lunedì 31 ottobre 2016

Scissione e sottomissione

Lettor oggi ti parlo di quando la nostra civiltà ha subito una terribile divisione, uno scisma terribile.
Il 31 ottobre del 1517, a Wittenberg, l'ecclesiastico Martin Lutero appendeva ed esponeva le sue 95 tesi con cui dava inizio alla sua opera conosciuta come Riforma Protestante.
Con queste 95 tesi Martin Lutero iniziava una protesta contro l'autorità papale e le istituzioni della Chiesa che fino a quel momento aveva tenuto unita l'Europa malgrado la ferocia dei suoi sovrani e dei vari traditori che agivano dietro le quinte del potere. 
Martin Lutero, come Dante, inveiva contro episodi di eresia, arroganza e simonia (il terribile peccato di far mercato della fede) ma non considerò le conseguenze della divisione.
In molti lo seguirono e lo sostennero, specialmente nobili e vescovi tedeschi che diedero inizio a fenomeni come la caccia alle streghe. 
Esatto Lettor: non era un fenomeno del Medioevo. Non che la cosa sia stata tipica di questo fenomeno ma ebbe conseguenze ancora più gravi. A causa di Lutero e della sua Riforma il re d'Inghilterra tradì il resto dell'Europa, il Sacro Romano Impero fu sconquassato dai conflitti interni e con gli altri Stati della Cristianità. Specie un immenso e devastante scontro conosciuto come la Guerra dei Trent'anni.
Lettor non condanno Lutero, ma per colpa sua la nostra civiltà non è più unita da tanto tempo.

Gli uomini possono essere lupi o orsi: i lupi vivono in branco e malgrado le scaramucce possono convivere e gestire il territorio limitato, gli orsi sono forti e indipendenti, ma in uno spazio ristretto come il nostro sono destinati a scannarsi a vicenda. Lutero ci trasformò in orsi Lettor.

Domani Lettor ti narrerò del perché io festeggio qualcosa mille volte migliore di una festa straniera priva di senso in questo periodo.
Buon Ognissanti Lettor.

venerdì 28 ottobre 2016

In hoc signo vinces

ἐν τούτῳ νίκα 
Con questo segno vincerai.
Tali parole udì Flavio Valerio Costantino, Imperatore dei Romani al tempo della Tetrarchia, uno dei periodi più oscuri e confusi della storia dell'Impero Romano. 
Costantino era Augusto, dopo essere stato proclamato Imperatore ad Eboracum (oggi York), in Britannia. Il sistema tetrarchico aveva fallito e i due Augusti (Costantino e Massenzio) erano in pieno contrasto. Fu Costantino a fare la prima mossa e dimostrò grandi capacità rispetto al suo nemico invadendo l'Italia e sconfiggendo le truppe di Massenzio nelle battaglie di Torino e di Verona. In seguito l'esercito di Costantino scese fino a Roma per assediarla. Massenzio era riuscito a radunare un esercito numericamente superiore a quello di Costantino che però riuscì ad arrivare a Roma per assediarla.

Prima della battaglia Costantino, accampato con il suo esercito in vista dell'Urbe, ebbe un sogno in cui ricevette la visione della Croce della Vittoria e una voce potente come un tuono dirgli "Con questo segno tu vincerai!"
Massenzio, vicino a Ponte Milvio, aveva fatto costruire un ponte su cui attirare Costantino per poi farlo crollare.
Così, il 28 ottobre del 312, si svolse la battaglia di Ponte Milvio. Almeno 100.000 uomini di Massenzio contro circa 40.000 di Costantino.
I soldati costantiniani avevano apposto, dopo la visione del loro Imperatore, il monogramma di Cristo, il nome della religione che stava entrando nei cuori di tutti gli abitanti dell'Impero.
Con la loro posizione e la loro potenza i soldati di Costantino riuscirono a respingere i loro avversari fino alle mura e al ponte che crollò con Massenzio su di esso. Così l'Augusto Massenzio cadde nel Tevere e annegò. Ucciso dalla sua stessa trappola.
Così l'Impero Romano tornò ad avere un solo Imperatore, un solo Augusto, quello che ha lasciato l'eredità maggiore di tutti gli Imperatori: la Cristianità.
Questo emerse dopo la battaglia di Ponte Milvio. Un 28 ottobre eccellente Lettor. 
Con quel segno si vince sempre.






