venerdì 28 aprile 2017

Otone, Imperatore dei Quattro



Lettor oggi è il compleanno di un uomo che fu fortunato e scellerato allo stesso tempo: Marco Salvio Otone Cesare Augusto. 
Nato in questo giorno del 32 d.C., grazie alle grandi capacità militari e politiche divenne presto una figura importante dell'Impero Romano in piena età Giulio- Claudia. Otone era il discendente di una nobile famiglia etrusca e già questo era sufficiente per essere particolarmente rispettati nella società romana.

Otone, con la sua lealtà, la sua abilità e il suo retaggio divenne presto amico dell'Imperatore Nerone, sotto il cui principato si svolse la maggior parte della sua vita pubblica. Ad un certo punto l'Imperatore fece una richiesta insostenibile per il generale: Nerone chiese ad Otone di divorziare da sua moglie Poppea per poterla sposare. Al suo rifiuto Otone venne esiliato a governare la Lusitania. Quando poi venne l'anno 69 d.C. Il generale si ritrovò nel mezzo di una delle più grandi crisi nella storia dell'Impero che diede al 69 il titolo di "anno dei quattro Imperatori".
Appoggiò il governatore Galba nella sua rivolta contro Nerone contribuendo alla sua ascesa al Soglio Imperiale. Quando però il nuovo Princeps si inimicò i pretoriani e molti membri del Senato, l'ambizioso Otone mise in atto un colpo di Stato, mettendo a frutto i sostegni, i contatti, le alleanze e i meriti guadagnati in tanti anni di fatica diventando Imperatore di Roma il 15 gennaio del 69. Rimase tale fino al 16 aprile delllo stesso anno. Purtroppo per lui, in quel periodo, un altro grande membro del popolo romano, l'illustre Vitellio, si proclamò Imperatore e iniziò una vera e propria guerra civile. Otone tentò di stringere un'alleanza con il rivale, arrivando persino a proporgli di diventare suo genero e di governare l'Impero con lui, ma fu inutile e la guerra successiva si concluse con la sconfitta di Otone che si suicidò per porre fine alla guerra che aveva già mietuto troppi Romani. Vitellio avrebbe pagato poco tempo dopo, quando dall'Oriente sarebbe arrivato un generale ben più forte di Otone e molto più ispirato dell'usurpatore: Tito Flavio Vespasiano.
Diciamo dunque buon compleanno all'Imperatore che fu debole nella vita e nobilissimo nella morte.

venerdì 21 aprile 2017

Dies Natalis

Lettor oggi è il 21 aprile, anniversario di quando Romolo, figlio di Marte, tracciò il pomerio. Si trattava del solco sacro che delimitavano le mura della nuova città.
In principio Romolo e Remo erano in disaccordo perché il primo voleva fondare la città sul colle Palatino, dove la lupa li aveva accuditi, l'altro invece voleva usare come base l'Aventino. Oltre a ciò solo uno di loro poteva essere il re e scegliere il nome della città. Quando Romolo vinse la sfida iniziò a tracciare il solco della nuova capitale del mondo a cui Giove aveva promesso un Impero senza fine.
Remo violò il pomerio dimostrando disprezzo e slealtà verso il fratello e disprezzo verso le leggi più sacre di quel mondo e meritando così di essere giustiziato dal fratello.
Così Romolo divenne il primo re della Città Eterna, fondata dai discendenti di Dardano scampati alla guerra di Troia, dai loro parenti Lats, dagli Etruschi, dai Sabini e da membri di moltissime altre nazioni in cerca di una nuova patria. A quei tempi moltissimi popoli fuggivano da qualcosa che non si riesce a comprendere: morte, qualcosa in oriente costringeva molti popoli a fuggire e a cercare una nuova patria che trovarono in Occidente.
Così i discendenti di tantissimi popoli si radunarono e costruirono la città che sarebbe diventata la capitale del Grande Impero.
Sono passati 2770 oggi, da quando Romolo diede inizio a questa storia.
Quante storie sono avvenute, quante sono state raccontate da quando eravamo una tribù di pastori. Lettor sii fiero: appartieni ad una famiglia di popoli che hanno fatto un mondo magnifico e che ne faranno uno migliore. 
Ovunque tu sia, qualunque sia la tua lingua e la tua nazione, ciò che le ha rese realtà è iniziato in questo giorno di 2770 anni fa. 
Buon Natale di Roma Lettor!

