sabato 24 dicembre 2016

E pace in terra a tutti quelli di buona volontà

Carlo uscì dall'emporio e assaporò l'aria fresca. Il piccolo paese in provincia di Vicenza in cui la sua famiglia passava le feste era esattamente ciò che gli serviva: campagna, pace, ossigeno a volontà e silenzio. Ci stava davvero bene.
Appena uscito dall'emporio Carlo si diresse verso la strada di casa con la sua spesa: formaggio grana grattugiato e due confezioni di sfoglia velo per il pasticcio di radicchio che sua madre avrebbe preparato per il giorno dopo, il giorno di Natale.
Una vigilia serena, bella e tranquilla.
Carlo sollevò lo sguardo e vide qualcosa che non si aspettava: un pappagallo, verde e con delle macchie rosse sugli occhi che volava tra le case.
"Ma cosa ci fa un pappagallo in Veneto?" pensò Carlo.
"Un randagio...povera bestia" disse una voce accanto a lui.
Carlo si voltò di scatto e vide con sorpresa un uomo con il suo stesso volto e gli occhiali da sole.
"Ma che...?"
"Non ricordi?"
A Carlo tornò in mente il Narratore che gli aveva promesso di tornare.
"Era un bel po' che non ti si vedeva" disse Carlo.
"Ho avuto molto da fare e anche tu."
"Beh...tanti auguri!"
"Grazie. Pronto per il capitolo finale di questa storia?"
"Veramente..." prima di poter dire qualcos'altro Carlo si rese conto di essere in mezzo ad un territorio desertico, anche se non proprio caldo. Si vedevano delle macchie di verde a distanza ed era quasi il tramonto. 
"Dove siamo?"
"Dove sei tu devi dire! Comunque lo saprai abbastanza presto. Intanto dimmi: che cosa hai imparato dalle storie che ti ho fatto raccontare?"
"Imparato? Erano storie che conosco molto bene e avevano la loro morale, il loro valore..."
"Eppure non hai agito come tale, non sembri aver colto il loro messaggio...ma vedremo se adesso sarà possibile per te cogliere davvero qualcosa."
"Verrai con me?"
"Certo...questa è la storia per eccellenza: fine e principio. L'hai sentita per tutta la tua vita, innumerevoli volte, e adesso vedremo se la saprai riconoscere. Dobbiamo andare di là, verso nord!"
Il Narratore indicò una direzione e si incamminò.
"Mi dici dove siamo per favore?" 
"Ci sei già stato qui. È la terra di Giudea, governata dal re Erode il Grande. Di là, ad Occidente, il grande Impero Romano sta prendendo il comando del Mare Interno con Ottaviano Augusto che getta le basi che Cesare ha sognato per il futuro. Ad Oriente il Gran Re dei Parti domina un potente popolo pronto ad ostacolare l'avanzata di Roma. Qui, nel mezzo, sta per venire qualcuno che li vincerà e li salverà tutti."
Dopo il racconto del Narratore Carlo sollevò lo sguardo e vide qualcosa, ben lontano dal Sole ormai rosso, dietro alle nuvole nell'azzurro scuro c'era una stella che brillava più di tutte le altre.
"Mi stai dicendo che quella è...?"
"Sì Carlo. Noi siamo diretti sotto quella stella e farai meglio a tenere il passo."
Era difficile perché il Narratore camminava molto velocemente.
"Ma sei sicuro che passeremo inosservati?" chiese Carlo.
"Quando saremo sotto la stella ci sarà uno spettacolo ben più grande da vedere e nessuno guarderà i tuoi abiti o i tuoi occhiali."
"Ma tu mi stai prendendo in giro? Siamo davvero al primo Natale?"
"Visto come sono arrivato da te la prima volta posso capire che tu abbia qualche dubbio ma ti assicuro che non ho intenzione di scherzare con te. Adesso muoviti!"
"Puoi rallentare per favore?"
"No! Non dobbiamo perdere tempo e poi così magari calerai un po' quella pancia!"
Camminarono per diverse ore vedendo diverse carovane composte da uomini e donne di tutte le età che tiravano cammelli e asini carichi di diversi bagagli e passeggeri. Carlo rimase estasiato alla vista di alcuni uomini a cavallo con mantelli rossi e pennacchi sugli elmi.
"Quelli sono..."
"Sì! Romani, soldati del Grande Impero che stanno agendo per controllare la frontiera e fare sì che ovunque sia fatta la volontà dell'Imperatore."
"Ma è magnifico...veri cavalieri e veri...."
"MUOVITI!"
Carlo si scosse ricominciò a correre raggiungendo il suo accompagnatore.
"Lo so che la storia di quegli uomini è la tua passione, ma tra poco vedrai qualcosa di molto più importante, qualcosa di magnifico."
"Credi che non lo sappia? Ma cosa vedremo se...?"
"Guarda lì invece di parlare!"
Carlo vide una grossa carovana con tre vessilli che portavano il simbolo di tre nobili, tre principi importanti dell'Oriente. Uomini saggi e molto potenti che seguivano quella stella molto più luminosa di tutto il firmamento.
Erano molto lontani e presto li persero di vista, da lontano si vedevano delle luci: ormai l'oscurità era quasi del tutto calata. 
"Quella è Betlemme?"
"Esatto, anche se molto diversa da quella che conosci, quella che hai visitato nel tuo presente. Anche oggi si può dire che ha visto tempi migliori, ma nessun momento paragonabile a questa notte. Guarda lassù! Sulla collina!"
A poca distanza dalla città, sulla campagna, alcuni uomini stavano guardando in alto, verso il cielo. Erano illuminati come se il Sole stesse ancora brillando su di loro.
"Chi sono loro?"
"I pastori, gli umili, gli ignoranti, i pezzenti. Nella tua epoca li chiamerebbero i falliti. Coloro a cui è destinato il Salvatore che oggi sta nascendo: il Messaggero è andato a dir loro cosa sta per accadere e di andare alla grotta. Ci arriveremo giusto in tempo."
La grotta di Betlemme. Stavano andando proprio lì e non erano i soli.
"Sai che la grotta in cui quella famiglia si è rifugiata è parte di una casa? In quest'epoca la casa è divisa in alloggi e stalla che ospita gli animali e gli alti beni della famiglia. Quando serve questa ospita anche gli ospiti e i rifugiati. Maria e Giuseppe non sono stati rifiutati, sono stati accolti molto generosamente. Almeno quanto quel dono che stanno per ricevere."
Carlo osservò la casa che il Narratore stava indicando. Diverse persone stavano arrivando intorno ad essa e si raggruppavano mentre si udivano i versi di un bambino appena nato che assaporava l'aria per la prima volta.
"Posso?" chiese Carlo.
"Non dare nell'occhio però" rispose il Narratore con un ghigno.
Carlo si avvicinò e si fece spazio tra i pastori, le donne e i bambini che osservavano quella scena. 
Un uomo alto e forte con una folta barba nera proteggeva una piccola donna molto giovane, bella e dall'aria stanca ma con un'aria così felice e amorevole davanti al bimbo che giaceva in una mangiatoia al centro della stalla.
Carlo riconobbe i tre uomini che aveva visto a capo della carovana nel deserto: erano prostrati al cospetto del bimbo. Aprirono tre scrigni e mostravano i loro doni.
"A questo bambino io porto in dono l'oro perché è il vero Re del mondo" disse il primo.
"A questo bambino porto in dono l'incenso che, se bruciato, emana l'aroma delle preghiere degli uomini. Segno del fatto che lui è il figlio di Dio" disse il secondo.
Il terzo fece un sospiro e disse: "A questo bambino io porto in dono la mirra, che protegge dalle malattie e rende sani i corpi. Per rendere onore al suo dono e al suo sacrificio."
Il bambino sembrò sorridere.
Carlo chiuse gli occhi e li riaprì nel deserto: stesso posto e tempo in cui era iniziato il viaggio.
"Ma cosa...?"
"Spero davvero che tu abbia imparato qualcosa questa volta" disse il Narratore.
"Grazie...io...io cercherò di ricordare il vero significato di questa storia. Ma...ma tu...chi sei?"
Il Narratore sorrise. Era strano per Carlo vedere il suo stesso voltò sorridergli. Lentamente il Narratore si tolse gli occhiali e una luce intensa si propagò intorno ad entrambi.
"Non chi qualcuno potrebbe pensare. Spero davvero che tu possa essere ispirato da ciò che accadde e che accadrà ancora."
"Dove ti trovo se ho bisogno di parlati ancora?"
"Dove mi trovano tutti caro Carlo. Ricorda solo queste parole, quelle che furono pronunciate durante il primo Natale: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra a tutti gli uomini di buona volontà. Ricorda la storia di quel bambino e ciò che ti può insegnare."
"Ma perché a me?"
"Perché anche tu racconterai questa storia. E buon Natale!"
Carlo chiuse gli occhi e li riaprì in mezzo a quella strada, davanti all'emporio con il sacchetto della spesa in mano. Un piccolo uomo, in un grande mondo con delle storie da raccontare.
"Buon Natale" disse Carlo a chiunque stesse ascoltando o leggendo.