mercoledì 26 ottobre 2016

Gloria al Grande Aiace

Telamone, figlio di Eaco figlio di Zeus accolse nella sua terra, Salamina, il grande eroe Eracle. Il figlio di Zeus, vedendo che Peribea, moglie di Telamone, stava per partorire, alzò le braccia al cielo in preghiera al padre e prese il bambino subito dopo il parto.
Avvolgendolo nella pelle del Leone di Nemea Eracle chiese al re degli dei: "Padre ti prego di rendere questo bambino forte come il Leone e che la sua pelle sia dura come la sua."
Così fu: Aiace sarebbe diventato forte come il più grande dei leoni e la sua pelle più resistente di qualunque armatura di bronzo. Ma essendo un uomo egli non poteva essere del tutto immortale, l'arco del eroe impedì un contatto diretto tra la pelle del bambino e la sua ascella sinistra, così quella parte del suo corpo non ottenne la resistenza del Leone Nemeo. La legge è legge.
Aiace viene descritto come il più alto dei guerrieri greci e il più abile di tutti dopo suo cugino Achille, specie dopo l'addestramento presso il centauro Chirone.
Partecipò alla guerra di Troia, non deve essere confuso con Aiace Oileo, il piccolo Aiace, altro eroe greco della guerra contro i Troiani.
Dopo il ritiro di Achille a causa del litigio con Agamennone, Aiace divenne il guerriero più temuto del grande esercito. 
In un giorno passato alla storia Aiace si ritrovò a sfidare il principe Ettore. Lo scontro durò dall'alba al tramonto senza che nessuno riuscisse a prevalere, quando il Sole iniziava a calare gli araldi di entrambi i principi li separarono. Entrambi i combattenti espressero profondissima ammirazione per l'avversario, una volta calmati e riposati Ettore e Aiace si promisero rispetto reciproco e si scambiarono dei regali che avrebbero segnato il loro destino: Ettore donò ad Aiace la spada con l'elsa d'argento di cui ti parlai ieri Lettor, e il Grande Aiace passò al figlio di Priamo il manto purpureo con cui Achille lo avrebbe legato al suo carro per poi trascinarlo dopo averlo ucciso.
Dopo la morte di Achille il destino di Aiace fu segnato: con l'astuzia Odisseo riuscì ad ottenere le armi del Pelide. 
Atena lanciò un incantesimo di follia contro Aiace, simile a quello con cui Era aveva spinto Eracle a massacrare la sua famiglia. L'eroe aggredì un gregge di pecore credendo di vendicarsi degli Atridi che gli avevano negato la gloriosa eredità.
Il disonore fu così grande a causa della gloria negata e della vergognosa azione che il grande eroe scelse di morire.
Arrivato sulla spiaggia di Ilio egli piantò a terra la spada che Ettore gli aveva donato con la punta rivolta al cielo. Si gettò diverse volte sulla spada, ma la resistenza della sua pelle non gli permetteva di morire ma solo di soffrire. Ad un certo punto Aiace riuscì a cadere proprio sull'ascella in cui la spada penetrò dandogli una morte che uno degli eroi più grandiosi della nostra antichità non meritava.
 Lettor, ti prego, ricordati di Aiace e della sua storia. Un eroe che merita di essere ricordato, anche se ormai lui della gloria non se ne fa più niente.

martedì 25 ottobre 2016

Gli strumenti dell'ira funesta

« Ivi ei fece la terra, il mare, il cielo
E il Sole infaticabile, e la tonda
Luna, e gli astri diversi onde sfavilla
Incoronata la celeste volta,
E le Pleiadi, e l’Iadi, e la stella
D’Orïon tempestosa, e la grand’Orsa
Che pur Plaustro si noma. Intorno al polo
Ella si gira ed Orïon riguarda,
Dai lavacri del mar sola divisa. »

