Decidemmo di assicurare nostro nonno sul fatto che noi due avremmo regnato alla pari, entrambi avremmo condiviso il potere, la ricchezza e avremmo guidato i Latini insieme. Nostro nonno voleva esserne sicuro e così gli chiedemmo il permesso di fondare una nuova città, un luogo dedicato a nostro padre Marte che avremmo reso grande in magnificenza e splendore che avremmo governato dimostrando le nostre ragioni. Re Numitore accettò questa proposta promettendo che, una volta sperimentata la coreggenza, alla sua morte avremmo regnato su Alba Longa come suo padre prima di lui e come tutti i nostri avi fino ad Ascanio, figlio di Enea.
Andammo nella zona in cui eravamo stati trovati dalla lupa, riconoscevamo quei luoghi come casa nostra e conoscevamo quel territorio come nessun altro. Due colline nei dintorni ci attiravano: il colle Aventino, vicino al fiume e il colle Palatino dove si trovava la grotta della lupa. In effetti il Palatino era casa nostra. Re Numitore aveva messo a disposizione dell'iniziativa carpentieri, muratori e tutte le risorse del regno dei Latini e il collegio dei sacerdoti Auguri venne per benedire la fondazione. Purtroppo dovettero domandarci in quale zona volevamo costruire esattamente.
Fu lì che nacque la nostra disputa.
Io dissi: "Dobbiamo fondare la città sul colle Aventino per poter controllare al meglio il traffico sul fiume Tevere."
Mio fratello disse: "No, la città va fondata sul colle Palatino che è più difendibile e su un terreno più fertile."
"Principi.... come si chiamerà la città? Il suo nome pubblico" chiese uno degli Auguri.
Il vero nome era già stato deciso, il nome sacro e segreto da custodire per l'Eternità. Dovevamo scegliere un nome pubblico.
"La chiameremo Remora" dissi io.
"No! La chiameremo Roma in onore della lupa che qui ci allattò!" disse mio fratello.
Gli Auguri decisero di farci fare una sfida per far capire chi aveva il favore divino per scegliere il luogo è il nome della nuova città. Io e mio fratello osservammo i colli e iniziammo a contare gli uccelli, io ne vidi volare dodici, mio fratello quattordici. Gli Auguri dissero che la volontà divina indicava mio fratello come fondatore e re della nuova città. Non era giusto, noi due eravamo alla pari! Era stato deciso così.
Eppure mio fratello, Romolo, stava tracciando con un aratro intorno al Palatino il Pomerio, ovvero il solco su cui sarebbero sorte le mura della città. Non era giusto, quella doveva essere anche la mia città.
Questo è accaduto fino ad ora, in questo giorno in cui io sfido mio fratello e violo il suo Pomerio così come lui ha violato il mio diritto.
Ecco perché Remo commise il sacrilegio di violare il solco delle nuove mura.
"Cos'hai fatto fratello?" chiese Romolo appena Remo ebbe messo piede dentro il Pomerio.
"SACRILEGIO" gridavano gli Auguri e tutti gli altri sacerdoti nella vallata.
Romolo estrasse la spada e corse verso suo fratello preso dall'ira per il sacrilegio di Remo.
Al cospetto del Pomerio il sangue di Remo si sparse consacrando quella terra.
Romolo si risollevò e guardò i sacerdoti che annuirono poiché la legge era stata rispettata.
Romolo, il primo re di Roma, destinato a diventare Quirinio dio dei Romani, fissò poi il mondo e disse:
"Dunque venite, tutti voi, genti di tutto il mondo. Fondiamo la Città, fondiamo un nuovo ordine. Fondiamo un sogno che crescerà dando ai nostri discendenti un cuore, un'anima, un'eredità che li renderà grandi e capaci di vivere l'Eternità. Fondiamo la Città che renderà il mondo una patria. Fondiamo la legge, il valore, l'onore e l'unità. Venite a me popoli di tutto il mondo, non ci saranno differenze, non ci saranno oppressori, ci sarà solo il merito e l'eredità. Fondiamo la Città che sarà eterna e sempre nuova."