica 26 marzo 2017

Giorno nuovo di una buona vita

Lettor, oggi, 26 marzo, ti potrei parlare di Papa Stefano II, o di quando fu incoronato l'Imperatore Corrado II e di tante altre cose.
Oggi invece ti parlo del dottor Franco Valente, che nacque in questo giorno di qualche tempo fa. Quest'uomo ha dimostrato molto spesso una forza di volontà senza pari, un impegno encomiabile nell'assoluzione dei suoi doveri oltre che un innato senso di giustizia e lealtà.
Un uomo affettuoso, Franco Valente, un individuo intelligente e curioso, oltre che paziente.
La sua caparbietà è dimostrata dal fatto che non ha ancora smesso di essere tifoso del Lanerosse Vicenza. Inoltre egli può essere considerato il predatore naturale di una delle specie più dannose, aggressive e cancerogene della razza umana: gli arbitri cornuti. 
Benché le sue capacità di interazione con la tecnologia non sia delle migliori, egli si mantiene costantemente aggiornato anche in questo campo, dimostrandosi molto ingegnoso nelle sue applicazioni.
I gatti si sono dimostrati molto a loro agio in sua compagnia, così come le tortore dal collare che abitano intorno alla sua casa.
Egli è riuscito ad adattarsi perfettamente anche alla vita nella città di Roma, sviluppando un linguaggio ibrido tra il romanesco e il veneto. Negli spostamenti in auto questa caratteristica si è dimostrata particolarmente utile: questo fiero combattente è riuscito spesso a spiazzare gli imbecilli incontrati con un "Ma te possino anca tì!"
Ci sarebbe moltissimo altro da dire (per esempio la sua profonda ammirazione e stima nei confronti del popolo dei Burgundi in quanto inventori della mostarda, di cui è particolarmente ghiotto), ma ti basti sapere, Lettor, che Franco Valente è un esempio di vita ben vissuta, di impegno e di fiducia che ha fatto e che farà moltissimo.
Se non fosse stato per lui Lettor, chissà cosa ne sarebbe stato di me e di moltissime altre persone.
Al dottor Franco Valente quindi io dico, grazie di tutto e buon compleanno papà!

venerdì 17 marzo 2017

Per cosa ringrazia un Imperatore?

Lettor oggi ti parlo di Marco Aurelio, Imperatore di Roma, secondo alcuni l'ultimo degli Imperatori forti prima che la nostra storia scendesse da un tempo d'oro e argento e salì su uno di ferro e ruggine.
Marco Aurelio fu un potente difensore dell'unità dell'Impero Romano. Per risolvere la crisi economica vendette moltissime delle proprietà imperiali, perdonò il tradimento di sua moglie e cercò di proteggere suo figlio Commodo dalle tentazioni del potere, ma non riuscì a lasciare un'eredità solida.
L'Imperatore Marco Aurelio era molto istruito e, senza voler insegnare niente a nessuno, scrisse i suoi ricordi, le sue riflessioni in un libro, oggi intitolato "I Ricordi", se puoi leggilo Lettor. Marco Aurelio era uno stoico, un uomo che guardava alla vita con determinazione, superbo senza volerlo essere, potente senza essere crudele, saggio senza voler insegnare.
L'Imperatore descriveva così la sua più grande fortuna, nel primo libro dei Ricordi in cui ringraziava:

"Dagli Dei, l'aver avuto buoni nonni, buoni genitori, buona sorella, buoni maestri, buoni domestici, parenti, amici tutti pressoché buoni. E il non aver mai offeso alcuno di essi, pur essendo per istinto, se mi fosse stata data l'occasione, predisposto a compiere qualcosa di simile. Ma il favore degli Dei non permise mai che si determinassero circostanze atte a palesare tale mia tendenza."

Nemmeno io so quante centinaia di uomini, in venti secoli, hanno avuto l'onore e la dannazione di essere Imperatore dei Romani, ma io so che molti di loro avrebbero meritato di essere pecorai piuttosto che i Principi del più grande Impero della Storia, ma dodici di loro li considero ben più che degni di tale onore. Tra di essi annovero senza dubbio Marco Aurelio, l'Imperatore filosofo, l'ultimo dei forti comandanti del Primo Impero che ringraziava per i genitori, per i nonni e per la sorella con cui era cresciuto. Forse il suo più grande errore fu amare troppo.