Con queste parole Omero descrive il grande scudo di Achille usato nello scontro con Ettore. Il Pelide aveva perso le sue armi: scudo, lancia, spada, armatura, bracciali, gambali ed elmo. Quando Patroclo era sceso in campo indossava tutto questo, le grandi armi forgiate da Efesto in persona nelle fucine dell'Etna. Alla morte di Patroclo Ettore lo spogliò delle armi e iniziò ad indossarle e ad usarle contro i nemici di Troia.
Ettore indossava elmo e armatura il giorno in cui affrontò Achille ed era così possente e terribile che nemmeno suo figlio Astianatte lo riconobbe e fuggì terrorizzato quando il padre gli si avvicinò per salutarlo prima di andare a morire.
Achille non era in grado di affrontare il principe dei Teucri, non senza le armi. Sua madre Teti, figlia di Nereo, discendente di Oceano, padre degli dei, non voluta da Zeus e Poseidone perché destinata a dare alla luce un figlio più grande del padre, chiese ad Efesto di realizzare nuove armi per il suo erede.
Il dio fabbro era molto devoto a Teti poiché ella lo aveva soccorso e allevato dopo che sua madre Era lo aveva rifiutato. Efesto avrebbe fatto qualsiasi cosa per la madre di Achille.
Omero descrive con grande meticolosità il modo in cui il dio dei fabbri realizza questo nuovo arsenale. Nelle fucine del monte Etna, aiutato dai ciclopi, i migliori fabbri del cosmo (che, pur essendone superati, avevano istruito Efesto nella loro arte), il dio applica tecniche siderurgiche tipiche dell'età del bronzo.
Versando del rame e dello stagno negli stampi insieme ad oro e argento, Efesto realizza un nuovo arsenale.
Spada, lancia, elmo, corazza, gambali, bracciali ma soprattutto il grande scudo. Omero dedica dei versi meravigliosi per descrivere questo strabiliante manufatto ornato splendidamente: cielo, terra, sole, luna e stelle, ornati con la rappresentazione di due città, una messa sotto assedio e teatro di una terribile battaglia. Giovenche attaccate da leoni, un campo arato, la villa di un re, dei giovani che raccolgono in una vigna, degli agnelli al pascolo, giovani che danzano. Il tutto circondato dal grande fiume Oceano, governato dal più antico dei Titani che sorveglia l'armonia del mondo. La sua descrizione è il più antico esempio, in letteratura occidentale, di descrizione di un'opera figurativa e funse da modello per molte opere simili successive, come ad esempio lo scudo di Enea e l'opera The Shield of Achilles del poeta inglese W. H. Auden.
Dopo la morte di Achille le sue armi furono contese dai grandi eroi degli Achei, Odisseo re di Itaca riuscì ad ottenerle, secondo le fonti usando la sua grande abilità negli inganni. Aiace Telamonio, il grande Aiace, il più forte eroe greco dopo Achille, disperato per non aver potuto ereditare il divino scudo argenteo e la gloriosa armatura si suicidò usando la spada dall'elsa d'argento che Ettore gli aveva donato come segno di ammirazione. Per fare onore ad Aiace Telamonio, Lettor, ti narrerò però domani.



lunedì 24 ottobre 2016

Il figlio non ha colpa del padre

69 d.C., anno dei quattro Imperatori, poiché dopo la morte di Nerone il generale Galba divenne capo del Grande Impero, ma dimostrandosi incapace di tale ruolo il suo posto venne preso dall'Imperatore Otone. Un feroce comandante di nome Vitellio però sconfisse Otone durante la battaglia di Bedriaco, nei pressi di Cremona. Lì venne combattuta un'altra battaglia tra le forze di colui che Otone aveva scelto per vendicarsi del suo assassino e gli uomini di Vitellio. Il 24 ottobre del 69 la seconda battaglia di Bedriaco diede inizio alla vittoria di Vespasiano e alla sua ascesa verso il comando dell'Impero.
Ecco cos'era l'Impero Romano in quello sciagurato anno dei quattro Imperatori, ognuno dei generali contendenti aveva una porzione dell'Impero con le relative risorse e legioni a sua disposizione, Vespasiano l'Oriente e i Balcani, provincie ricchissime. 
Nella seconda battaglia di Bedriaco il magister al servizio di Vespasiano, Marco Antonio Primo conduceva cinque legioni, contro le forze di pari numero in nome di Vitellio guidate da Fabio Fabulo e Cassio Longo.
Lo scontro terribile e sanguinario, oltre che innaturale. Romani contro Romani, l'esercito invincibile che combatteva contro sé stesso. Ad un certo punto un legionario della legione vespasiana VII Claudia riuscì ad aprire un varco tra le linee della XXI Rapax fedele a Vitellio. Quel legionario si chiamava Claudio Corvo, figlio di Giulio Cesare Corvo che non vedeva da due anni. Durante lo scontro Claudio riuscì a trafiggere un centurione della XXI poco prima che i comandanti vitelliani ordinassero la ritirata sconfitti e diretti a Cremona dove le forze di Vespasiano avrebbero posto l'assedio. Una volta fuggiti i nemici sconfitti i vincitori rivendicarono il diritto di saccheggiare le salme dei nemici. Claudio tornò indietro verso il centurione, era un primipillo, ovvero il centurione di grado massimo della sua legione, doveva avere una vera fortuna addosso.
Il centurione non era ancora morto e il giovane legionario, abituato com'era ai barbari, non arrestò la foga mentre toglieva l'elmo del centurione per dargli un colpo di grazia e derubarlo. 
Claudio Corvo fu folgorato alla vista di quei lineamenti così familiari. Cadde a terra gridando e piangendo mentre gli altri legionari e ufficiali inorridivano a vedere cosa stava accadendo. 
Il centurione, con le sue ultime forze, alzò il braccio destro e lo strinse al collo del legionario appena riconosciuto iniziando a pregare i Mani, gli dei suoi antenati, perché terribili conseguenze attendono coloro che uccidono i loro padri. 
"Grandi Mani...vi supplico...non vendicate...perché mio figlio non è colpevole, non sapeva di colpire suo padre...ha seguito i suoi comandanti e servito il suo duce...non vide il mio volto...Mani...grandi Mani...dei tutti, Giove grandioso non punire mio figlio...non è un patricida...non poteva sapere...Giove mio figlio non ha colpa...non ha colpa..."
Queste furono le ultime parole di Giulio Cesare Corvo, mentre suo figlio Claudio Corvo si disperava e malediva tutti gli Imperatori per avergli fatto uccidere suo padre.
Ti invito Lettor a ricordare questa storia e la lezione del 24 ottobre del 69 d.C., ovvero che non esiste orrore peggiore della guerra civile. Nemmeno l'Imperium vale questo abominio.

