Come tu saprai Lettor il nostro mondo compie un giro intorno alla stella Sole in 365 giorni e circa sei ore, questo tempo avanzato va ad accumularsi e potrebbe portare, nel nostro modo di percepire il tempo ad accumulare dei giorni di ritardo aggiungendoli agli anni. Il Natale potrebbe finire per capitare in piena estate. Questo giorno in più viene così "smaltito" durante un anno ogni quattro, nel mese più breve, quello da cui il Generale Inverno tolse due giorni per allungare il suo dominio in gennaio (ti ricordi i giorni della merla Lettor?). Tutto nato dalla volontà di Gaio Giulio Cesare
Hai tu veduto qualche volta il Sole
Ammantarsi d’eclisse? Hai tu veduto
Come triste diviene in quei momenti
Paurosi la Terra, ed ogni cosa
Appar dipinta di mortal pallore?
Non appena la Luna a mezzo copre
La lucerna del mondo, e già nei campi
Languido il fiore impallidisce, e un tetro
Grigio scolora il bel verde dell’erbe.
In un plumbeo color muore l'azzurro
Riso dei cieli, a cui succede oscura
Orrida notte: ove se stella appare,
Somiglia a lampo sepolcral che annunzi
Vicina l'agonia della natura
E lunghesso l'immoto aer si spande
Cupo un silenzio, chè la sua canzone
Interrompe l'uccello, entro la siepe
Riparando atterrito; e nei crepacci
Del suol si affretta a scendere, cercando
Asil lo sciame de’ procaci insetti.
In ogni uomo furtiva ed affannosa
Un'angoscia si desta, ed il sapiente
Sacerdote d’Urania ad ora ad ora,
Triste diventa anch’ei, mentre si accinge
A contemplar co' suoi ricurvi vetri
Quel travaglio del Sol. Ma già la luce
Rapidamente scema, e non rimane
Della lampa del dì, che un picciol lembo
Falcato. Già in sottile arco si stringe
A poco a poco, e alfin col suo sfavilla
Ultimo raggio mestamente e muore.
Di subito la scena allor si muta:
Che dove il Sol sedea cinto di lampi,
Livido e nero signoreggia il disco
Della Luna, a mo’ d’aureola cinge (7)
Una corona candida di luce,
E’ l’atmosfera che il grand'astro abbraccia,
E al curïoso spettator si svela
Non più nascosta nel fulgor dei rai
Che discoperto saettava. E appare
Non poca parte di sue rosee nebbie (1)
Quando protese in vertici di coni
Che sembran le nevose Alpi al tramonto
Di un dì sereno, e quando in curvi rami
Come sotto le chete onde del mare
Si distende il corallo. Anche fur viste
Sporgere fuori dall’opaca Luna
Simili a lista di purpureo panno;
Od in brani squarciate andar volando
A quella guisa che pel nostro cielo
Volan le nubi per soffiar di vento.
In quei fiocchi ramosi e in quelle punte
Di rosee nebbie, con sagace sguardo.
Il paziente astronomo ravvisa
La compagine arcana e la testura
Interïor della dïurna lampa,
E quai tesori dentro alla sua cinta
Natura metallifera nasconde.
Bei ricordi offre il 29 febbraio vero Lettor? A te cosa offre?
il quale, in Egitto, si rivolse agli astronomi di Cleopatra VII la quale gli presentò il brillante astronomo Sosigene il quale gli presentò questa soluzione ai problemi di equilibrio tra il calendario umano e quello astronomico.
Una soluzione adottata anche dal Papa Gregorio XIII il Grande che introdusse il calendario gregoriano invece di quello giuliano mantenendo tuttavia questo artificio.
Ma devi sapere Lettor che è esistito anche un 30 febbraio, in Svezia.
Nel 1712 il re di Svezia Carlo XII ordinò che si calcolasse un 30 febbraio che fu vissuto per rimediare ad un azzardo degli anni passati. Infatti re Carlo XII, tra il 1700 e il 1712, aveva cercato di introdurre in Svezia un calendario svedese che eliminava gli anni bisestili al fine di far coincidere il calcolo dei giorni svedesi con quelli del calendario gregoriano entro i 40 anni successivi. La guerra della Svezia contro l'Impero Russo fece inoltre dimenticare di applicare i calcoli giusti per procedere con questo bizzarro progetto impedendo al calendario svedese di aggiornarsi con quello gregoriano. Il 1712 quindi fu l'anno in cui re Carlo XII fece tornare la Svezia al calendario giuliano aggiungendo un 30 febbraio per far tornare in ordine i conti dei giorni. Questi Svedesi sono gente in gamba, ma certe volte non li capisco proprio.
