venerdì 25 dicembre 2015

Avvento XXI

"Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama."
                                                                                                          Luca, II, 14

La casa del fratello di Simeone era su una piccola collina, in cima alla città. Quando arrivarono a Betlemme i tre Magi seguirono i contadini con la mia luce che risplendeva su di loro. La luce del mondo brillò in quella grotta in cui era stata scavata una stalla, che per quelle persone era un luogo accogliente dove la gente abitava insieme ai suoi beni più preziosi.
La generosità di quella grotta la benedì per l’Eternità.
Vidi i pastori che ammiravano il Bambino, deposto in quella mangiatoia, con la sua bellissima madre che lo copriva e guardava con timore e allo stesso tempo gioia coloro che venivano ad adorare il Bambino.
“Come si chiama?” chiese Sara.
“Gesù…. il suo nome è Gesù” disse Maria.
Dopo pochi secondi arrivò anche un giovane vestito in maniera diversa rispetto ai contadini; era un servitore caldeo che apriva la strada ai suoi padroni. I tre Magi apparvero nella caverna e si inginocchiarono davanti al Bambino nella mangiatoia. Simeone rimase sconvolto da quella visione; ricordava ciò che era stato letto al re Erode…. ed era vero! Era tutto vero!
“A questo Bambino….” il Mago fu interrotto dalla visione di un uomo avvolto in un mantello rosso che si era presentato nella stalla, dopo essere entrato dalla porta della casa. Era un Romano, uno dei Magi lo riconobbe, e c’erano altri come lui a seguirlo. Passò presto la sorpresa di vedere dei Romani nella stalla, anche i nuovi arrivati erano sopraffatti dalla sorpresa e dalla meraviglia.
“A questo Bambino- riprese il Mago posando uno scrigno a terra- io porto in dono l’oro. Questo simboleggia il fatto che egli è il Re del mondo.”
Un altro Mago si inginocchiò davanti alla mangiatoia e posò un’ampolla aprendola e facendo spargere un ottimo profumo nella stanza. Poi disse: “A questo Bambino io porto in dono la mirra, che protegge dalle malattie e purifica i corpi, perché egli si è fatto uomo come tutti noi.”
Il terzo Mago si avvicinò ad un braciere dove il fratello di Simeone aveva acceso un fuoco per riscaldare la stanza, vi buttò dentro una polvere che bruciò rilasciando un profumo dolcissimo. Si inchinò anche lui accanto ai suoi compagni di viaggio e disse: “A questo Bambino io porto in dono l’incenso, che è il profumo delle preghiere degli Uomini. Questo è perché egli è di natura divina.”
Scauro cadde in ginocchio, incapace di comprendere quello che vedeva ma anche lui rapito da ciò che stava accadendo.
Lui, così piccolo e indifeso, così innocente, stava ricevendo il benvenuto in un mondo che era venuto a salvare.
Ero in Cielo quando sentii la risata che veniva dal Trono. Lui era felice, era lieto di ciò che stava accadendo e che tutto fosse compiuto come aveva predisposto.
Le schiere del Cielo e l’Altissimo dissero queste parole potenti quel giorno: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra a tutti gli uomini di buona volontà. E tutte le genti verranno in pace ad adorare questo Bambino.”
Questo è il mio racconto, la storia del primo Natale. Quel giorno io brillai, fu realizzato il mio sogno perché si compisse il destino del mondo, della salvezza che fu introdotta nel mondo grazie alla speranza nata da un Bambino che salvò tutti coloro che gli diedero ascolto.
Io brillerò ancora, nel giorno del ultimo Natale, quando quel Bambino tornerà, quando lo Sterminatore sarà andato trionfatore a Gerusalemme, quando la morte sarà sconfitta. Io brillerò ancora quel giorno, ma non so quando, nessuno sa quando sarà l’ultimo Natale.
Ma non è questo, oggi è un nuovo Natale e dalle stelle arriva per te, che leggi queste parole, un nuovo augurio, una  nuova richiesta: siate felici, è Natale.