domenica 23 ottobre 2016

Un giorno di potenza

Lettor oggi ti parlo di due eventi avvenuti di 23 ottobre. Il primo è del 42 a.C. quando finì la Guerra Civile e la corrotta Repubblica lasciò finalmente il passo al Grande Impero.
Lo scontro vedeva le forze del Secondo Triunvirato, composto da Ottaviano (erede di Cesare), Marco Antonio (suo generale e capo dei cavalieri) e Lepido che all'epoca era console e futuro Pontifex Maximus e i capi dei Cesaricidi, gli assassini di Caio Giulio Cesare, comandati da Bruto e Cassio.
La battaglia fu molto dura ed entrambi gli schieramenti avevano vantaggi e svantaggi su cui giocare: le forze dei Cesariani erano molto motivate anche se in una posizione strategicamente sfavorevole, mentre i Cesaricidi, controllando il porto di Filippi, potevano contare su una buona posizione strategica e un flusso continuo di rifornimenti, ma i loro soldati mal sopportavano i comandanti e combattevano solo per la paga.
Per venti giorni avvenne l'abominio della guerra civile: Romani contro Romani, un popolo contro il proprio popolo. Ottaviano non era un abile stratega militare, almeno non quanto in politica, inoltre sembra che in quel periodo il futuro Imperatore fosse anche malato. Di conseguenza fu l'esperto Marco Antonio a sconfiggere il nemico e a porre fine alla guerra civile che diede inizio all'ascesa dell'Impero. Alla fine della battaglia, quando ormai tutto era perduto, Bruto si suicidò con lo stesso pugnale con cui aveva colpito Cesare.
Un altro 23 ottobre importante è quello del 1520 in cui, ad Aquisgrana, Carlo I re di Spagna e Arciduca d'Austria riceveva un'incoronazione a Sacro Romano Imperatore ad Aquisgrana.
Lo stemma del diciannovenne re di Spagna che assunse il nome di Carlo V, capo di un Impero che non conobbe mai il tramonto.
Lettor questo 23 ottobre ha avuto una grande eredità, ma ricorda che bisogna realizzare oltre che ricordare. Ci sono state date grandi storie a cui ispirarci, ma ricordati Lettor che se non le conserviamo ci aspetta la caduta.



 

giovedì 20 ottobre 2016

L'ascesa del Napoleone d'Oriente

Lettor oggi ti parlo del 20 ottobre 1600 quando il potente Tokugawa Ieyasu, capo del clan Tokugawa, combatteva la grande battaglia di Sekigahara. Questo era il nome di un villaggio poco lontano da un crocevia estremamente importante dal punto di vista strategico dove si tenne lo scontro vero e proprio. Controllare Sekighara significava controllare l'intero Giappone.
Il nemico di Ieyasu era  il samurai Ishida Mitsunari un potente signore del Giappone Occidentale. Ieyasu aveva al seguito circa 75.000 uomini, Ishida quasi 90.000. I samurai usarono delle potenti armi da fuoco importate in Giappone dai missionari gesuiti negli anni precedenti e che stavano cambiando l'antica tradizione bellica del Giappone.
Durante lo scontro le forze di Ieyasu erano sovverchiate mentre un altro potente signore della guerra, il samurai Kobayakawa, ex pupillo di Ieyasu, formalente alleato di Ishida, rimaneva ad osservare immobile con il suo grande esercito facendosi domande sul futuro e sul significato di onore e lealtà. Ieyasu gli fece sparare alcuni colpi di cannone ma senza colpire nessuno dei suoi uomini. Il vecchio maestro pretendeva che Kobayakawa decidesse da che parte stare. Non c'è posto per i vigliacchi nel mondo dei conquistatori.

Kobayakawa decise di rimanere fedele al maestro scagliandosi contro Ishida, insieme alla carica del clan Tokugawa e dei suoi alleati questo assalto distrusse le forze del Giappone Occidentale portando alla morte di Ishida. 

Con questa battaglia Tokugawa Ieyasu conquistò l'egemonia militare su tutto il Giappone. Questo evento mise fine all'epoca Sengoku, un periodo di grandi guerre civili. Dopo alcuni anni Tokugawa Ieyasu consolidò il suo potere diventando lo Shogun, il capo militare di tutte le signorie giapponesi, dando inizio ad una nuova era.
Lo stemma dello Shogun e del suo onore che per molto tempo tenne unito il Giappone.





mercoledì 19 ottobre 2016

La Guardia Variaga

Lettor oggi ti parlo di un'istituzione che ha contribuito molto alla nostra storia, un gruppo scelto di soldati che fece da ponte tra le varie parti del mondo nel Medioevo: la Guardia Variaga.
Il suo nome deriva da quello dei Vareghi, una tribù di Vichinghi che può vantare la fondazione di Novgorod e Kiev. 
Basilio II, Basileus e Imperatore di Costantinopoli.