domenica 16 aprile 2017

Buona Pasqua

Erano passati tre giorni ormai da quando il Nazzareno era stato crocifisso e seppellito. Rufio, proprio come il suo centurione Longino, non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine di quell'uomo che pregava per il perdono dei suoi aguzzini. I suoi commilitoni avevano cercato di consolarlo, vedendo quanto era turbato, però non riuscivano a fargli capire che il mondo non era finito.
"Solo un altro esaltato morto per niente- gli diceva il suo vecchio amico Diogene- non crederai che quell' omuncolo valga più di tutti i nostri fratelli caduti contro i Parti? Almeno loro hanno combattuto per la loro vita."
"Lui però ha lottato per la vita degli altri" diceva Rufio senza smettere di abbassare lo sguardo. 
Sapeva molto bene dove si nascondevano i Dodici e gli altri seguaci del Nazzareno eppure non aveva intenzione di comunicarlo alle guardie del Tempio. Non voleva che cadessero nelle loro mani.
Rufio camminava per la città senza scopo. Longino gli aveva dato qualche giorno per riposare e riprendersi, ma a quale scopo? Se un uomo buono e giusto poteva essere messo a morte così facilmente e nemmeno le autorità di Roma potevano impedirlo, che senso aveva combattere? Per cosa?
Il legionario si ritrovò, senza sapere come ci era arrivato, davanti alla casa in cui si nascondevano i Dodici. Vide in quel momento una donna che bussava nervosa alla porta, le aprì uno dei Dodici. Rufio lì riconobbe entrambi: erano stati sotto la croce quel giorno.
Il legionario osservò con curiosità e cercò di ascoltare, ma non riusciva a sentire cosa si dicevano. Rufio decise di rimanere vicino alla porta, proprio come quella sera in cui il Nazzareno aveva mangiato la Pasqua mandandogli del cibo. Ad un certo punto uno dei discepoli uscì dalla porta, era il più vecchio tra loro, seguito da un altro, quello a cui era stata affidata la madre del Nazzareno. Si misero a correre e Rufio, senza sapere perché, ma desideroso di comprendere, li seguì cercando di non farsi vedere. Ma erano troppo determinati per guardarsi le spalle.
Ad un certo punto Rufio si accorse che i due correvano verso il sepolcro in cui avevano riposto il corpo del Nazzareno. Vide che la pietra posta all'ingresso era stata spostata, i due discepoli entrarono ed esaminarono la grotta per poi uscire con un'aria felice ed estasiata. Si misero di nuovo a correre verso la città senza notare il legionario nascosto dietro uno degli alberi. Appena si furono allontanati Rufio si avvicinò alla grotta. Era molto intimorito; nella sua terra natia, l'Etruria, grandi maledizioni attendevano chiunque avesse violato la tomba di un morto, però in quel luogo non c'era aria di morte. Una brezza leggera dava una bella sensazione e il Sole splendeva senza accaldare o abbagliare. 
Rufio entrò nel sepolcro intimorito ma curioso. Trovò un lungo velo, il sudario del Nazzareno, ma il corpo non c'era. 
Che cosa avevano fatto? Qualcuno lo aveva rubato? Di certo non erano stati quei due che aveva seguito. Ma se non loro, che erano i suoi discepoli più fedeli, chi? E come avevano superato le guardie poste a sorvegliare la porta? Cosa ne avevano fatto delle sue spoglie?
Rufio uscì dal sepolcro guardandosi intorno chiedendosi cosa doveva fare. Avrebbe radunato i suoi uomini e fatto irruzione nella casa dei discepoli del Nazzareno. Avrebbe preteso di sapere cosa stavano facendo.
"Doveva vai?"
Rufio si voltò e vide un uomo alto, vestito di bianco, che gli dava le spalle.
"Lo sai chi è stato?" chiese il legionario.
"A fare cosa?"
"Questo! Hanno profanato questo sepolcro e rubato il corpo che vi era seppellito!"
"Chi c'era seppellito?"
Rufio si voltò e fece per avviarsi verso Gerusalemme.
"Un uomo giusto- disse prima di incamminarsi- un certo Gesù."
"E perché dici che era sepolto lì?"
Rufio si voltò di nuovo e guardò quello strano individuo, anche se voltato aveva la sensazione di conoscerlo.
"Ne ha parlato tutta Gerusalemme. È stato ucciso, messo in croce tre giorni fa. Non lo sapevi?"
"Tutti coloro che conoscono le Sacre Scritture sono consapevoli che il Messia doveva soffrire e morire, come un agnello portato all'altare è sacrificato per il bene di tutti. Tu dovresti sapere che non vi è amore più grande che sacrificarsi per i propri amici. Davanti a questo amore persino la morte non può vincere."
Detto questo quell'uomo si voltò. Rufio fu investito da un lampo di luce prima che scomparisse così com'era apparso.
"Non è possibile..."
Riuscì a pensare solo questo mentre tornava alla caserma dei legionari. Vide il suo centurione Longino che aveva ripreso ad esercitarsi nel cortile, lo salutò e gli si avvicinò.
"Centurione- disse Rufio a Longino- avevi ragione, quel giorno sotto la croce."
Da quel giorno il legionario dell'Impero Romano seppe sempre per cosa valeva la pena sacrificarsi.