mercoledì 21 dicembre 2016

Una storia d'Inverno

Oggi è il 21 di dicembre, il solstizio d'inverno, il giorno più breve dell'anno, il momento in cui il nostro pianeta si ritrova nel punto della sua orbita più vicino al Sole. Oggi inizia l'Inverno, una stagione molto importante perché è il momento in cui tutto si ferma: il raccolto, la marcia, gli intrighi, avvolte anche la vita. Non si ferma il battito del cuore.
L'Inverno serve per andare oltre, per prepararsi al nuovo anno e riprendere le forze dopo quello appena vissuto. In questo momento, con il freddo, le molecole rallentano e si fermano, mentre noi diventiamo più veloci nel tentativo di sopravvivere. Il freddo ci rende più svegli, più attenti, più pericolosi certe volte. In questo periodo intere razze fuggono verso altre terre calde, alcune si mettono in stasi, un letargo che li salva da un periodo privo di cibo e rifugio, altre ancora si estinguono lasciando nascosti i semi del loro genere che rinasceranno quando il clima tornerà ad essere ospitale per la loro razza. 
Goditi la grandezza e la poesia di questa stagione Lettor, perché è un periodo con le giornate più belle: i giorni in cui il Sole non è mai troppo forte, in cui siamo più svegli, più attenti e certe volte più interessati a cercare il sostegno dei nostri simili.
Buon solstizio d'Inverno Lettor.