giovedì 16 marzo 2017

Il tramonto del flagello di Dio

Lettor oggi, 16 marzo, in questo stesso giorno due uomini hanno concluso il loro percorso su questa terra, in epoche diverse, ma sempre legate all'istituzione che ha fatto la storia: l'Impero. Il 16 marzo del 453 d.C., esattamente 416 anni dopo la morte dell'Imperatore Tiberio, moriva il più grande re che la confederazione di popoli capitanata dalla tribù degli Unni, un uomo chiamato Attila, che in lingua gotica significa "piccolo padre".
Grande guerriero, spietato conquistatore, astuto politico e diplomatico, era il discendete degli Xiongnu, popolazione di predoni nomadi della Cina settentrionale avi degli Unni, dei Mongoli e dei Turchi che migravano verso l'Occidente in cerca di nuove terre da saccheggiare e stabilirsi. Con il loro movimento, la potenza della loro cavalleria e del terribile arco unno, essi spinsero verso l'Europa tutti i profughi e le popolazioni che furono costrette ad entrare nell'Impero Romano contribuendo alla sua caduta.
Quando il re degli Unni, suo zio Rua, fece un patto con l'Impero d'Occidente, l'allora bambino venne mandato a Ravenna dove imparò il latino, la legge e la storia romana.
All'età di vent'anni Attila tornò tra la sua gente quando suo fratello Bleda divenne re degli Unni. Tempo dopo, in seguito ad una guerra con l'Impero d'Oriente.
Con il tempo Attila divenne sempre più potente, sempre più spietato e il regno degli Unni tanto vasto da comprendere tutti i territori dall'Ungheria ai confini del Kazakistan.
Quando le mire di Attila si mossero verso la Gallia il grande generale Ezio, capo dell'esercito dell'Impero d'Occidente, detto "l'ultimo dei Romani", radunò un'armata composta da legionari romani e da tribù di barbari che avevano subito le scorrerie degli Unni e inflisse al re unno una pesante sconfitta nella battaglia dei Campi Catalaunici, a Châlons-eh-Champagne in Francia, che determinò il futuro della civiltà europea e di tutta l'Umanità.
Nel 452 Attila invase l'Italia e devastò molte città della pianura padana, tra cui Trieste e Padova causando la fuga degli abitanti di quelle terre fino ad una laguna sulle cui isole costruirono quei rifugi fuori dalla portata dei cavalieri unni. Chi poteva immaginare che quei rifugi sarebbero cresciuti fino a diventare la Serenissima Venezia.
Mentre Attila avanzava verso il sud con l'intento di saccheggiare Roma inctrò un uomo che avanzava verso di lui disarmato e a piedi.
"Come ti chiami?" gridò il re degli Unni.
"Leone" gli rispose il Papa. Chissà cosa si dissero, non lo sappiamo, ma il barbaro per eccellenza ordinò al suo esercito di ritirarsi e abbandonare l'Italia.
Quando Attila tornò nel cuore del suo dominio, l'Ungheria, paese di cui è considerato il fondatore, morì durante la sua prima notte di nozze con una principessa di nome Krimhilda, detta Ildiko. Secondo alcune fonti fu un problema di indigestione, secondo altri una delle sue mogli lo trafisse, o addirittura uno dei suoi figli che poi lottarono tra loro per la successione portando alla distruzione del grande regno che aveva fondato.
La sua eredità è ancora viva oggi, ma non era in grado di conservarla e perpetrarla. 
Era un re, non un Imperatore.