sabato 15 aprile 2017

Sabato Santo


Il centurione della Guardia Pretoriana guardò il crocevia sul sentiero poco lontano, finalmente i legionari erano arrivati. Il Sole era tramontato ormai, ma a poche miglia di distanza le luci e i rumori facevano sapere che Roma era sveglia come sempre. I legionari fecero dei segni con le torce dimostrando ai pretoriani di essere coloro che attendevano. 
Il centurione fece loro dei segnali e i due gruppi si incontrarono nella fattoria poco lontano. La sentinella della fattoria scese dalla sua torretta e avvertì le persone all'interno. Qualcuno si allarmò di sicuro mentre il centurione bussava.
Gli aprì un vecchio che sembrava molto energetico malgrado l'età.
"Maranatha Pietro!" disse il centurione.
"Maranatha Rufio! Benvenuto... così come ai tuoi uomini!"
I legionari e i pretoriani entrarono nella fattoria salutando le persone presenti, alcuni riconobbero i pretoriani e un uomo ritrovò suo fratello tra i legionari appena arrivati.
Pietro spiegò che tra le forze armate dell'Impero Romano moltissimi avevano chiesto il battesimo, proprio come alcuni dei legionari che avevano seguito Rufio nell'incontro con Pietro che quella sera diventavano Cristiani.
Quando tutti i presenti si furono radunati intorno a Pietro iniziò il momento preferito del centurione: la storia e la testimonianza di chi aveva conosciuto Gesù di persona.
"Te lo ricordi Rufio?"
"Come potrei dimenticarlo Pietro? Mi ci volle del tempo per capirlo... che avevo spiato il Re dei Re!"
"Qualcuno, nel nostro ultimo incontro, ha chiesto cosa facemmo subito dopo la morte di Gesù sulla croce. Furono giorni di attesa..."

