Erano passati tre giorni ormai da quando il Nazzareno era stato crocifisso e seppellito. Rufio, proprio come il suo centurione Longino, non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine di quell'uomo che pregava per il perdono dei suoi aguzzini. I suoi commilitoni avevano cercato di consolarlo, vedendo quanto era turbato, però non riuscivano a fargli capire che il mondo non era finito.
"Solo un altro esaltato morto per niente- gli diceva il suo vecchio amico Diogene- non crederai che quell' omuncolo valga più di tutti i nostri fratelli caduti contro i Parti? Almeno loro hanno combattuto per la loro vita."
"Lui però ha lottato per la vita degli altri" diceva Rufio senza smettere di abbassare lo sguardo.
Sapeva molto bene dove si nascondevano i Dodici e gli altri seguaci del Nazzareno eppure non aveva intenzione di comunicarlo alle guardie del Tempio. Non voleva che cadessero nelle loro mani.
Rufio camminava per la città senza scopo. Longino gli aveva dato qualche giorno per riposare e riprendersi, ma a quale scopo? Se un uomo buono e giusto poteva essere messo a morte così facilmente e nemmeno le autorità di Roma potevano impedirlo, che senso aveva combattere? Per cosa?
Il legionario si ritrovò, senza sapere come ci era arrivato, davanti alla casa in cui si nascondevano i Dodici. Vide in quel momento una donna che bussava nervosa alla porta, le aprì uno dei Dodici. Rufio lì riconobbe entrambi: erano stati sotto la croce quel giorno.
Il legionario osservò con curiosità e cercò di ascoltare, ma non riusciva a sentire cosa si dicevano. Rufio decise di rimanere vicino alla porta, proprio come quella sera in cui il Nazzareno aveva mangiato la Pasqua mandandogli del cibo. Ad un certo punto uno dei discepoli uscì dalla porta, era il più vecchio tra loro, seguito da un altro, quello a cui era stata affidata la madre del Nazzareno. Si misero a correre e Rufio, senza sapere perché, ma desideroso di comprendere, li seguì cercando di non farsi vedere. Ma erano troppo determinati per guardarsi le spalle.
Ad un certo punto Rufio si accorse che i due correvano verso il sepolcro in cui avevano riposto il corpo del Nazzareno. Vide che la pietra posta all'ingresso era stata spostata, i due discepoli entrarono ed esaminarono la grotta per poi uscire con un'aria felice ed estasiata. Si misero di nuovo a correre verso la città senza notare il legionario nascosto dietro uno degli alberi. Appena si furono allontanati Rufio si avvicinò alla grotta. Era molto intimorito; nella sua terra natia, l'Etruria, grandi maledizioni attendevano chiunque avesse violato la tomba di un morto, però in quel luogo non c'era aria di morte. Una brezza leggera dava una bella sensazione e il Sole splendeva senza accaldare o abbagliare.
Rufio entrò nel sepolcro intimorito ma curioso. Trovò un lungo velo, il sudario del Nazzareno, ma il corpo non c'era.
Che cosa avevano fatto? Qualcuno lo aveva rubato? Di certo non erano stati quei due che aveva seguito. Ma se non loro, che erano i suoi discepoli più fedeli, chi? E come avevano superato le guardie poste a sorvegliare la porta? Cosa ne avevano fatto delle sue spoglie?
Rufio uscì dal sepolcro guardandosi intorno chiedendosi cosa doveva fare. Avrebbe radunato i suoi uomini e fatto irruzione nella casa dei discepoli del Nazzareno. Avrebbe preteso di sapere cosa stavano facendo.
"Doveva vai?"
Rufio si voltò e vide un uomo alto, vestito di bianco, che gli dava le spalle.
"Lo sai chi è stato?" chiese il legionario.
"A fare cosa?"
"Questo! Hanno profanato questo sepolcro e rubato il corpo che vi era seppellito!"
"Chi c'era seppellito?"
Rufio si voltò e fece per avviarsi verso Gerusalemme.
"Un uomo giusto- disse prima di incamminarsi- un certo Gesù."
"E perché dici che era sepolto lì?"
Rufio si voltò di nuovo e guardò quello strano individuo, anche se voltato aveva la sensazione di conoscerlo.
"Ne ha parlato tutta Gerusalemme. È stato ucciso, messo in croce tre giorni fa. Non lo sapevi?"
"Tutti coloro che conoscono le Sacre Scritture sono consapevoli che il Messia doveva soffrire e morire, come un agnello portato all'altare è sacrificato per il bene di tutti. Tu dovresti sapere che non vi è amore più grande che sacrificarsi per i propri amici. Davanti a questo amore persino la morte non può vincere."
Detto questo quell'uomo si voltò. Rufio fu investito da un lampo di luce prima che scomparisse così com'era apparso.
"Non è possibile..."
Riuscì a pensare solo questo mentre tornava alla caserma dei legionari. Vide il suo centurione Longino che aveva ripreso ad esercitarsi nel cortile, lo salutò e gli si avvicinò.
"Centurione- disse Rufio a Longino- avevi ragione, quel giorno sotto la croce."
Da quel giorno il legionario dell'Impero Romano seppe sempre per cosa valeva la pena sacrificarsi.
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