Invece il 29 febbraio del 1468 nacque a Roma il cardinale Alessandro Farnese, che fu Papa con il nome di Paolo III, noto per aver convocato il Concilio di Trento nel 1545 e per il suo impegno nella Controriforma.
Il Papa Paolo III (che in questo ritratto benedice Sant'Ignazio da Loyola approvando la fondazione della Compagnia di Gesù), ebbe il suo da fare per cercare di portare la pace in un'Europa devastata dalle guerre intestine, specie tra il Sacro Romano Impero e il regno di Francia. Ai suoi tempi il Sacro Romano Imperatore era il Cesareo Carlo V d'Asburgo, al secolo re Carlo I di Spagna con cui ebbe un rapporto molto difficile. Dopo il tradimento di re Enrico VIII d'Inghilterra Paolo III cercò di organizzare una spedizione contro di lui, ma fu impedito dall'ennesimo scontro tra l'Imperatore Carlo V e il re di Francia Francesco I. Cercò di trovare un buon posto per il Concilio, inizialmente a Mantova, ma il duca della città non era in grado di sostenere le spese. La Repubblica di Venezia (in ottimi rapporti sia con Francia e Impero) offrì la sede di Vicenza, ma un'altra guerra tra Francia e Impero rinviò di nuovo il Concilio che si tenne nel principato vescovile germanico di Trento dove si iniziò finalmente il 13 dicembre 1545. Il Papa Paolo III, nato in quel 29 febbraio del 1468, non vide la fine del Concilio nel 1563.
Nel 29 febbraio del 1876 morì invece un membro dell'Ordine dei Gesuiti, Remigio del Grosso che fu astronomo, poeta e insegnate. Fattosi sacerdote gesuita nel 1837 è divenuto insegnate nel 1838, si interessò moltissimo di matematica e filosofia applicando entrambe agli studi di astronomia. Nel 1860 divenne professore di meccanica applicata a Napoli. Nel 1863 rimise i suoi voti sacerdotali, ma rimase professore presso l'Università di Napoli, nominato professore anche di meccanica celeste.
Un uomo davvero singolare in quanto autore di trattati di matematica e astronomia e anche di diversi canti e poesie sulle nebulose e di studi sulla cometa Donati.
Ti riporto qui, Lettor, un carme per l'eclissi.
Ammantarsi d’eclisse? Hai tu veduto
Come triste diviene in quei momenti
Paurosi la Terra, ed ogni cosa
Appar dipinta di mortal pallore?
Non appena la Luna a mezzo copre
La lucerna del mondo, e già nei campi
Languido il fiore impallidisce, e un tetro
Grigio scolora il bel verde dell’erbe.
In un plumbeo color muore l'azzurro
Riso dei cieli, a cui succede oscura
Orrida notte: ove se stella appare,
Somiglia a lampo sepolcral che annunzi
Vicina l'agonia della natura
E lunghesso l'immoto aer si spande
Cupo un silenzio, chè la sua canzone
Interrompe l'uccello, entro la siepe
Riparando atterrito; e nei crepacci
Del suol si affretta a scendere, cercando
Asil lo sciame de’ procaci insetti.
In ogni uomo furtiva ed affannosa
Un'angoscia si desta, ed il sapiente
Sacerdote d’Urania ad ora ad ora,
Triste diventa anch’ei, mentre si accinge
A contemplar co' suoi ricurvi vetri
Quel travaglio del Sol. Ma già la luce
Rapidamente scema, e non rimane
Della lampa del dì, che un picciol lembo
Falcato. Già in sottile arco si stringe
A poco a poco, e alfin col suo sfavilla
Ultimo raggio mestamente e muore.
Di subito la scena allor si muta:
Che dove il Sol sedea cinto di lampi,
Livido e nero signoreggia il disco
Della Luna, a mo’ d’aureola cinge (7)
Una corona candida di luce,
E’ l’atmosfera che il grand'astro abbraccia,
E al curïoso spettator si svela
Non più nascosta nel fulgor dei rai
Che discoperto saettava. E appare
Non poca parte di sue rosee nebbie (1)
Quando protese in vertici di coni
Che sembran le nevose Alpi al tramonto
Di un dì sereno, e quando in curvi rami
Come sotto le chete onde del mare
Si distende il corallo. Anche fur viste
Sporgere fuori dall’opaca Luna
Simili a lista di purpureo panno;
Od in brani squarciate andar volando
A quella guisa che pel nostro cielo
Volan le nubi per soffiar di vento.
In quei fiocchi ramosi e in quelle punte
Di rosee nebbie, con sagace sguardo.
Il paziente astronomo ravvisa
La compagine arcana e la testura
Interïor della dïurna lampa,
E quai tesori dentro alla sua cinta
Natura metallifera nasconde.