La storia della Guardia inizia nel 988 quando l'Imperatore di Costantinopoli Basilio II il massacratore di Bulgari, chiese a Vladimir di Kiev un aiuto militare contro il generale Barda Foca che cercava di detronizzarlo. In cambio della mano di Anna Porfirogenita, sorella dell'Imperatore, Vladimir mandò un contingente di 6.000 uomini composto da Norvegesi, Russi e Svedesi. Avvenne così un nuovo ponte tra l'Impero Romano d'Oriente e la nascente nazione russa sorta dalla sua influenza ed eredità. 
Impero Romano d'Oriente al tempo di Basilio II.

Questi soldati venuti dal nord erano molto più alti e forti dei Greci e normalmente erano armati di asce e grandi scudi rotondi. Grazie a loro, durante la battaglia di Crisopoli, l'esercito traditore fu sconfitto e il generale Barda Foca morì in combattimento.
Nel 989 Basilio II decise di consolidare questi uomini alla sua presenza poiché si erano dimostrati più leali dei Romei stessi.
Fu quindi istituita la Guardia Variaga, composta da Russi, Svedesi, Norvegesi e anche alcuni Anglosassoni in fuga dall'Inghilterra normanna decisi a partecipare alle guerre dei Romei contro i Normanni in sud Italia. Fino al 1204 essi vennero universalmente riconosciuti e onorati come la guardia del corpo dell'Imperatore. Il tradimento dei Crociati e l'imposizione dell'Impero Latino d'Oriente in quel anno segnò la fine ufficiale del corpo.
Lettor questo è solo uno dei tanti esempi dei ponti creati tra i popoli nel corso della storia. Ricorda che si fecero grande onore mentre forgiavano il nostro futuro.



martedì 18 ottobre 2016

L'elmo di Scipio

Lettor oggi ti parlo del 18 ottobre del 202 a.C., quando nella piana di Zama, si confrontarono le armate delle due grandi potenze del Mediterraneo. Da una parte le legioni della Repubblica Romana con alleati italici e i Numidi di re Massinissa, guidati dal generale Publio Cornelio Scipione, dall'altra un'armata di mercenari liguri, celti e numidi schierati con i soldati cartaginesi guidati da Annibale Barca, reduce dagli anni di campagna infruttuosa in Italia. 
Annibale era stato costretto a tornare in Africa dall'audace azione di Scipione che aveva portato la guerra direttamente sotto le mura di Cartagine. Quello scontro avrebbe deciso le sorti della Seconda Guerra Punica e il destino delle civiltà romana e cartaginese. 
Scipione disponeva di circa 29.000 uomini: 23.000 legionari romani, 6.000 fanti numidi e 900 berberi, più una cavalleria di 1.500 Romani e Italici, 4.000 Numidi e 600 Berberi.
Annibale aveva schierato ben 36.000 uomini: 12.000 mercenari celtici, liguri, berberi e mauri, 15.000 fanti libici e cartaginesi, 4.000 Macedoni, più tutti i veterani della campagna d'Italia. La cavalleria era di 4.000 uomini: 2.000 Numinidi, 2.000 Cartaginesi. Più 80 elefanti.
I Cartaginesi erano certi che queste grandi bestie sarebbero state la garanzia di vittoria, per sicurezza Annibale li fece ubriacare per renderli ancora più pericolosi per poi farli partire alla carica. Ormai però i Romani erano ormai preparati ad affrontare anche l'animale più potente del mondo: al segnale di Scipione i legionari urlarono e suonarono le trombe spaventando gli elefanti e dividendosi per farli correre alle spalle del esercito. Gli esemplari più giovani, terrorizzati dal clamore dei soldati, deviarono la carica annientando la cavalleria numida di Annibale e il fianco sinistro del suo esercito. In seguito re Massinissa e il capo dei cavalieri italici Lelio annientarono il resto della cavalleria cartaginese. 
Annibale aspettava rinforzi che non sarebbero mai arrivati, quando i legionari affrontarono la fanteria cartaginese trovarono poca resistenza dai mercenari assoldati nemici, tuttavia i Punici e i veterani della campagna in Italia misero in seria difficoltà gli uomini di Scipione. Il condottiero romano fece assottigliare le sue linee in modo da circondare l'esercito di Annibale (proprio come quest'ultimo aveva fatto a Canne), che fu compiuto da re Massinissa e da Lelio che, dopo aver disperso la cavalleria punica, calò sulle retrovie di Annibale costringendolo alla fuga. Il generale cartaginese, insieme a pochi cavalieri, riuscì a fuggire dal campo diventando il terzo migliore condottiero della storia.
I Romani persero circa 1.500 uomini (pochi Romani, soprattutto mercenari e alleati), i Cartaginesi lasciarono sul campo 24.000 uomini. I legionari fecero circa 15.000 prigionieri e si impossessarono di tutte le maggiori insegne militari umiliando pesantemente Cartagine e il suo generale.
La battaglia di Zama determinò la vittoria di Roma nella Seconda Guerra Punica e la fine dell'egemonia di Cartagine sul Mediterraneo, aprendo la strada ai Romani verso l'espansione che li avrebbe portati a costruire l'Impero. In pratica si decise il destino mio, tuo e del resto del mondo Lettor quel 18 ottobre a Zama.
Si dice inoltre, Lettor, che quel giorno un Romano riuscì ad uccidere uno degli elefanti dei Punici acquisendo così un praenomen come testimonianza dell'impresa, la parola che nella lingua dei Cartaginesi significa "elefante", un praenomen che avrebbe tramandato ad un suo discendente che lo avrebbe trasmesso a chi lo ha meritato fino ad oggi: Caesar.




