lunedì 30 maggio 2016

Il poema della vita umana

Era il 1906 quando il segretario generale della Biennale di Venezia, Antonio Fradeletto, propose a Giulio Aristide Sartorio di realizzare qualcosa di notevole: un'opera capace di mostrare, con l'ausilio della mitologia e della sua simbologia "il poema della vita umana".
L'opera è suddivisa in quattro scene principali: la Luce, le Tenebre, l'Amore e la Morte, circondate da teleri in cui vengono rappresentate la Grazia e l'Arte sostenute da Juventus, l'energia virile.
Il ciclo parte dalla nascita e dalle forze ostili che la insidiano e si conclude con la morte a cui si oppone un alter ego del artista che colloquia con la Sfinge.
A presidiare i due estremi della storia dell'Umanità ci sono le Tenebre da cui viene e in cui va la vita è viene illustrato anche il conflitto tra Eros e Himeros, l'Amore e il Desiderio irrefrenabile.
Sartorio, con l'approvazione di D'Annunzio, fonde con il fuoco della sua arte gli elementi della mitologia dei popoli mediterranei con le idee del filosofo Nietzsche e del suo concetto di eterno ritorno, con le Tenebre e la Morte che seguono un movimento rotatorio.
240 metri quadri di dipinto in soli nove mesi, quattordici scene realizzate in occasione della Biennale di Venezia del 1907, rimaste esposte fino al 1909, nell'inaugurazione successiva.
 Un'opera capace di esporre la potenza delle forze che sono sprigionate da un elemento così piccolo e insignificante rispetto alla vastità dell'Abisso in cui vaghiamo. Solo qualcuno capace di comprendere questa condizione, di sentire quest'energia e il suo ciclo, poteva essere l'artista capace di realizzare un'opera simile.
Dimmi Lettor, tu cosa vedi in questo ciclo?


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