giovedì 13 aprile 2017

Giovedì Santo

 A Rufio piaceva il concetto della Pasqua: un intero popolo che si ritirava tra le mura domestiche per mangiare, pregare e gioire in ricordo di quando il loro Dio aveva liberato la loro gente dalla schiavitù più di mille anni prima. Anche quel Gesù e i suoi discepoli più cari stavano eseguendo la stessa tradizione mentre il legionario si era ormai convinto che gli insegnamenti di quell'uomo non fossero una minaccia per l'ordine romano in Giudea.
Ad un certo punto una donna uscì dalla casa e si diresse verso il luogo in cui era appostato il legionario, portava un fagotto e una borraccia. Inutile dire che Rufio rimase a dir poco sbalordito quando lei gli cibo appoggiò il cibo e il vino davanti.
"Il Maestro dice che nessuno deve stare a digiuno questa notte" disse la donna prima di voltarsi e di correre verso la casa.
Rufio non aveva mai visto una cosa del genere: non era impossibile che quel Gesù e i suoi si fossero accorti di essere seguiti da qualcuno che non fosse dei loro, ma perché offrire del cibo ad una spia? Gesù non era tipo da avvelenare qualcuno, però forse avrebbe cercato di sfuggirgli. Nel fagotto Rufio trovò del pane, della carne d'agnello e del formaggio di capra, pietanze semplici che però gli sembravano le cose più buone che avesse mai assaggiato. La borraccia invece conteneva un vino così dolce che gli fece dimenticare i sapori dell'Etruria.
Poco dopo il pasto Rufio vide uno degli uomini del Nazzareno che usciva e si metteva a correre verso il centro della città; era quello che conservava la borsa e gestiva il denaro della compagnia.
Poco dopo anche il Nazzareno e gli altri discepoli uscirono e si diressero verso il bosco degli ulivi e il colle al suo centro. Rufio li seguì stando attento a non farsi vedere, anche se era sicuro che quel Gesù sapesse molto bene chi lo stava seguendo.
Mentre li spiava Rufio si rese conto che Gesù sembrava agitato, o meglio, triste. Ad un certo punto ordinò ai suoi discepoli di aspettare mentre andava a pregare suo Padre.
Rufio si acquattò dietro un albero rimanendo a distanza. La luna era la sola fonte di luce in quel bosco, ma quella sera sembrava più luminosa, però non era una serata felice. Rufio vide che i discepoli si stavano addormentando. Gesù scese dal colle in cui si era ritirato e svegliò i suoi discepoli rimproverandoli e dicendo loro di pregare, poi salì di nuovo, i discepoli pregarono per un po' prima di sdraiarsi e addormentarsi di nuovo. In quel momento Rufio vide una grande luce sulla cima del colle che si affievolì pian piano fino a spegnersi. Gesù scese di nuovo e ancora svegliò i suoi discepoli chiedendo loro di pregare, ma ancora una volta non riuscirono a resistere e si appisolarono. Era curioso in effetti: anche Rufio era stanco, però riusciva a rimanere sveglio. Forse avevano mangiato troppo, ma perché il loro maestro era così nervoso?
Quando scese per la terza volta Gesù sembrava rassegnato ma anche più tranquillo di quando era arrivato nel campo. 
Allora Rufio sentì un vento gelido, si voltò e vide un gruppo di uomini armati salire il colle con torce, lance e bastoni. Quando furono più vicini Rufio riconobbe il discepolo che aveva abbandonato la cena dei discepoli prima degli altri.
Un traditore.
Rufio lo vide mentre dava un bacio sulla guancia per poi fuggire. Doveva essere un segnale per indicarlo e infatti, dopo che il traditore si fu allontanato, i soldati dei sacerdoti afferrarono Gesù dichiarandolo in arresto nel nome del Sinedrio.
Uno dei discepoli estrasse una piccola spada e colpì uno degli uomini tagliandogli un orecchio.
"Pietro- gli disse Gesù- riponi la tua spada... perché chi colpirà con la spada... perirà per spada."
Il discepolo fece cadere la spada e subito fuggì insieme agli altri, mentre Gesù toccava la ferita del servo appena mutilato. Rufio avrebbe giurato di vedere la ferita rimarginata e l'orecchio del servo ripristinato.
Mentre i soldati portavano via il Maestro come un prigioniero e un criminale, il legionario si alzò e iniziò a correre, inciampò e si rialzò, si mosse nel buio fino alla città. Non sapeva da cosa stesse scappando o cosa volesse raggiungere, Rufio sapeva solo che un uomo giusto era stato arrestato sotto i suoi occhi e decise di fare qualcosa.
Arrivò davanti alla caserma e vide con sollievo che Diogene era di guardia. Lo convinse a radunare dei legionari per fermare quel sopruso. Intercettarono i soldati del Tempio che portavano il Nazzareno legato verso la sede del Sinedrio e fecero loro segno di fermarsi.
"Fermi in nome di Roma!"
"Cosa volete?" chiese il capo delle guardie.
"Cosa state facendo?"
"Quest'uomo parla contro il Tempio e causa scompiglio, il Sommo Sacerdote ha ordinato il suo arresto."
"Sapete che il Sommo Sacerdote non ha l'autorità di..."
"Il Sommo Sacerdote può ordinare l'arresto di chi viola la Legge di Mosè!"
Diogene si avvicinò a Rufio e lo avvisò che in effetti era vero, solo le condanne a morte erano prerogativa del procuratore Pilato, ma quelle erano guardie del Tempio e avevano l'autorità di prendere in arresto un sobillatore.
"Voi non avete il diritto di..."
"Cosa ne sai tu dei nostri diritti e delle nostre leggi, Romano?"
Le guardie cominciavano ad essere molto nervose e forse di sarebbe arrivati alle armi.
"Aspetta- disse il prigioniero- ciò che sta per accadere è volontà del Padre mio e tutto si deve compiere come fu scritto."
Rufio lo guardò per alcuni secondi, poi il capo dei soldati giudei si frappose tra i due osservando il legionario con uno sguardo bestiale. Rufio credette di vedere degli occhi neri come quelli del terribile Charun, guardiano dei morti.
"Non osare opporti al volere di Dio" disse la guardia quasi sibilando.
Rufio si fece da parte, capendo che non aveva l'autorità di impedire quell'arresto e il processo imminente.



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