venerdì 14 aprile 2017

Venerdì Santo

Rufio entrò nella caserma trafelato e venne accompagnato dal centurione. Longino si svegliava sempre molto presto per una corsa insieme alla truppa. Rufio vide il suo comandante nel cortile e si avvicinò per parlargli.
"Rufio- lo salutò il centurione ansimando- bentornato. Com'è andata la tua missione?"
"È stato arrestato dai Giudei... credo che vogliano ucciderlo."
"E allora?"
Rufio osservò il suo comandante e cominciò a chiederselo. E allora?
"Centurione... quell'uomo non lo merita."
Rufio raccontò al centurione ciò che aveva visto e ascoltato nei giorni in cui aveva seguito quel Gesù. Ad un certo punto uno dei servi del procuratore entrò nella caserma chiedendo una scorta. A quanto pareva i membri del Sinedrio si erano radunati davanti alla casa di Pilato e sembravano nervosi.
"Quando mai si è visto un Giudeo tranquillo?- disse Longino- va bene andiamo."
"Centurione permettimi di venire!"
"Non se ne parla- disse Longino- sei evidentemente stanco e..."
"Signore... chi tra noi conosce i Giudei, i loro costumi e le loro paure? Per favore... io so cosa sta succedendo e se..."
"Basta- disse Longino sospirando- in uniforme e poi con me! Ma se la cosa non riguarda quell'uomo che hai osservato dovrai rimanere in silenzio con il questore!"
Rufio accettò e si rivestì da legionario dell'Impero Romano, si sentì nuovamente un uomo libero.
I soldati romani si avviarono verso la casa del procuratore vedendo con orrore la folla inferocita che si era radunata.
Gli uomini di Longino si schierarono davanti alla casa del procuratore.
Lo studio del procuratore era un luogo molto solenne ma allo stesso tempo sobrio per un uomo del rango di Pilato. Lo vide seduto alla sua scrivania e il Nazzareno in piedi davanti a lui.
"Allora- stava dicendo Pilato- tu sei Re, di un regno che non è di questo mondo. Hai un grande esercito che non ha impedito il tuo arresto perché non è di questo mondo. Mi dici che senso ha tutto questo?"
Il Nazzareno rimaneva in silenzio, non aveva l'aria di uno sconfitto o di uno spavaldo, sembrava rassegnato.
Longino si avvicinò a procuratore Pilato e gli disse qualcosa. Intanto Rufio incorciò lo sguardo con Gesù. Sembrava sapere esattamente cosa stava succedendo, più di chiunque altro.
"Rufio" disse Longino richiamando l'attenzione del legionario. Il procuratore osservava il legionario in attesa di risposte.
Il soldato sospirò e disse: "Quest'uomo non è un criminale, ma un Rabbì, un Maestro che insegna le Scritture del suo popolo."
"E perché, secondo te legionario Quinto Rufio, il Sommo Sacerdote lo ha condannato a morte?" chiese il procuratore.
"Credo che siano invidiosi perché è molto popolare e il popolo lo rispetta più dei sacerdoti."
"Quindi è pericoloso?"
"No procuratore! Non ha soldati, nessun guerriero e nemmeno il denaro per acquistare armi e assoldare mercenari. È un maestro della sua religione, non un sobillatore, ha anche detto alla sua gente che è giusto pagare le tasse a Cesare."
"Dicono l'esatto contrario là fuori!"
"Procuratore... hanno mentito! Quest'uomo è innocente."
Pilato tornò a sedersi e guardò esasperato il prigioniero.
"E tu? Cos'hai da dire? Non hai nulla da rispondere su ciò di cui ti accusano?"
Gesù, rimanendo calmo come sempre rispose: "Io ho sempre parlato a tutti con semplicità e chiarezza. Ho sempre parlato per la verità. Chiunque segua la verità ascolta attento la mia voce."
"La verità?- disse Pilato- La verità, la verità... che cos'è la verità?"
Il Nazzareno non rispose.
Pilato si alzò e andò fuori per rivolgersi alla folla.
Rufio rimase nell'edificio a sorvegliare il prigioniero. Non parlava, non osservava niente e nessuno, sembrava che stesse pregando.
Poco dopo Pilato tornò nella sala.
"Molto bene! Guardie, prendetelo e portatelo al palazzo del tetrarca!"
Rufio osservò il procuratore con uno sguardo sorpreso.
"È un Galileo, e perciò suddito di Erode Antipa. È a lui che spetta giudicare quest'uomo."
Voleva evitare di esporsi e passava la rogna al tetrarca.
Gesù fu inviato dal tetrarca e Rufio alla caserma. Aveva bisogno di riposare, più di quanto credesse. Non riuscì a dormire e nemmeno a mangiare. 
Decise di uscire dalla caserma e di respirare un po' d'aria fresca. Erano passate alcune ore e la gente ancora era letteralmente accampata davanti al tribunale. 