sabato 17 dicembre 2016

Il re discendente di eroi

Daniele entrò nella stanza del re con un certo timore; le finestre erano chiuse, ma i raggi del Sole passavano dai vari spiragli sulle persiane, un intenso odore di incenso aleggiava. Il re era sul letto, si contorceva dal dolore, lamentandosi e imprecando. Era molto diverso dal grande sovrano che aveva guidato il paese per più di trent'anni, eppure in Daniele egli incuteva ancora un certo timore.
"Chi è?" chiese il sovrano.
"Grande Erode- disse il servitore che lo stava assistendo- lo scriba che hai convocato."
"Avvicinati!"
Daniele si accostò al letto.
"Hai portato il mio testamento come avevo detto?"
Daniele si affrettò a sedersi e ad estrarre il suo leggio per poi srotolare il prezioso documento.
"Certamente...grande re."
Erode si mise a ridere.
"Dallo a Giovanni!"
Il servitore del re si avvicinò allo scriba e prese il papiro in cui erano riportate le ultime volontà del re.
"Gettalo nel braciere!"
Il servo diligente gettò il testamento tra le braci che prese fuoco.
"Antipa...quel pusillanime... non siederà sul mio trono...non avrà Gerusalemme..."
Il re si girò sul fianco e guardò il povero Daniele con una smorfia di dolore. Dopo pochi istanti iniziò a sorridere.
"Sei giovane" disse il re.
"Sono al servizio del mio re" rispose Daniele senza sapere cos'altro dire.
Erode sospirò.
"Quanti anni hai?"
"Ventidue mio re."
"Tre anni di meno di quelli che avevo io quando ho iniziato a governare la Giudea...eppure non sono mai stato un Giudeo..."
"Non capisco mio re."
"Come ti chiami?"
Daniele era perplesso.
"Ti ho chiesto...qual'è il tuo nome" Erode si alzò su un braccio. Anche se vecchio e malato era ancora un uomo molto possente.
"Daniele...mio re."
"Cosa significa il tuo nome?"
Daniele sospirò e rispose: "Dio è il mio giudice."
"E cosa significa il mio?"
Daniele abbassò lo sguardo.
"Cosa significa il mio nome?" chiese ancora il re.
"Chiedo perdono mio re...non lo conosco."
"Certo che no. Tu hai un nome d'Israele...il nome di un profeta. Il mio nome, Erode, significa discendente degli eroi. Si tratta di un nome greco...mio padre era molto amico dei Greci e ne apprezzava la cultura, proprio come me."
Daniele, in effetti, sapeva molto bene tutto questo, ma aveva preferito non dire niente poiché in passato il sovrano si era dimostrato molto irascibile quando si parlava delle sue origini.
"Tanto lo vedo chiaramente nei tuoi occhi...anche in quelli di Giovanni e di tutte le mogli che ho avuto. Io, un figlio di Edom, messo a regnare sul popolo di Giuda, messo qui dall'Imperatore...dai pagani."
Daniele cominciava a chiedersi cosa ci facesse lì.
"E' vero: io sono un edomita, un discendente di Esaù e non di Israele, da parte di padre, e mia madre, Cipro, era del popolo dei Nabatei e quindi era dei discendenti di Ismaele. Ma non era Esaù discendente di Abramo come suo fratello Giacobbe? Non è forse vero che Giacobbe, poi detto Israele, rubò ad Esaù la sua eredità? E Ismaele non era forse il primo dei nati dei figli di Abramo? Il fratello maggiore di Isacco, padre di Israele? E allora perché si maledice me? Perché sono un edomita, con madre nabatea e regno sui Giudei. Non lo capite che se non ero io erano i Parti, i Romani o i Greci a dominarci e non avreste avuto nemmeno qualcuno da chiamare re...voi Giudei."
"In che modo posso servire il mio re?" chiese il giovane scriba.
Erode si era di nuovo rigirato guardando il soffitto.
"A chi non ho mai raccontato di quando ho incontrato lui? Cesare...L'Augusto che oggi domina il mondo...un uomo straordinario, potente, intelligente...eppure molto gracile. Ha una mente che è la sua vera arma."
Daniele estrasse una tavoletta di terracotta e un pennino di osso. Teneva la schiena dritta, con il leggio appoggiato alle sue ginocchia e attento a sentire cosa diceva il re.
"Lo incontrai a Roma- continuò Erode- lui e Marco Antonio, all'epoca erano ancora alleati, ma si vedeva chiaramente che Marco Antonio era il condottiero, il soldato. Eppure aveva una mente debole, a differenza di Cesare Ottaviano. Erano opposti l'uno all'altro. Marco Antonio mi fece re di Giudea, ricordandosi di quando avevo combattuto Cecilio Basso, nemico di Cesare, in Siria. Poi la regina Cleopatra volle la mia testa e queste terre, ma Antonio non poteva dargliele."
"Erano in guerra contro Ottaviano a quei tempi, non è vero?"
Il re guardò Daniele, quasi sorpreso del suo interessamento, poi sorrise.
"Già...devo ammettere che fui sorpreso quando giunse la notizia della loro sconfitta ad Azio...ma è chiaro che la mente vince sempre sulla forza..."
"Ma il Principe Ottaviano sapeva che il mio re era stato un alleato di Antonio."
"Dici bene Daniele, ma il Principe sapeva anche che Cleopatra non lo era affatto, così lo raggiunsi sull'isola di Rodi...lo trovai lì e gli chiesi di lasciarmi fare la sola cosa che ho sempre saputo fare..."
Daniele si mostrò molto interessato.
"Il re...il re di Giudea nel nome del grande Cesare che o ci proteggeva o ci distruggeva."
"Ma il mio re come ha convinto il Principe Ottaviano a lasciarlo sul trono di Giuda, in una posizione così strategica ad Oriente?"