lunedì 17 ottobre 2016

Il poeta del Cielo Diviso

Lettor oggi ti parlo di un uomo che fu poeta e politico, fortunato nell'arte ma poco nella politica. Un uomo che sognava la riunificazione della sua patria e di tutte le nazioni della sua civiltà sotto un solo sovrano ordine restaurato dopo secoli di divisione e invasioni barbariche. No Lettor, non è Dante Alighieri, ma ha avuto una storia molto simile.
Il 17 ottobre 1125, nella città di Shaoxing, nacque Lu You. Nato in una famiglia benestante crebbe in una Cina in cui l'antica unità era ormai in ricordo: il paese era diviso in tre grandi Stati, quello più settentrionale (la Cina dei Song settentrionali) stava crollando sotto l'avanzata dei Mongoli di Gengis Khan, nel centro la dinastia Jīn aveva instaurato un suo impero molto aggressivo nei confronti della patria di Lu You, la Cina della dinastia Song meridionale.
Durante la sua giovinezza i Jīn invasero i Song e costrinsero la famiglia di Lu You a fuggire verso sud, a causa di ciò egli sognerà per tutta la vita non solo la sconfitta della dinastia rivale, ma anche la riunificazione di tutta la Cina sotto una sola dinastia.
Iniziò a scrivere all'età di dodici anni (almeno secondo le fonti), mentre tentava una carriera politica. Nella dinastia Song gli ufficiali di Stato venivano scelti non in base al ceto o alla posizione sociale: diventavano autorità dello Huangdì (Imperatore) solo coloro che passavano degli esami statali che dimostravano capacità di gestione della burocrazia e della politica. A diciannove anni Lu You fu bocciato a questi esami. Un anno dopo si sposò con una sua cugina e si dedicò ad una produzione letteraria e poetica che avevano come fondamento il sogno della riunificazione del antico impero.
Dopo dieci anni ritentò e superò gli esami di Stato, ma la sua carriera politica ebbe vita breve a causa delle sue idee troppo bellicose. Lu You aveva promosso con troppo entusiasmo una guerra contro i Jīn mentre le infinite orde dei Mongoli si preparavano a calare verso il sud.
Morì senza vedere il suo sogno realizzato, con i Mongoli che avevano conquistato i Jīn e iniziavano i decenni di assedio prima del tramonto dei Song.
Lu You scrisse ben 10.000 poesie, tutte piene di ardore patriottico e malinconia, te ne do alcuni esempi Lettor.

Tempesta di vento e pioggia nel quarto giorno dell'undicesimo mese


Giaccio inerte nel villaggio solitario                            僵         臥       孤   村      不    自    哀 

senza piagnucolare sulla mia sorte.                           jiāng    wò     gū    cūn    bú    zì     āi

Il mio pensiero corre sempre alla patria:                    尚         思     為      國      戍      輪    臺 

difendere le frontiere fino a Lúntái. (1)                     shàng    sī     wéi    guó    shù    lún  tái  

A notte fonda, disteso nel mio letto,                           夜        蘭      臥     聽       風     吹      雨 

odo urlare il vento che scaccia la pioggia                  yè       lán    wò   tíng   fēng  chuī  yŭ  

ed ecco che i miei sogni si popolano                          鐵        馬      冰     河       入     夢     來 

di cavalli in guerra e di fiumi ghiacciati.(2)                  tiĕ      mă    bíng   hé      rù   mèng  lái




Ai miei figli

               