Auguri a te che leggi questo mio racconto, auguri di un buon Natale, a te e a tutti coloro che ami.

giovedì 24 dicembre 2015

Avvento XX

..... sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi.
                                                                              Matteo, I, 23

Quando calò la sera Gabriele venne accanto a me e mi disse qualcosa di meraviglioso.
“Lui dice che devi brillare di più. Brilla più che puoi.”
La mia luce si intensificò e tutti mi videro, tutti seppero di me. Brillai per il mondo e l’Umanità mi vide.
A Rodi il buon Tito mi indicò così che il suo signore Tiberio mi vedesse. Ero lo spettacolo più incredibile che quel Romano avesse mai visto.
“Il Cielo sembra mandare un nuovo Sole” disse.
“È un segno legato! Quella stella nuova brilla per te e per dirti che presto risorgerai” disse Tito con sincero entusiasmo. Mi aveva già visto nei giorni precedenti ma non credeva che potessi diventare una luce così grandiosa, voleva consolare Tiberio ma ora credeva che potessi essere davvero un buon presagio.
Tiberio fu certo che quello fosse un grande segno, una nuova speranza. Quella notte il legato di Rodi ricominciò a sperare di rivedere Roma, la sua famiglia, i suoi cari e sua madre. In effetti Augusto lo avrebbe richiamato poco tempo dopo. Tiberio sarebbe tornato a Roma, avrebbe protetto il suo Imperatore e la sua famiglia, per poi diventare egli stesso Cesare e Augusto, il secondo Imperatore della storia.
Allo stesso tempo, molto lontano da Rodi, un giovane uomo di nome Vonone cavalcava poco lontano dal suo accampamento. Osservava l’orizzonte verso Occidente e Oriente. Pensava a suo fratello, il Gran Re Fraate il piccolo, rifletteva sulla sua matrigna e sul fatto che, se non fosse stato per lei e per le sue congiure, sarebbe stato lui stesso il Gran Re quel giorno e forse suo padre, Fraate il grande, non lo avrebbe mandato a Roma a vivere da ostaggio per anni.
Vonone aveva imparato molto dai Romani, anche ad apprezzare il loro modo di vivere e a temere la forza dell’esercito romano. Adesso era ancora lontano dalla sua patria, ma almeno parlava la sua lingua ed era tra uomini che lo rispettavano davvero. Aveva cinquemila cavalieri parti al suo comando, suo fratello lo aveva relegato laggiù, ai limiti della Mesopotamia, per sorvegliare i legionari romani e i loro alleati schierati nel deserto.
Ad un certo punto mi vide anche lui: brillavo nel cielo con tutto il mio splendore e Vonone ne rimase affascinato.
“Principe- disse il generale accanto a Vonone- quel astro…. È un segno….”
“Sì, un segno di Dio…. Siamo in pericolo, i nostri confini….. tramano contro di noi” disse Vonone rigirando il suo cavallo verso l’accampamento.
“Ordina immediatamente di mobilitare e di sorvegliare il confine” disse Vonone.
“Mio signore…. non corrisponde agli ordini del Grande Re” disse il generale.
“Me la vedrò io con mio fratello.... e con sua madre. Fai come ho detto!”
Il generale eseguì l’ordine e le forze dei Parti schierate scoraggiarono nuove invasioni da parte dei Romani per molto tempo. Anche Vonone ebbe un grande futuro; dopo la caduta di suo fratello e della Musa Italica sarebbe diventato il Grande Re dei Parti, anche se non avrebbe avuto un regno lungo e fortunato.
Mentre il mondo si mobilitava per il futuro io iniziai a concentrare il mio sguardo su Betlemme. Vidi i Magi che si muovevano con maggior decisione verso la casa dove stavo guardando, mentre dei pastori mi fissavano con una certa sorpresa, anche loro si chiedevano cosa volesse dire quel segno così potente che stavo manifestando.
“Stai andando benissimo!” mi disse Gabriele apparendo accanto a me.
“Davvero? Ho visto Maria! Sta per accadere, vero? Vero?” chiesi con gioia.
“Sì! E ora vado a dare l’annuncio alle persone che lo aspettano!” disse Gabriele e in quel momento volò verso la Terra, mentre una grande moltitudine di angeli scendeva insieme a lui, schierandosi sulle nubi di quel cielo notturno.
Nella casa del fratello di Simeone la maggior parte delle persone si era accomodata nella stalla, accanto agli animali. Ormai avevano capito che era il momento per Maria, per fortuna quel posto era già stato preparato nel caso Sara avesse dovuto partorire lì, ma tutto era stato in realtà fatto per Maria, senza che nessuno lo sapesse. Ogni cosa era stata stabilita sin dall’Eternità.
Gabriele apparve accanto a quei pastori che sorvegliavano il loro gregge, subito dopo quel momento. Non era un sogno, non era una semplice manifestazione: l’arcangelo era davvero lì, apparso come un grande sovrano, splendente come il Sole.
Mentre quei poveretti cadevano a terra spaventati a morte il buon Gabriele li salutò con un augurio di pace: “Non abbiate paura- disse- perché vi annuncio una grande gioia: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore potente, che è il Cristo Signore. Lui sarà Re su tutta la superficie della Terra e salverà il suo popolo Israele. Troverete il Bambino adagiato in una mangiatoia, in una stalla a Betlemme. Andate, adorate il Bambino, raccontate e annunciate di lui a tutti coloro che incontrerete. Egli viene per salvare tutti voi e per sconfiggere la morte nel mondo.”
Apparvero a quegli uomini le schiere degli angeli che glorificavano Dio e auguravano la pace a chiunque abitasse la Terra. Le legioni del Cielo benedivano gli uomini di buona volontà e una nuova luce appariva nel mondo.