"Gli ho solo detto la verità. Ebbene sì: gli dissi che ero stato alleato con Marco Antonio solo perché mi aveva fatto diventare re di Gerusalemme e che se mi avesse lasciato al mio posto avrei continuato a mantenere l'ordine in questa terra così importante. Lui mi diede una pacca sulla spalla e poi disse ai membri della sua corte di salutare Erode, il grande re di Giudea."
Erode si girò di nuovo sul fianco, questa volta dando le spalle allo scriba.
"Durante quel viaggio mi fu detto che mia moglie, la mia amata Mariamne, aveva complottato contro di me. Lei giurava il contrario, ma mia madre e mia sorella passarono interi giorni a sussurrarmi all'orecchio...tradimento...tradimento....morte e caos...Mariamne....mia splendida Mariamne....come posso sperare nel perdono per aver messo a morte il mio amore?"
Il re tornò a guardare verso l'alto. Daniele notò delle lacrime lungo il suo viso.
"Tu hai moglie Daniele?"
"Sì...grande re."
"E la ami?"
"Sì...con tutto il cuore."
"E allora ringrazia di non essere un re. Io darei via il mio regno, le mie ricchezze, i miei anni di gloria per avere una vita da scriba al fianco della mia Mariamne."
"Eppure il mio re l'ha messa a morte."
"NON HO DI CERTO BISOGNO CHE TU ME LO RICORDI!"
Daniele si rese conto di aver osato troppo.
"TU NON LO SAI...TU NON SAI COSA VUOL DIRE! Un re non si fida di nessuno, non c'è affetto, non c'è lealtà: persino la madre di un re è talmente invidiosa del suo potere da complottare per strappargliene un po'. Non potevo evitare di condannare Mariamne, così come non ho potuto evitare di mettere a morte i miei figli."
Daniele si ricompose, poi osservò quel sovrano tanto discusso. Ebbe pietà di lui, non sapeva perché ma quel vecchio malato e potentissimo gli suscitava compassione.
"Il popolo di Giuda non smetterà mai di ringraziare il grande Erode per avergli ridato il Tempio" disse lo scriba.
"Non ho bisogno della tua pietà. Io ho solo costruito un edificio, il popolo lo ha consacrato. Se è per questo ho anche costruito delle fortezze imprendibili in tutto il paese e una città, Cesarea, che ho donato a Cesare Ottaviano. Ma tu sai bene che non è per queste cose che verrò ricordato."
"Betlemme" mormorò Daniele.
"Betlemme- disse il re- Anche quella notte non ebbi scelta. Era scritto che Rachele doveva piangere i suoi figli. Cosa dovevo fare? Mi dissero che quella notte sarebbe nato un bambino destinato a diventare il re. Stranieri saggi e nobili che andavano a cercare un sovrano tra i pastori. Anche un profeta morto da quattrocento anni diceva che quella notte sarebbe nato un re."
Daniele si ricordava di quel passo del profeta Michea in cui si parlava di colui che sarebbe uscito da Betlemme per condurre il popolo di Israele.
"Ma un re non può nascere a caso tra i pastori. Il re può essere solo figlio di un re. Se avessi lasciato vivere anche un solo bambino di quel villaggio i miei nemici lo avrebbero usato contro di me e i miei successori. Questo avrebbe minato anche i nostri rapporti con i Romani: il Principe Ottaviano avrebbe mandato le sue legioni a riportare l'ordine con la forza devastando il paese e probabilmente anche i Parti ne avrebbero approfittato per invadere questo regno e ridurre il popolo in schiavitù e chissà quanti bimbi innocenti sarebbero morti nella guerra che ne sarebbe derivata tra Roma e il Regno Partico. Cosa ne sanno coloro che parlano di una strage di innocenti? COSA NE SANNO?"
Daniele rimase inorridito, non tanto per le parole del re, ma per la sua logica.
"Cosa ne sapete voi, di cosa deve fare un sovrano per proteggere il suo paese? Il re è il capo supremo di un popolo e come tale è responsabile della sua sicurezza e delle sue colpe. Non è forse così? Dimmi Daniele, non è forse questo il punto?"
"Io non posso comprendere. Però so che, anche senza approvarle, non posso giudicare le scelte fatte dal mio re, perché non so quali siano state le sue e quali egli sia stato costretto a prendere. Io sono qui solo per servire il mio signore."
Erode tornò ad osservarlo, sembrava più sereno. Forse capire di avere a che fare con un uomo onesto gli aveva ridato un po' di forza.
"Daniele...porterò con me il tuo nome. Ora scrivi!"
Lo scriba fu pronto con il pennino sulla tavoletta d'argilla.
"Io, Erode Ascalonita...Erode il Grande, re di Giudea per volontà del Principe Cesare Ottaviano Augusto, dichiaro mi figlio Erode Archelao principe ereditario e re di Giudea e Samaria, mio figlio Erode Antipa riceva in eredità il dominio di Galilea e Perea su cui regnerà con il titolo di Tetrarca. Stesso titolo e stesse priorità trasmetto a mio figlio Erode Filippo che avrà così potere su Iturea, Batanea e su tutti i territori circostanti che fanno oggi parte del mio regno. I miei figli avranno così questa eredità che comprende la divisione del mio regno e del potere che essi eserciteranno a condizione che essi giurino al Principe Cesare Ottaviano Augusto, Primo Cittadino della Repubblica Romana e Imperatore, la stessa fedeltà che io ho mostrato lui, nella speranza che egli approvi questo mio testamento in quanto protettore del nostro paese. Questa è la mia volontà. Hai scritto?"
"Ho scritto mio re."
"Allora riportalo su una pergamena e sbrigati. Non ho ancora molto tempo per firmare."
Daniele eseguì il suo compito giurando solennemente di non dimenticare e di non giudicare mai più quel uomo, il suo re, Erode il Grande.