Quando s’avvicina la morte t’accorgi                             死   去     原      知     萬     事     空
             
che tutte le cose son solo vanità,                                  sĭ    qù   yuán   zhī   wàn  shì   kōng

eppure, continua a tormentarmi il cruccio                     但     悲       不     見    九    州    同。

di non veder riunite le Nove Terre. (2)                         dān   bēi     bú     jiàn   jiù  zhōu  tóng

Allorché le truppe dell’Imperatore                                  王      師      北     定      中      原    日,

dilagheranno nelle pianure del Nord, (3)                      wáng  shī    bĕi   dìng  zhōng yuán  rì

non scordatevi di dirlo al vostro vecchio                       家     祭      無       忘       告    乃     翁。                

mentre renderete omaggio alla sua tomba.(4)              jiā     jì       wŭ     wàng   gào  năi  wēng








domenica 16 ottobre 2016

Lunga vita al Ducato

Lettor oggi ti racconto del Conte di Virtù, nacque infatti il 16 ottobre del 1351Gian Galeazzo Visconti, Signore di Pavia, Signore di Milano e in seguito Duca di Milano.
Figlio di Galeazzo II e di Bianca di Savoia, è ricordato come il primo Duca di Milano e uno dei condottieri e politici più abili e dotati che l'Italia e l'Europa abbiano mai conosciuto. Divenne Signore di Milano dopo aver scalzato suo zio Bernabò permise al popolo e ai soldati di saccheggiarne il palazzo guadagnandosi il loro favore. 
Quando fu pronto il Signore di Milano mosse guerra agli Scaligeri conquistando Verona e Vicenza. Il conte di Armagnac e il Duca di Baviera lo attaccarono costringendolo a fermare la sua avanzata. In questo modo Gian Galeazzo si concentrò a consolidare le sue conquiste, sconfiggendo i suoi avversari, i Pusterla, e assicurando il dominio visconteo su Lombardia, Piemonte, Gran Parte del Veneto e Italia centrale. 
Una volta assicurato tutto questo Gian Galeazzo mandò suo cugino, il francescano Fra Pietro Filargo da Candia (futuro Papa Alessandro V) all'Imperatore Venceslao chiedendo di essere elevato al rango di Duca. In cambio di una cospicua somma di denaro versata nelle casse del tesoro imperiale. L'ambasciatore imperiale Benesio portò la notizia dell'elevazione e presenziò alla cerimonia di insediamento che fece di Gian Galeazzo il primo Duca di quello che sarebbe diventato uno degli Stati più potenti e avanzati della storia europea. Il Ducato di Milano era uno Stato vassallo del Sacro Romano Impero, ma Gian Galeazzo aveva un progetto molto più ambizioso. Ci mancò poco che non si potesse dire "Gian Galeazzo Re d'Italia! Avanti Visconti!"
Non era lontano dall'unificazione dell'Italia in una sola nazione con Milano come capitale, malgrado la ferma resistenza di Firenze. La conquista non andò oltre Bologna.
Avviò la costruzione del Duomo di Milano, completò il Palazzo di Pavia, la Calà del Sasso, la scalinata più grande d'Europa, la Certosa di Pavia, dove è sepolto dopo essere morto di peste nel 1402.
Anche se non riuscì nell'impresa di fondare un Regno d'Italia, Gian Galeazzo divenne uno degli uomini più potenti dell'Europa, nel nome dell'Imperatore egli era: Conte di Vertus, Signore di Milano, Verona, Crema, Cremona, Bergamo, Brescia, Belluno, Pieve di Cadore, Feltre, Pavia, Novara, Como, Lodi, Vercelli, Alba, Asti, Pontremoli, Tortona, Alessandria, Valenza, Piacenza, Bobbio, Parma, Reggio Emilia, Vicenza, Perugia, Vigevano, Borgo San Donnino e delle valli del Boite oltre che primo Duca di Milano.
Come sarebbe andata secondo te Lettor, se egli avesse unificato la nostra patria con tanti secoli d'anticipo? Non lo so, ma avrei voluto impararlo.