mercoledì 15 marzo 2017

Idi di Marzo

Quando entrò nella Curia si sentì subito meglio; l'aria calda che avvolgeva l'Urbe in quel periodo non sembrava capace di entrare nella sala da cui il mondo intero traeva il suo ordine, c'era una piacevole aria fresca lì dentro, molto rilassante. Nonostante quel sollievo non riusciva a tollerare l'idea di passare la giornata in balia di quei senatori tanto cenciosi, noiosi e meschini quanto necessari.
I giorni delle Idi di Marzo dovevano essere dedicati ad onorare il grande Marte, padre della stirpe da cui erano nati sia lui che Roma. Che giorni buoni per i Romani, ma per lui, che aveva il sangue degli dei, come per gli dei stessi, non esisteva festa ma solo la sua parte da fare per evitare che il mondo precipitasse nel Caos. 
Tutti i senatori si voltarono verso di lui e iniziarono a salutarlo, a chinare il capo come si faceva con gli antichi re. Adulatori ignoranti la maggior parte di loro, ipocriti invidiosi gli altri. Per fortuna veniva salutato anche da uomini della sua misura, lo salutavano tenendo lo sguardo alto e fiero, senza temere di dirgli quando sbagliava, i veri pilastri della Repubblica a cui aveva dato tutto. Primo tra tutti Bruto, il nipote di Catone, uno dei più valorosi figli di Roma.
Si diresse verso il suo posto, ricambiando i saluti e preparandosi a leggere i documenti con l'ordine del giorno. Mentre si avvicinava si soffermò davanti al busto di Gneo Pompeo Magno... il suo amico... il fratello che avrebbe voluto.
Quanto avrebbe desiderato trovarlo lì a costruire una nuova Roma con lui. Se solo non avesse avuto così tanta paura.
Quasi non si accorse di quei senatori che si erano stretti intorno a lui continuando a salutarlo. Uno di loro, Cimbro Tillio, gli si avvicinò.
"Dictator- disse- devo chiedere una clemenza. Porto una citazione da parte di uno dei miei clienti, un parente molto caro che..."
Non c'era tempo per discutere le questioni personali dei senatori. Roma prima di tutto. Gli fece un cenno per fargli capire che ne avrebbero parlato in seguito per poi voltarsi e dirigersi al suo seggio.
Cimbro Tillio afferrò la sua toga trattenendolo.
"Ma questa è violenza bell'e buona!" gli gridò il Dictator voltandosi a guardare quell'insolente. Sentì allora un dolore terribile alle spalle, sotto il collo, gli ricordò le ferite di guerra in Gallia. Si voltò ma non vide un barbaro, era uno dei fratelli Casca.
Gli afferrò il braccio che reggeva ancora il coltello insanguinato e lo infilzò con lo stilo rendendogli l'aggressione, poi si voltò per fuggire ma qualcun altro lo pugnalò e questa volta non riuscì più a muoversi.
Si appoggiò alla base del busto di Pompeo e si guardò intorno, circondato da quegli uomini che l'arroganza, l'avidità e l'ipocrisia avevano reso più spaventosi delle Furie guardiane del grande Abisso. Tra di loro vide anche lui, il giovane Bruto, discendente dei fondatori della Repubblica, suo amico, suo allievo. Prima che lo raggiungesse per pugnalarlo, il conquistatore del mondo riuscì a dirgli solo poche parole: "Anche tu, Bruto, figlio mio?"
Le toghe bianche e rosse di quei senatori che lo avevano salutato poco prima ora lo stavano circondando e gli confondevano la vista mentre altre lame calavano su di lui con una ferocia che non aveva mai visto nemmeno nei barbari che aveva affrontato, sconfitto e annesso in tutto il mondo.
Non aveva scampo, sua moglie aveva ragione, i prodigi erano stati corretti. Quel giorno il discendente di Venere avrebbe incontrato gli dei.
Prima che il suo viso venisse sfregiato sollevò la toga sopra il volto facendo in modo che la parte inferiore del corpo rimanesse protetta. Non voleva perdere il suo decoro, nemmeno nel momento finale.
Non volle far capire ai suoi nemici che li stava deridendo. Aveva vinto: la sua opera era completata grazie alla vendetta dei suoi comandanti, al rigore del suo erede e alla gloria della sua storia.
Quando i suoi assassini ebbero finito di colpirlo, ventitré coltellate, una per ogni congiurato, fuggirono, come i vigliacchi che erano, temendo la vendetta e il castigo a cui si erano destinati. Era stato predetto che quando la tomba di Capi, fondatore di Capua, fosse stata trovata, un discendente di Iulo, figlio di Enea, sarebbe stato ucciso per poi essere vendicato. Pochi mesi erano passati dal ritrovamento delle ossa di Capi.
Il suo ultimo atto fu di alzare il braccio, quel braccio che aveva afferrato e conquistato popoli interi per costruire un nuovo mondo. 
"Giove, la mia opera è completa. Ecco, la mia mano è qui, prendila!"
Detto questo il suo braccio cadde a terra.
Così Gaio Giulio Cesare spirò.
Così Gaio Giulio Cesare divenne eterno.

lunedì 6 marzo 2017

L'uomo che trasformava la materia in essenza

Michelangelo Buonarroti, proprio lui Lettor, è il protagonista del nostro Rinascimento, acclamato come uno dei più grandi pittori, scultori e scrittori della nostra storia.
Nato il 6 marzo del 1475, Michelangelo era il secondo di cinque fratelli, discendente di una famiglia fiorentina nobile ma in declino.
Iniziò il suo apprendistato di artista nella bottega di Domenico Ghirlandaio, ma molta della sua formazione avvenne per autodidattica.
 Con il tempo divenne un artista molto rinomato e richiesto.
 Dotato di un grande genio e spesso all'avanguardia rispetto ai suoi contemporanei, Michelangelo ebbe una grande fortuna in un mestiere che, secondo il credo comune, avrebbe dovuto far retrocedere la posizione elevata della sua famiglia patrizia. Infatti ebbe il merito di attirare l'attenzione dei Medici, dei Borgia e di molte altre potenti famiglie dell'Italia rinascimentale.
La vera novità della filosofia di Michelangelo era il totale realismo di tutte le opere d'arte, ogni cosa riprodotta così com'è, tratto tipico dell'arte occidentale ma per lungo tempo messa da parte prima dell'inizio del Rinascimento. Ma ben pochi erano in grado di fare un lavoro paragonabile al suo.
Il David che si prepara a colpire il gigante Golia con la sua fionda, che Michelangelo "tirò fuori" da un blocco di marmo in cui era rinchiuso.
La Pietà, con cui Michelangelo pose nella pietra il senso della fede cristiana.
La Cappella Sistina, che Michelangelo ornò con nudi, elementi pagani ed episodi dell'Antico Testamento. Papa Giulio II non ebbe motivo di pentirsi della collaborazione di questo artista che rese meraviglioso il centro della Cristianità, rendendo possibile per il Papa di essere eletto al cospetto di Dio che dona la vita all'Uomo.
Quindi buon compleanno mastro Michelangelo e grazie per tutto quello che ci hai lasciato.