giovedì 8 dicembre 2016

Auguri Lettor

Non voglio raccontare delle storie, non voglio fantasticare o improvvisare. Lettor oggi ti voglio solo augurare un buon giorno dell'Immacolata. È un giorno molto importante, ci ricorda qualcosa di prezioso. Il dogma dell'Immacolata Concezione che mantenne Maria preservata dal peccato originale. La Chiesa Cattolica indica questa solennità come il principio della salvezza per tutta l'Umanità.  Questo evento è fatto per ricordare l'identità e la dignità della nostra civiltà molto più grande, dignitosa e nobile di quanto l'ignoranza voglia far credere.
Questo non è solo un ponte, è un'identità.
Buon ponte Lettor!
La storia continua domani.

mercoledì 7 dicembre 2016

Cap. III: il re barbaro

La sera era arrivata finalmente e Carlo aveva tutta l’intenzione di prepararsi una carbonara e di accompagnarla con un buon film. Seduto, finalmente dopo la preparazione, ammirò quell’opera d’arte di colore e sapore al suo cospetto. Infilzò con la forchetta il primo boccone, lo avvicinò alla bocca aperta ma, prima di assaporare la cena…
Ad interromperlo quella volta non fu come al solito il citofono suonato da un vicino che aveva sbagliato porta o il telefono con dall’altra parte i genitori, la sorella, un collega in cerca di consiglio, o un call center che chiedeva di parlare con la donna di casa, ma una voce possente alle sue spalle.
“PRONTO!”
Carlo sobbalzò e si voltò di scatto. Alle sue spalle c’era un uomo alto, con una lunga barba e una chioma di capelli corvini. Il naso rotto, una cicatrice sulla guancia sinistra e l’occhio destro mezzo chiuso e gonfio facevano capire che doveva trattarsi di un soldato. Indossava infatti un’armatura a scaglie e un mantello nero che gli arrivava fino al bacino.
“Cos’hai detto?” chiese Carlo.
“Non è così che si dice? Devi essere pronto! È il momento!”
“Pronto per…aspetta…sei il nuovo…”
“Sì- disse l’ospite- sono venuto per farti vedere ciò che imparai io.”
Carlo appoggiò la forchetta e si alzò. Era davvero emozionato per quello che stava per accadere.
“Posso chiederti chi sei?” chiese Carlo.
“Quando ero vivo, ed è passato moltissimo tempo…se non sbaglio…mi chiamavo Genserico ed ero il re del popolo dei Vandali.”
Carlo indietreggiò sorpreso.
“Genserico? Re dei Vandali? Colui che saccheggiò Roma?”
“Quello ero io.”
“Ma come…?”
Genserico si diresse verso la porta dell’appartamento e la aprì.
“Non dobbiamo perdere tempo. Vieni!”
Carlo rimase interdetto per qualche secondo. Era molto indeciso, non era sicuro di voler seguire un… un barbaro. Ma come poteva resistere?
Varcata la soglia Carlo si ritrovò in un luogo molto caldo, il sole picchiava molto forte il terreno era sabbioso, eppure da lontano si sentivano le onde del mare. Una volta abituatosi alla luce gli fu possibile vedere delle tende: era in mezzo ad un accampamento enorme, dove si aggiravano uomini, donne e bambini, tutti armati.
“Seguimi” disse Genserico comparso al fianco di Carlo.
“Dove siamo?” chiese questo incamminandosi.
“In un accampamento che la mia gente montò in Africa, vicino alla città di Ippona, che si trova sulle colline alle nostre spalle” disse il re dei Vandali indicando dietro di loro una città fortificata da cui si innalzavano colonne di fumo nero.
“Ippona…è l’assedio di Ippona” disse Carlo.
Si trovava in Africa nel 430 d.C., anno in cui i Vandali stavano conquistando quelle provincie romane africane che sarebbero diventate il loro regno.
“Sì… l’assedio più difficile della mia vita. In questo giorno incontrai in segreto un uomo. Nessuno ci vedrà, ma tu vedrai e sentirai ciò che ho imparato oggi.”
Si avvicinarono ad una tenda più grande e meglio sorvegliata delle altre, entrarono senza che le guardie battessero ciglio e videro, seduto su un grosso sgabello di legno, un Genserico più giovane che osservava un uomo anziano, vestito di abiti bianchi, con un manto rosso e un portamento davvero solenne.
“Chi è quello?” chiese Carlo.
“L’uomo migliore che abbia mai conosciuto quando ero vivo. Il vescovo di Ippona, egli aveva uno spirito di sapienza sul suo capo.”
Carlo non ci poteva credere.
“Il vescovo di Ippona?- disse- Sant’Agostino? Il santo filosofo? Autore de La città di Dio? Uno degli uomini più saggi che la storia dell’intera Umanità abbia mai conosciuto?”
“Proprio lui, era anche un politico eccellente…”
“Un maestro dell’arte oratoria secondo le fonti.”
“Ancora oggi parlate e leggete di lui…e di me” disse Genserico con un tono di orgoglio.
“Cosa vuoi?” chiese il Genserico giovane.
“Che tu fermi l’assedio e che ti riconcili con il generale Bonifacio. Lui poi stringerà con te una nuova alleanza supportata dall’Imperatore e i nostri popoli torneranno a prosperare” rispose il santo per niente intimorito dal re guerriero che aveva davanti.
“Perché dovrei allearmi di nuovo con i Romani?” disse il Vandalo con un ghigno.
“Perché salveresti la tua gente.”
“Ormai dovresti aver capito che Roma è troppo debole per scacciare me e il mio esercito dall’Africa. Non c’è nessuna forza al servizio di Bonifacio e dell’Imperatore che possa distruggere i Vandali.”
“Infatti io non parlo di salvare i Vandali dalla vendetta di Roma, ma dai Vandali stessi.”
“Che vuoi dire?”
Sant’Agostino sospirò e rispose: “Risparmia la mia gente e io farò di te un re.”
Il barbaro si sciolse in una grassa risata di scherno.
“Gli anni devono averti reso confuso vecchio. Io sono già un re. Sono il re del popolo che ha attraversato le terre dei Germani, la Gallia, la Spagna e che ha strappato a Roma il dominio dell’Africa.”
“E dopo?”
Genserico guardò Agostino perplesso.
“Dopo cosa?”
“Cosa accadrà quando il tuo popolo non avrà più terre da conquistare? Quando tu sarai troppo vecchio per fare nuove conquiste e quando morirai? Cosa ne sarà di quest’orda di razziatori e raminghi che hai alle tue spalle?”
“Come osi definire così il mio popolo?”
“E tu come osi ridurlo a questo?”
Il re era molto irato, però sembrava iniziare ad ascoltare con attenzione il vescovo.
“Così disse il signore Gesù: Che senso ha per un uomo guadagnare il mondo se in cambio perde sé stesso? Genserico, la tua gente rischia di perdere la sua identità, il senso della sua esistenza e quando la guida forte che tu sei le verrà tolta sarà circondata da popoli che la temono e la odiano. Perciò io ti chiedo di fermarti, di convincere il tuo popolo a trovare altro che la legge di Roma e la fede in Dio possono darvi.”
“Cosa ci guadagnerei?”
“Un futuro! Un avvenire in cui i tuoi discendenti potranno dirsi re di un grande popolo.”
Carlo batté le palpebre e si ritrovò nel suo appartamento, esattamente sei secondi dopo la sua partenza.
“Hai capito la lezione?” chiese lo spirito di Genserico.
“Credo di sì, ma tu no. Per niente!”
“Tu non c’eri, non sai cosa accadde. Lui, il vescovo, morì alcuni giorni dopo quel incontro e i Romani ci attaccarono alle spalle, li respingemmo e il mio popolo pretese vendetta.”
“E conquistaste Ippona.”
Genserico sospirò.
“Ma leggemmo i suoi libri- disse- e non solo noi. Imparammo di nuovo sia dai Romani che da Agostino e così costruimmo un regno, una patria. Ancora oggi si parla di noi…di me…nel modo che so di aver meritato.”
Genserico si diresse verso la porta.
“Io non ti perdonerò mai per aver saccheggiato Roma e distrutto il futuro che questo mondo poteva avere” disse Carlo.
“Futuro? Come ho detto tu non c’eri. La vera Roma, il vero Impero che tu ami tanto, erano già stati uccisi in quel tempo e non fui io a dare a quella realtà il colpo di grazia. Credimi avrei tanto voluto farne parte anch’io. Dovevo fare ciò che era giusto per il mio popolo, o che almeno lo sembrava in quel periodo. Ma credi che i Giudei potranno mai perdonare i Romani per aver distrutto la loro Città Santa? E i Romei potranno mai perdonare ai Turchi di avergli rubato Costantinopoli? E gli Arabi potranno mai perdonare ai Mongoli il sacco di Bagdad e della terra che a loro volta avevano sottratto ai Persiani? Almeno tu hai il ricordo dei tuoi avi e di quel vero Impero che la tua gente può sognare e rifondare ancora e ancora. Ogni volta cadrà e poi risorgerà. Ma come mi disse Agostino, senz’anima, nessuna grande opera è destinata ai posteri.”
Genserico aprì la porta.
“Spero che tu lo abbia imparato e che abbia ciò che io non ebbi: l’occasione di scoprirlo” disse il re barbaro prima di chiudere la porta.