sabato 15 ottobre 2016

Ecco come si ricorda un'era

Lettor oggi è il 15 ottobre e te lo posso dire perché in questo giorno del 1582, per volere di Papa Gregorio XIII, con la bolla pontificia Inter gravissimas introdusse il calendario che prese il suo nome e che ancora oggi viene usato nella maggior parte del mondo per contare i giorni e gli anni della nostra era.
Questo è solo uno dei motivi per cui Gregorio XIII è ricordato come uno dei più importanti Pontefici della storia della Chiesa. 
Quello gregoriano è una modifica del calendario giuliano usato nel mondo occidentale fino a quel momento, conta 365 giorni, 366 negli anni bisestili. Questo, e altri elementi, furono elaborati per necessità liturgiche poiché il calendario giuliano accumulava un giorno di ritardo ogni 128 anni, in quanto non in linea con l'anno solare. All'epoca di Papa Gregorio XIII il calendario giuliano (entrato in vigore nel 325 durante il Concilio di Nicea) aveva accumulato circa 10 giorni di ritardo rendendo impossibile stabilire correttamente la data della Pasqua e ciò avrebbe compromesso la cadenza di tutte le altre festività e i periodi dell'anno liturgico (in Primus Pentecoste e Quaresima), per non parlare della difficoltà nello stabilire con precisione il susseguirsi delle stagioni.
Il Sommo Pontefice prese in mano la situazione e riunì un grande numero di sapienti, matematici, astronomi e studiosi con il compito di recuperare i giorni perduti e modificare il calendario in modo da evitare un ripetersi del problema. Oltre al calcolo dei giorni e degli anni bisestili la bolla papale stabilì che da giovedì 4 ottobre si passasse direttamente a venerdì 15 ottobre, recuperando i dieci giorni perduti e senza compromettere il susseguirsi della settimana. In seguito tutte le nazioni dell'Europa a cominciare dall'Italia e dalle altre del Mediterraneo, adottarono immediatamente il nuovo calendario in vigore ancora oggi in gran parte del mondo...e da me usato per decidere cosa narrarti Lettor.
Tra i membri più importanti che Papa Gregorio radunò ci furono i matematici Igniazio Dandi, Giuseppe Scala e Luigi Lilio, membri di una commissione che il Papa affidò al capo del Collegio Romano, Cristofo. Tutto ciò fu reso possibile anche grazie agli studi e alle scoperte di Nicolò Copernico.
Lettor oggi è il giorno in cui si iniziò a contare il nostro tempo. Papa Gregorio XIII ci ha lasciato questo strumento importantissimo che ci insegna a godere ogni istante del nostro tempo perché, quando quel istante sarà andato via non tornerà mai più.
Giusto perché te ne ricordi anche tu Lettor:

Trenta dì conta novembre
con april, giugno e settembre
di ventotto ce n'è uno
tutti gli altri ne han trentuno.

Oppure:

Trenta giorni ha novembre
con aprile, giugno e settembre
di ventotto ce n'è uno
tutti gli altri ne han trentuno.



venerdì 14 ottobre 2016

L'ombra portatile

Per inaugurare un nuovo periodo di lavoro e impegno, Lettor (lieto di ritrovarti) inizio a parlarti di un oggetto che in questo periodo mi trovo a dover usare molto spesso. Un'invenzione antichissima, come l'arco, le piramidi e la scrittura, questo strumento può essere considerato un punto d'incontro, un elemento utilizzato da gran parte del genere umano.
I Romani lo chiamavano umbrella, in quanto oggetto portatore di ombra (umbra), termine rimasto invariato nella lingua inglese come molti altri termini latini da essa acquisiti. Sto parlando di lui, un carissimo amico che spesso rappresenta la salvezza: 
L'ombrello, nato in diverse parti del mondo e poi evolutosi in diversi luoghi dal Giappone al Mediterraneo.
Il Giappone ha delle antichissime tradizioni legate agli ombrelli, prima di diffonderli in Cina dove venivano usati come simbolo di potere e prestigio, proprio come in Persia, tra gli Assiri e l'Egitto dei Faraoni.
In Egitto i grandi parasoli erano riservati ai nobili, ai membri della famiglia reale e ai personaggi più illustri del paese. Gli Etruschi, uno dei popoli più antichi, avanzati e misteriosi del mondo antico, svilupparono e diffusero in Italia una struttura simile a quella moderna con un meccanismo di apertura ad incastro. Anche i Greci usavano degli ombrelli e dei parasoli arcaici con scopi rituali. Come in Egitto erano uno status simbol, destinati ai personaggi più illustri della società.
I Romani diffusero l'uso degli ombrelli nella loro società probabilmente dopo averli acquisiti dagli Etruschi o dai coloni greci dell'Italia meridionale. Tra loro erano oggetti decorativi, non riservato solo alla nobiltà, ma a chiunque potesse permettersene uno. Anche oggi però un ombrello fatto di avorio d'elefante sarebbe un lusso per pochi.
Nel Medioevo l'ombrello riacquistò un valore rituale divenendo un simbolo delle più grandi istituzioni europee, tra cui il Papato.
Lo si vede accompagnato all'Imperatore Costantino e alle insegne papali.
Ma non solo i Papi erano accompagnati da questi simboli.
Anche il Serenissimo Principe della Repubblica di Venezia veniva accompagnato da questo illustre simbolo, e protetto dai raggi del Sole durante le celebrazioni pubbliche.
Quindi l'ombrello non è sempre stato uno strumento di uso comune come oggi, per migliaia di anni si è trattato di un simbolo delle grandi istituzioni e dei ceti più altolocati. Inoltre esso è l'ombrello, l'oggetto che fa ombra: prima degli inizi del XX secolo non è mai stato usato per riparare dalla pioggia, ma solo dalla luce del Sole.