Ad un certo punto le guardie del procuratore arrivarono alla caserma portando Gesù con un mantello rosso.
"Cosa ci fa qui?" chiese Rufio ad uno dei soldati.
"Erode Antipa lo ha rimandato da Pilato, a quanto pare si stanno scambiando di continuo questa tazza di aceto- disse la guardia- perciò il procuratore ordina di farlo percuotere in quanto sobillatore, poi lo lascerà andare."
Gesù fu portato dentro la caserma e il legionario fu angosciato perché sapeva fin troppo bene cosa lo aspettava. Longino non ebbe intenzione di farlo rimanere a sorvegliare il prigioniero, lo mandò insieme alle guardie che sorvegliavano il tribunale.
Quando fu più o meno l'ora quinta Gesù fu riportato presso il procuratore e al cospetto del Sommo Sacerdote. Rufio non credeva ai suoi occhi: era stato massacrato, grondava sangue e sul capo aveva una corona di spine, il mantello rosso lacerato. Rufio guardò Diogene che stava letteralmente trascinando quell'uomo. Come aveva potuto permettere che una punizione diventasse un massacro?
Pilato si rivolse al popolo e disse: "Nobilissimo Caifa, Sommo Sacerdote e voi tutti illustri membri del Sinedrio, mi avete portato quest'uomo per farmelo esaminare, io l'ho sottoposto al giudizio del tetrarca Erode Antipa, sovrano di Galilea. Entrambi non abbiamo trovato nessuna colpa in lui oltre che l'aver insultato la vostra autorità. Quindi l'ho fatto punire per questo e ora lo libererò, come prevede la legge!"
Il Sommo Sacerdote gridò contro Pilato: "Non puoi farlo! Noi lo abbiamo già condannato a morte e merita la crocifissione!"
Pilato era un politico astuto e non voleva sangue innocente sulle mani, perciò aveva già in mente una soluzione. Era tradizione che, a Pasqua, le autorità romane rilasciassero un prigioniero scelto dal popolo, Pilato fece perciò convocare un assassino, Rufio lo conosceva bene: si chiamava Barabba, un assassino.
"Dunque Giudei, chi volete che vi rilasci? Barabba, oppure Gesù detto il re dei Giudei?"
La folla iniziò a gridare il nome di Barabba, sobillata dai sacerdoti e dagli altri membri del Sinedrio.
"Giudei, cosa devo fare quindi, con questo Gesù?" chiese Pilato.
"Crocifiggilo!" iniziarono ad urlare alcuni, seguiti dal resto del popolo.
"Giudei... devo crocifiggere il vostro re?"
"Noi non abbiamo altro re se non Cesare!" risposero i sacerdoti.
"Ma cosa vi ha fatto di male?"
Pilato non era il solo a chiederlo. Rufio non riusciva a capire. Cosa aveva fatto di male?
"Va bene! Ma il suo sangue non deve ricadere sulle mie mani! Me le lavo le mie mani, perché non sono responsabile della morte di quest'uomo."
"Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli! Crocifiggilo!" dissero gli uomini della folla. Pilato si fece portare una bacinella d'acqua e si lavò le mani. Si lavò le mani di quel sangue.
Longino prese il prigioniero con i suoi uomini portandolo verso il colle del teschio. 
Rufio si avviò verso la caserma, non poteva fare più niente per lui. 
Nessuno gli disse nulla, rimase in silenzio aspettando. Non sapeva cosa, ma aspettava.
Ad un certo punto decise di salire sul colle del teschio. Era quasi l'ora nona. 
Quando Rufio arrivò in cima al colle vide Gesù messo in croce insieme ad altri due, dei ladri come dicevano i cartelli posti sulle croci, ma sulla sua croce il cartello diceva che quello era "Gesù di Nazaret, re dei Giudei", così Pilato si era vendicato di Caifa.
Alcune donne stavano piangendo ai piedi della croce, Longino le osservava commosso.
Gesù stava dicendo qualcosa. Rufio riuscì solo a comprendere la parola "Padre". Un vento forte iniziò a soffiare e a portare una grande nube nera che oscurò il cielo.
Poi Gesù gridò e la terra iniziò a tremare. Poi lui spirò e tutto fu di nuovo fermo.
Era incredibile che fosse già morto, soprattutto con le gambe ancora intatte, di solito ci volevano anche giorni, a meno che le gambe non venissero rotte perché il condannato soffocasse in breve tempo. Lui era morto in meno di tre ore. Il centurione Longino prese una lancia e trafisse il costato di Gesù. Era morto veramente.
Mentre iniziavano a mettere giù il corpo Longino si avvicinò a Rufio, aveva un'aria abbattuta.
"Avevano ragione- disse il centurione- quest'uomo era veramente figlio di Dio!"