lunedì 28 novembre 2016

Avvento II: il messaggero

Carlo si risvegliò tranquillo, sette e trenta come al solito. Una cioccolata calda e quattro biscotti per colazione, una lavata e poi uscita per una nuova giornata. Cappotto pesante, sciarpa e cappello: il freddo torinese era implacabile.
Appena ebbe chiuso a chiave la porta di casa si voltò e…deserto.
Carlo si trovava in mezzo ad un enorme pianura desertica, il cielo limpido e un caldo soffocante.
“Ben arrivato” disse una voce alle sue spalle. Carlo si voltò e vide un uomo alto e muscoloso con una corta barba bianca e una tunica bianca con mantello verde, abiti tradizionali degli abitanti del Medio Oriente.
“Chi sei?” chiese Carlo.
“Mi chiamo Andrea…e ti racconterò una parte della storia di questi giorni.”
Era stato avvertito, ma quello era molto più incredibile di ciò che aveva immaginato.
“Dove siamo?” gli chiese.
“Questi sono i miei ricordi…del tempo in cui vivevo nella terra di Galilea.”
“Quando è stato?”
“Moltissimo tempo fa. A quei tempi ero ancora un Uomo come lo sei tu adesso. Vieni, ti farò vedere il messaggero di ciò che cerchi.”
Solo in quel momento Carlo si rese conto di indossare degli abiti identici a quelli del suo interlocutore. Dovette fare un piccolo sforzo per stare vicino al suo compagno di viaggio, non gli era facile camminare con quegli abiti.
“Avrei così tante domande da farti- disse Carlo eccitatissimo- in che anno siamo esattamente?”
“Sono passati più di 1830 anni da quando Mosè ha condotto il popolo di Israele fuori dall’Egitto e ora questa terra, la Galilea, è sotto il governo del Tetrarca Erode Antipa che vi regna nel nome di Cesare.”
Era più o meno il 30 d.C., gli anni del Principato di Tiberio e…
“Aspetta… non dirmi che...”
“No! Non sta a me. Io devo portarti da qualcuno che ti racconterà come arrivò” disse Andrea indicando una grotta ai piedi di una rupe. Alcuni uomini erano radunati intorno ad un piccolo falò e attingevano acqua da un ruscello che scorreva vicino al loro campo. Andrea alzò una mano in segno di saluto, gli risposero. Evidentemente lo conoscevano, uno di quegli uomini si alzò e si diresse verso Andrea per dargli il benvenuto. Indossava una specie di pelliccia marrone, aveva una barba e lunghi capelli neri incolti, inoltre era molto più robusto di Andrea anche se con un’aria molto gentile.
“Salve Andrea, com’è andato il viaggio?” chiese l’uomo.
“Benissimo amico mio. Sono molto felice di vederti…spero non ti dispiaccia se ho portato un amico, qualcuno che vorrebbe parlare con te…proprio come me la prima volta che ti vidi.”
Carlo e l’uomo si guardarono per qualche secondo e al primo sembrò che la sua anima venisse sondata da una coscienza molto più profonda di quanto si potesse capire.
“Molto lieto signore” disse Carlo alzando la mano.
Gli fu stretta.
“Tu sia il benvenuto. Vieni, abbiamo poco ma abbastanza” disse l’ospite invitando Carlo ad avanzare fino al cerchio intorno al falò. Erano tutti vestiti come Andrea e il suo amico: erano persone semplici e anche pacifiche.
“Come ti chiami?” chiese l’uomo vestito di pelle marrone dopo essersi seduto a terra. Appena Carlo si fu accomodato a gambe incrociate rispose.
“Il mio nome è Carlo.”
“Non lo avevo mai sentito” disse uno dei presenti.
“Viene da un paese piuttosto lontano, ha fatto un lungo viaggio per trovare la sua strada.”
“Non importa da dove vieni, qui ognuno trova ciò che cerca.”
Carlo sospirò e rifletté per alcuni secondi prima di rispondere.
“Io…vorrei tanto chiederti di raccontarmi ciò che annunci… o meglio perché annunci.”
Andrea fece un cenno di consenso e l’uomo rispose.
“Io annuncio l’arrivo del vero Re dei Re. Era stato predetto dagli antichi profeti che sarebbe giunto un Agnello che avrebbe purificato il mondo intero dai suoi peccati e che ci sarebbero state delle voci oneste che ne avrebbero annunciato l’arrivo.”
“Ma tu chi sei dunque? Sei il Re?”
“No! Egli non sono io!”
“Allora sei un profeta?”
“Neanche questo! Io sono solo quella voce che avverte chi vuole ascoltare che il Signore sta arrivando e niente di più!”
“Questo non dovrebbe essere motivo di orgoglio? Esistono tanti che, pur credendo, invidierebbero molto un tale privilegio.”
“Quale privilegio può esserci per un servo che fa il suo dovere? Il messaggero non ha importanza, solo il messaggio ne ha. Io preparo coloro che vogliono sapere la verità e che potranno riceverla perché ne hanno bisogno.”
“Quindi il messaggio non era per tutti? Lui non venne nel mondo per tutti?”
“Certo che è venuto per tutti, ma non obbliga nessuno a seguirlo. Lui si rivolge ai deboli, agli ignoranti e agli umili. Perché mai un uomo come il re Erode dovrebbe ascoltarlo in fondo?”
“Parli del tetrarca di Galilea?”
“Proprio lui! Ha preso in casa la moglie di suo fratello violando la legge, non rispetta le Scritture, sfrutta i più deboli facendo favori ai suoi familiari e amici ricchi tra i ricchi e ogni giorno Erode mangia quanto basterebbe per vivere un mese. Qualcuno che gode così tanto della sua vita perché dovrebbe ascoltare il messaggio del Messia?”
“Ma qual è questo messaggio?”
Giovanni sospirò.
“Pentirsi delle proprie mancanze- disse- amare Dio sopra ogni cosa, amare il prossimo  più di sé stessi e donare ciò che si ha a chi non ha niente.”
“A questo qualcuno potrebbe obbiettare. Mi spiego: un uomo ricco potrebbe risponderti che tutto ciò che ha lo ha guadagnato onestamente (e magari è vero), che nessuno gli ha regalato nulla, quindi perché dovrebbe farlo lui?”
“Dici bene… gli dirò che questa sarà la prova con cui dimostrerà soprattutto a sé stesso di essere davvero pronto ad entrare nel Regno di Dio.”
Carlo sospirò e abbassò lo sguardo.
“Temo che siano cose in cui la mia gente non crede più” disse.
“Non lo puoi sapere… e anche se così fosse Dio non ha rinnegato noi malgrado le nostre colpe, non rinnegherà nemmeno voi.”
Carlo osservò quel uomo ancora una volta. Aveva davvero un bello sguardo.
Andrea in quel momento sollevò uno spiedino su cui erano conficcate delle locuste che immerse in una ciotola piena di miele.
“Che c’è?- chiese Andrea incontrando lo sguardo di Carlo- Miele selvatico e locuste. Neanche Erode mangia così bene!”
“Tu…hai detto- disse Carlo tornando a rivolgersi al suo interlocutore- che la prova serve per dimostrare il pentimento soprattutto a noi stessi. Cosa vuol dire?”
Quel uomo gli sorrise.
“Lui è venuto nel mondo ad immolarsi per noi, ma se vogliamo purificarci dei nostri peccati e vivere a pieno le nostre vite… prima di tutto dobbiamo perdonare noi stessi. Tu ti sei mai perdonato?”
Carlo non rispose, non poteva a dire il vero e quel uomo lo sapeva.
Andrea si alzò.
“Dobbiamo andare adesso” disse.
Anche tutti gli altri si alzarono.
“Carlo- disse il capo del gruppo prima dei saluti- ricorda che se vivi con sincerità, umiltà, impegno, fede e amore persino la morte non potrà mai farti paura. Questo è il senso della storia che stai ascoltando.”
Carlo strinse la mano di quel uomo.
“Me lo ricorderò per sempre…”
“E ricorda anche che siamo tutti delle voci” disse l’uomo prima di prendere il suo bastone e dirigersi con gli altri verso la valle dove scorreva un grande fiume.
Carlo si voltò verso Andrea.
“Non credo di aver capito” disse sospirando ancora per l’emozione.
“Io ci ho messo tutta la mia vita. Non ti vergognare di questo, ma prendi esempio da chi ha portato il messaggio da cui è derivato tutto ciò che sei” disse Andrea prima di indicare alle spalle di Carlo.
Quando questo si voltò era nel corridoio davanti alla porta di casa, nel suo condominio torinese in una fredda giornata di pioggia.


domenica 27 novembre 2016

Avvento I: Principio

Carlo si sedette al computer, senza pensare al fatto che insisteva stupidamente a chiamarlo elaboratore. Era intenzionato a scrivere, non sapeva fare praticamente nient’altro: inventare, immaginare e intensificare. Il problema veniva quando doveva raccontare, in un certo senso gli capitava di vergognarsi certe volte di ciò che gli veniva in mente, eppure tutti coloro che lo conoscevano lo incoraggiavano ad andare avanti, a produrre e a credere in ciò che faceva. Nessuno poteva sapere quanto fosse difficile avere un universo nella mente e non riuscire a condividerlo. Eppure la storia continuava, che Carlo lo volesse o no.
Mentre Torino si riprendeva da un periodo piuttosto difficile rieccolo seduto su quella scrivania nel suo piccolo ma comodo appartamento vicino a Piazza Statuto, proprio davanti ad una porta per l’Inferno, a cercare di buttare giù un’idea preannunciata dal formicolio nella testa.
“Quello è il settimo chakra” gli aveva detto qualcuno tempo prima. Qualunque cosa fosse preannunciava sempre un’idea. Quel giorno però le parole non venivano, era da un po’ che non riusciva a richiamarle.
Stava per alzarsi e andare a fare una camminata per riorganizzare le idee quando Carlo sentì un tonfo: qualcuno aveva fatto cadere qualcosa dietro la porta accanto alla scrivania.
“Ma porc… Dov’è la luce qui?”
“Chi c’è in bagno?” pensò Carlo spaventato da quell’intrusione.
“E la porta…?” continuava a dire l’intruso. Sembrava disorientato.
Con una velocità sorprendente Carlo prese lo sgabello verde che teneva in casa e lo usò per bloccare la porta appena in tempo perché la maniglia girò senza che lo sconosciuto potesse aprire.
“Scusa…potresti aprirmi per favore?”
“Lo faranno i carabinieri!- disse Carlo cercando il cellulare- Adesso li chiamo e ti faccio rinchiudere. E dovrai spiegarmi come diavolo hai fatto ad entrare. È tutto il giorno che sono chiuso qui e dall’ingresso non sei passato, le mie finestre sono dei lucernari e bisogna essere dei bambini per passarci, e comunque lì dentro non ci sono aperture… Ma come diavolo sei arrivato lì? Sei salito dallo scarico?”
“Non essere idiota…ammetto che ho sbagliato coordinate. Capita.”
Carlo si voltò di scatto. Un uomo con un lungo cappotto nero e degli occhiali da sole lo fissava con le braccia incrociate. Inutile dire che gli venne da fare un balzo all’indietro.
“MA CHI SEI TU? E COME DIAVOLO…?”
“Non dire quella parola! Io sono dell’altro partito!”
“Cosa?”
Carlo si fermò a guardare meglio quel tipo. Era davvero strano il modo in cui lo stava fissando e sembrava quasi che volesse farsi esaminare meglio. In effetti Carlo stava notando qualcosa in lui.
“Non noti niente?” chiese lo sconosciuto.
“La tua faccia…”
“Esatto…ho la tua faccia, le tue stesse sembianze…ma come hai fatto a non notarlo?”
“Io mi guardo raramente allo specchio…non mi piace guardarmi in faccia” rispose il padrone di casa chiedendosi perché avesse detto quelle cose.
L’estraneo sembrava perplesso.
“Capisco evitare la vanità che è peccato ma così si esagera… mi sa che sarà un lavoro duro!”
“Ma di cosa parli?”
L’estraneo e Carlo si fissarono. I suoi occhi non si potevano vedere dalle lenti scure, ma non sembrava aggressivo, anzi.
“Ascolta…voglio sapere chi sei e cosa ci fai in casa mia!” disse Carlo con risolutezza.
Dopo un sospiro l’estraneo rispose: “Sono qui perché ne hai bisogno.”
Detto questo si tolse gli occhiali e Carlo vide come un lampo accecante per poi perdere i sensi. Si sentiva leggero e come se stesse girando. Oppure era tutto il resto che girava? Non lo sapeva, non lo capiva. Gli sembrava di vedere un fumo verde e ad un tratto il buio. Non c’era il sopra, non c’era il sotto, faceva freddo. Il gelo più intenso che si potesse concepire. Poi un nuovo lampo, una voce e una luce intensa e calda, sembrava quasi il fuoco della stufa a legna della sua casa a Vicenza. Carlo era molto bravo ad accendere quel fuoco la cui luce e calore lo facevano sentire sempre in pace.
Quando Carlo riaprì gli occhi si ritrovò sdraiato sul suo letto a Torino, la prima cosa che vide furono le travi di legno e il soffitto bianco. Si mise seduto e trovò il suo interlocutore in piedi a fissarlo.
“Cos’era?” chiese.
“Il Principio” rispose lo straniero.
“E tu chi sei?”
“Il Narratore dell’inizio e della fine.”
“Vuoi dirmi cosa sta succedendo?”
“D’accordo Carlo, basta che ti calmi. Vedi… c’è qualcuno che è un po’ preoccupato per te e ha ottenuto che ti venga raccontata una storia…in effetti la storia più bella di tutte. Quella che serve ad accendere la stella che c’è nel cuore degli uomini, che sblocca il meccanismo dentro di te affinché chiunque ti conosca sappia che sei vivo!”
“Non capisco…”
“Che giorno è oggi?”
Carlo rifletté alcuni secondi.
“Prima domenica di Avvento.”
“Esatto piccolo uomo…ecco la storia che ti verrà narrata un po’ per volta.”
“Ma io conosco già quella storia.”
“Forse hai bisogno di un ripasso. Non sta a me deciderlo o giudicarlo, in ogni caso tu ascolterai la storia che abbiamo da raccontarti, giorno dopo giorno fino al finale nella speranza che ti serva!”
“Per fare cosa?”
“Non mi dire che non credi di aver bisogno di una scossa. Bisognava decidere: o questo o il bastone e credimi,  non lo avresti retto. Ci sono alcuni per cui è troppo tardi, per te non ancora.”
“Hai detto che avete una storia da raccontarmi… chi altro c’è?”
“Ogni giorno verrà qualcuno e poi alla fine tornerò per narrare il finale e…ma che succede?”
Il Narratore si era rivolto verso il muro che separava l’appartamento di Carlo da quello accanto. C’erano dei rumori, come dei canti che si sentivano dall’altra parte.
“No…è il vicino. Sta guardando un film” disse Carlo.
“Va bene…comunque io devo…”
“Aspetta…chi ti ha detto che voglio ascoltarti?”
“Non ho solo la tua faccia. So bene che non vedi l’ora di iniziare un’esperienza capace di cambiarti la vita da così a così!”
Carlo si alzò dal letto e guardò lo sconosciuto.
“E come faccio a sapere di non essere impazzito del tutto?” chiese ancora il giovane più spaventato che mai.
“Anche se fosse…non hai sempre detto che il messaggio è più importante del messaggero?”
Carlo, lentamente, si sedette sulla sedia davanti alla scrivanie e fissò il Narratore.
“La tua parte della storia quale sarebbe?”
“Il Principio… quando si decise che il Nulla non era gradito e iniziò il piano. Disse Sia la Luce e la Luce fu. Il Creatore fece tutto parlando e in effetti la Parola è ciò che genera e rende tutto reale e concreto ed è così che sei stato creato tu: come parte di una bella storia e allo stesso modo tutti coloro che vivono ed esistono intorno a te. Ogni preziosissima vita è nata così: è stata chiamata, le è stato dato un nome, le è stato insegnato, tutto le è stato donato attraverso una parola e una storia.”
“Quindi l’Universo è una storia che Dio sta raccontando?”
“Un po’ come fai tu. Non hai mai detto che nella tua mente c’è un Impero di duecento milioni di mondi da tirare fuori?”
“Ma quella è solo un’espressione…un metafora per dire…”
“Che sei vanitoso, forse non per la tua faccia ma per quello che c’è dentro. Comunque perché no? Immagina pure che ogni realtà sia dentro alla mente di una persona che sta dentro la realtà di un’altra persona, in una matriosca infinita in cui ogni cosa, ogni possibilità, ogni idea è reale. Non dirmi che non hai mai pensato che quell’Impero di cui parli e scrivi esista davvero da qualche parte mentre le leggi della fisica del tuo universo sono frutto della mente di un povero pazzo!”
“Quest’ultima parte l’ho già sentita” disse Carlo perplesso.
“È lui che cita me nel caso. Comunque, ciò che voglio farti capire è che tutto questo è iniziato come un racconto. Quella stessa Parola, che ha dato inizio a questa storia, fu poi mandata di nuovo perché gli uomini imparassero a vivere nella maniera migliore che era loro possibile dopo aver imparato a conoscere il bene e il male.”
“C’è chi direbbe che bene e male sono concetti molto soggettivi e che dipendono dal punto di vista.”
“Ne discuterai con qualcun altro più avanti. Comunque sta di fatto che quella storia, quella Parola venuta dal Creatore ha dato agli uomini esattamente ciò che serviva loro e darà a te ciò di cui hai bisogno.”
“Di che cosa avrei bisogno?”
“Ma come fa a non capirlo? Ti sto parlando del fatto di essere oggetto dell’Amore, con la maiuscola. Quello che da il vero senso alla vita e all’esistenza. L’amore che fu annunciato e che rende tutte le creature unite in un legame di fratellanza indissolubile, mandato, sacrificato e poi ridistribuito con la più bella storia mai raccontata!”
“Io non capisco.”
“Ecco perché verremo a raccontartela ancora e ancora” disse il Narratore.
Carlo chiuse gli occhi per un secondo, quando li riaprì si ritrovò di nuovo solo.
Quella storia era appena cominciata. 

lunedì 21 novembre 2016

La luce del Tempio

Lettor oggi ti parlo di quel 21 novembre del 164 a.C., quando Giuda Maccabeo purificò il Tempio di Gerusalemme e diede orogine a ciò che ancora oggi gli Ebrei ricordano come "Festa delle Luci".
Giuda Maccabeo era membro di una nobilissima famiglia degli Asmonei che era stata grande nel Regno di Israele. Durante la sua vita (tra il II e il I secolo a.C.) il suo popolo era sotto la dominazione di uno dei regni diadochi nati dalla frammentazione del dominio di Alessandro Magno: il regno seleucide che dominava la Siria e l'attuale Palestina.
Nel 176 a.C. il re Antioco IV salì al trono e iniziò la vicenda che avrebbe portato Giuda ad essere da me narrato.
Una volta una persona mi disse che i pagani avevano uno stile di vita migliore del nostro perché non si preoccupavano della fede e lasciavano che ognuno venerasse il dio che voleva. Grosso errore, terribile menzogna.
Antioco IV voleva ellenizzare il mondo ebraico e per farlo cercò di distruggere il monoteismo. Il re di Siria nominò sommi sacerdoti di Gerusalemme dei Greci, proibise la circoncisione e il riposo del sabato. Inoltre qualsiasi Ebreo non si fosse convertito al paganesimo ellenico sarebbe stato condannato a morte. Il colmo arrivò quando re Antioco consacrò un altare del Tempio a Zeus.
Nel Libro dell'Esodo esiste un versetto che loda il Signore per la vittoria contro il Faraone e la liberazione dalla schiavitù.

"Chi è come Te tra gli dei, o Signore?"