giovedì 13 aprile 2017

Giovedì Santo

 A Rufio piaceva il concetto della Pasqua: un intero popolo che si ritirava tra le mura domestiche per mangiare, pregare e gioire in ricordo di quando il loro Dio aveva liberato la loro gente dalla schiavitù più di mille anni prima. Anche quel Gesù e i suoi discepoli più cari stavano eseguendo la stessa tradizione mentre il legionario si era ormai convinto che gli insegnamenti di quell'uomo non fossero una minaccia per l'ordine romano in Giudea.
Ad un certo punto una donna uscì dalla casa e si diresse verso il luogo in cui era appostato il legionario, portava un fagotto e una borraccia. Inutile dire che Rufio rimase a dir poco sbalordito quando lei gli cibo appoggiò il cibo e il vino davanti.
"Il Maestro dice che nessuno deve stare a digiuno questa notte" disse la donna prima di voltarsi e di correre verso la casa.
Rufio non aveva mai visto una cosa del genere: non era impossibile che quel Gesù e i suoi si fossero accorti di essere seguiti da qualcuno che non fosse dei loro, ma perché offrire del cibo ad una spia? Gesù non era tipo da avvelenare qualcuno, però forse avrebbe cercato di sfuggirgli. Nel fagotto Rufio trovò del pane, della carne d'agnello e del formaggio di capra, pietanze semplici che però gli sembravano le cose più buone che avesse mai assaggiato. La borraccia invece conteneva un vino così dolce che gli fece dimenticare i sapori dell'Etruria.
Poco dopo il pasto Rufio vide uno degli uomini del Nazzareno che usciva e si metteva a correre verso il centro della città; era quello che conservava la borsa e gestiva il denaro della compagnia.
Poco dopo anche il Nazzareno e gli altri discepoli uscirono e si diressero verso il bosco degli ulivi e il colle al suo centro. Rufio li seguì stando attento a non farsi vedere, anche se era sicuro che quel Gesù sapesse molto bene chi lo stava seguendo.
Mentre li spiava Rufio si rese conto che Gesù sembrava agitato, o meglio, triste. Ad un certo punto ordinò ai suoi discepoli di aspettare mentre andava a pregare suo Padre.
Rufio si acquattò dietro un albero rimanendo a distanza. La luna era la sola fonte di luce in quel bosco, ma quella sera sembrava più luminosa, però non era una serata felice. Rufio vide che i discepoli si stavano addormentando. Gesù scese dal colle in cui si era ritirato e svegliò i suoi discepoli rimproverandoli e dicendo loro di pregare, poi salì di nuovo, i discepoli pregarono per un po' prima di sdraiarsi e addormentarsi di nuovo. In quel momento Rufio vide una grande luce sulla cima del colle che si affievolì pian piano fino a spegnersi. Gesù scese di nuovo e ancora svegliò i suoi discepoli chiedendo loro di pregare, ma ancora una volta non riuscirono a resistere e si appisolarono. Era curioso in effetti: anche Rufio era stanco, però riusciva a rimanere sveglio. Forse avevano mangiato troppo, ma perché il loro maestro era così nervoso?
Quando scese per la terza volta Gesù sembrava rassegnato ma anche più tranquillo di quando era arrivato nel campo. 
Allora Rufio sentì un vento gelido, si voltò e vide un gruppo di uomini armati salire il colle con torce, lance e bastoni. Quando furono più vicini Rufio riconobbe il discepolo che aveva abbandonato la cena dei discepoli prima degli altri.
Un traditore.