Giuda, orgoglioso della sua eredità e del suo popolo, si mise a capo della ribellione contro il re seleucide. Prendendo il comando della ribellione egli scelse anche il nome del movimento: Maccabi, derivato dalle iniziali del versetto appena citato che formano la parola "maqqabah" che vuol dire "martello".
Nel libro dei Maccabei viene descritto il modo in cui i Maccabi guidati da Giuda Maccabeo riconquistarono Gerusalemme e il 21 novembre del 164 a.C. purificarono il Tempio. La festa di Chanukah, la festa dell'Inaugurazione o delle Luci. Per purificare il Tempio era necessario accendere la Menorah con dell'olio santo e puro, ma ne era rimasta una sola fiala dopo l'occupazione. Doveva durare solo una notte, ma avvenne un miracolo: l'olio bruciò per otto giorni, il tempo necessario per produrre nuovo olio.
La lotta fu lunghissima e non finì con la riconquista del Tempio. I Greci continuarono a combattere e Giuda Maccabeo morì nel 160 a.C. in battaglia contro i Seleucidi. La lotta del Martello d'Israele ebbe l'effetto di indebolire molto il regno seleucide rendendolo vulnerabile alla potenza che si avvicinava da Occidente: i Romani.

giovedì 17 novembre 2016

A lui sono succeduti solo i suoi figli

Lettor oggi è il compleanno di Tito Flavio Vespasiano, passato alla storia come Titus Flavius Vespasianus Augustus che fu Imperatore dal 69 al 79 d.C., fondatore della dinastia Flavia.
Nacque il 17 novembre del 9 d.C. a Cittareale, oggi in provincia di Rieti. Non era discendente di una grandissima e antichissima stirpe come Cesare, Augusto e i primi Imperatori, lo si potrebbe definire un borghese che si fece strada con le sue sole forze.
Partecipò alla campagna dell'Imperatore Claudio in Britannia e quando Nerone ascese al Soglio Imperiale iniziò un colpo di sfortuna. Benché fosse un eccellente comandante militare e un politico illustre e rispettato si dice che, mentre assisteva ad una delle declamazioni dell'Imperatore poeta, Tito Flavio finì per addormentarsi. Nerone, offeso, lo esiliò in Grecia per questo, dove il generale si diede all'apicultura, ottenendo il praenomen di Vespasianus che lo distinse dal figlio primogenito, Tito. Quando in Giudea scoppiò una terribile rivolta Nerone si decise a mandare Tito a far rientrare dall'esilio suo padre. Tre anni dopo arrivò il terribile 69, ricordato come l'anno dei quattro Imperatori. 
Dopo la morte di Nerone il potere fu preso dal generale Glaba, alla sua morte prese il potere il generale Otone assassinato da Vitellio che usurpò il potere. Tutto in un solo anno. Alla fine, dopo una feroce guerra civile, nel luglio dello stesso anno Vespasiano conquistò l'Imperium mentre suo figlio trionfava sulla ribellione in Giudea.
Con la distruzione del Tempio di Gerusalemme i Flavii diedero inizio alla diaspora del popolo ebraico, e il bottino di guerra, insieme ad altri accorgimenti dell'Imperatore in persona, fecero raccogliere all'amministrazione i fondi necessari per restaurare l'Impero dopo l'anno dei quattro Imperatori e lasciare enormi monumenti in eredità alle generazioni future tra cui il Mausoleo dei Flavii, il Tempio della Pace e l'Anfiteatro Flavio...
detto Colosseo.
Flavio fece una terribile mancanza però: disse "A me succederanno i miei figli o nessuno!"
Questo è il grande peccato di questo Imperatore. Il vero Impero ha sempre bisogno di evitare l'abominio della dinastia. Infatti, dopo il breve anche se fortunato Principato di Tito, il successore di Vespasiano fu suo figlio Domiziano, un mostro.
Tuttavia Lettor Vespasiano fu particolarmente potente e forte, infatti, alla sua morte, disse: "È opportuno che un Imperatore muoia in piedi!"
Dopo la morte di Vespasiano l'Impero Romano era forte, unito e consolidato e ci ha lasciato grandi eredità. 
Scherzava sempre quel ex apicoltore arrivato al vertice del mondo anche quando pronunciò le sue ultime parole prima di morire:
"Purtroppo sento che sto per diventare un dio!"







mercoledì 16 novembre 2016

Onore al grande Inca

Lettor oggi ti parlo del 16 novembre del 1532 quando finì un mondo straordinario e misterioso. Fu il giorno in cui Francisco Pizarro, conquistatore nel nome del Sacro Romano Imperatore Carlo V, catturò Atahualpa, ultimo Inca.
Certe volte Lettor si indica il popolo degli Inca, ma in realtà questo è il titolo che spettava al sovrano del più grande Stato dell'America precolombiana. Questo Stato, comunemente chiamato impero Inca, in realtà si chiama Tawantinsuyu (Paese delle Quattro Strade).
Un domino che passava per Perù, Ecuador, Cile, Argentina, Bolivia e Colombia. Il centro di questo Paese era la città di Cuzco, nell'omonima valle la cui colonizzazione aveva dato inizio a questa civiltà intorno al 1250.
Atahualpa nacque quando il Tawantinsuyu era arrivato all'apice dell'espansione. Suo padre era l'Inca Huayna Capàc e sua madre la principessa Pacha, erede di Quito e del regno collocato in Ecuador, non era l'erede al trono quando suo padre e il fratello maggiore morirono di vaiolo, ma fu il secondogenito Huascàr ad ascendere al trono. Atahualpa aveva tuttavia l'appoggio dei capi militari che lo ritenevano molto più meritevole del fratello. Dopo una divisione pacifica del Paese e anni di pace in cui Huascàr regnava su Cuzco e Atahualpa su Quito iniziò una feroce guerra che vide vincitore il potente esercito settentrionale che fece di Atahualpa il XIII Inca. A causa di ciò egli non viene considerato realmente legittimo sovrano: per alcuni fu un usurpatore che prese il trono con la forza, per altri era il capo di quella che doveva essere una nuova dinastia di sovrani peruviani. Dopo la sua vittoria sul fratello arrivò il primo ambasciatore spagnolo.
Arrivò in seguito il giorno della sua fine quando fu catturato da Pizarro in quel 16 novembre che segnò il momento in cui il grande mondo degli Inca è tramontato per sempre.




giovedì 10 novembre 2016

Viva la Basilissa


Lettor oggi ti parlo di Teofano di Costantinopoli che morì il giorno 10 novembre del 897, dopo essere stata Basilissa, ovvero Imperatrice dei Romei, i Romani d'Oriente.
Teofano era moglie del Basileo Leone VI il Saggio. Suo padre, l'Imperatore Basilio I, fondatore della dinastia Macedone, lo aveva costretto a questo matrimonio. Dopo le proteste di Leone il forte Basilio lo punì con la prigionia e Zoe Zautzina, amante di Leone, fu esiliata dalla capitale.
Leone fu frustato e messo in cella per tre mesi. Teofano chiese e ottenne di condividere tutte le sue pene, comprese le frustate. Fu molto amata dal suo popolo per la sua devozione e il suo senso di responsabilità.
Era il 9 agosto del 886 quando l'Imperatore Basilio I morì, Leone e Teofano divennero Basileo e Basilissa, Imperatore e Imperatrice di Costantinopoli.
Nei suoi ultimi anni si ritirò nel convento di Blacherne, vicino a Costantinopoli e ancora oggi la Chiesa d'Oriente adora questa santa Imperatrice per la sua devozione e la sua lealtà.