Rufio lo vide mentre dava un bacio sulla guancia per poi fuggire. Doveva essere un segnale per indicarlo e infatti, dopo che il traditore si fu allontanato, i soldati dei sacerdoti afferrarono Gesù dichiarandolo in arresto nel nome del Sinedrio.
Uno dei discepoli estrasse una piccola spada e colpì uno degli uomini tagliandogli un orecchio.
"Pietro- gli disse Gesù- riponi la tua spada... perché chi colpirà con la spada... perirà per spada."
Il discepolo fece cadere la spada e subito fuggì insieme agli altri, mentre Gesù toccava la ferita del servo appena mutilato. Rufio avrebbe giurato di vedere la ferita rimarginata e l'orecchio del servo ripristinato.
Mentre i soldati portavano via il Maestro come un prigioniero e un criminale, il legionario si alzò e iniziò a correre, inciampò e si rialzò, si mosse nel buio fino alla città. Non sapeva da cosa stesse scappando o cosa volesse raggiungere, Rufio sapeva solo che un uomo giusto era stato arrestato sotto i suoi occhi e decise di fare qualcosa.
Arrivò davanti alla caserma e vide con sollievo che Diogene era di guardia. Lo convinse a radunare dei legionari per fermare quel sopruso. Intercettarono i soldati del Tempio che portavano il Nazzareno legato verso la sede del Sinedrio e fecero loro segno di fermarsi.
"Fermi in nome di Roma!"
"Cosa volete?" chiese il capo delle guardie.
"Cosa state facendo?"
"Quest'uomo parla contro il Tempio e causa scompiglio, il Sommo Sacerdote ha ordinato il suo arresto."
"Sapete che il Sommo Sacerdote non ha l'autorità di..."
"Il Sommo Sacerdote può ordinare l'arresto di chi viola la Legge di Mosè!"
Diogene si avvicinò a Rufio e lo avvisò che in effetti era vero, solo le condanne a morte erano prerogativa del procuratore Pilato, ma quelle erano guardie del Tempio e avevano l'autorità di prendere in arresto un sobillatore.
"Voi non avete il diritto di..."
"Cosa ne sai tu dei nostri diritti e delle nostre leggi, Romano?"
Le guardie cominciavano ad essere molto nervose e forse di sarebbe arrivati alle armi.
"Aspetta- disse il prigioniero- ciò che sta per accadere è volontà del Padre mio e tutto si deve compiere come fu scritto."
Rufio lo guardò per alcuni secondi, poi il capo dei soldati giudei si frappose tra i due osservando il legionario con uno sguardo bestiale. Rufio credette di vedere degli occhi neri come quelli del terribile Charun, guardiano dei morti.
"Non osare opporti al volere di Dio" disse la guardia quasi sibilando.
Rufio si fece da parte, capendo che non aveva l'autorità di impedire quell'arresto e il processo imminente.



mercoledì 12 aprile 2017

Mercoledì Santo

Rufio ritrovò il gruppo di Giudei, Galilei, Samaritani e altri radunati attorno ad alcuni falò. Era vestito come uno di loro e con il buio non sarebbe stato riconosciuto, non gli ci volle molto a riconoscere quel Gesù, seduto in mezzo ai suoi discepoli e anche alcuni farisei del Tempio si erano radunati a conversare con lui. Rufio riconobbe uno di loro, un saggio molto rispettato a Gerusalemme, si chiamava Nicodemo e conversava con Gesù su un tema particolare. Il Nazzareno stava dicendo che gli uomini devono rinascere per entrare in quello che chiamava "il Regno".
Anche i Romani conoscevano il concetto di reincarnazione, ma il discorso che ascoltò quella sera fu qualcosa che non sarebbe riuscito a dimenticare.
Mentre il Romano imparava, tuttavia, un Giudeo, dentro le mura, discuteva su quanto denaro ci volesse perché di Gerusalemme non rimanesse pietra su pietra.