I Magi seguirono quella luce, ormai certi che il Bambino era vicino. Poco lontano il centurione Scauro e alcuni suoi uomini a cavallo si dirigevano a Betlemme per capire cosa stesse accadendo.

mercoledì 23 dicembre 2015

Avvento XIX

"Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato."
                                                                                                                              Matteo, X, 40. 



Giuseppe era di nuovo in fila, mentre Simeone era stato registrato anticipatamente dall'ufficiale imperiale, così poté andare a casa con sua moglie e suo figlio. Era il fratello di Simeone ad ospitarli e anche lui fu ben lieto di ringraziare Giuseppe e Maria del loro aiuto per la nascita del nipote.
La fila riprese a muoversi e il falegname di Nazaret si muoveva mentre sua moglie rimaneva seduta ad aspettarlo.
“Chi sei tu? Da dove vieni? Cosa fai? Quanti sono i membri della tua famiglia?” chiese l’ufficiale imperiale diverse ore dopo ad un Giuseppe decisamente sfinito.
“Io sono Giuseppe, sono nato a Betlemme ma vivo a Nazaret di Galilea, faccio il falegname e sono carpentiere. Sono sposato e mia moglie aspetta un figlio” rispose Giuseppe.
Dopo aver scritto le informazioni richieste l’ufficiale imperiale salutò Giuseppe e chiamò l’uomo dietro di lui. Ancora cinque persone e sarebbe potuto tornare a casa sua, libero finalmente, mentre i suoi colleghi nelle altre città avrebbero avuto ancora moltissimo da fare. Così l’ordine di Augusto era stato eseguito e il censimento completato a Betlemme.
“Come stai?” chiese Giuseppe a Maria.
“Bene, ma adesso vorrei riposare” disse lei.
“Andiamo, troviamo una locanda dove passare la notte” disse Giuseppe prendendo Maria per mano e conducendola verso la strada.
Poco distante trovarono un piccolo albergo. Giuseppe entrò mentre Maria rimaneva sulla porta ad aspettare. Non molto a dire il vero; dopo meno di un minuto la donna di Nazaret vide il marito uscire con un’aria delusa.
“Qui non hanno posto, ma dicono che c’è un'altra locanda poco lontano” disse lui riprendendo Maria per mano.
Arrivarono davanti a quel grosso edificio che però non prometteva bene: c’era gente che dormiva anche nel cortile e accampata fuori dalla porta. Il proprietario non aveva posto nemmeno per una persona. Quel uomo non ebbe pietà nemmeno per una donna incinta.
“Come stai?” chiese Giuseppe.
“Sto bene tranquillo. Vedrai che adesso troveremo un posto dove riposare….. “ Maria ebbe un piccolo mancamento.
“Che succede?” chiese Giuseppe.
“Niente…. tranquillo…. va tutto bene” disse Maria.
Giuseppe capì che c’era qualcosa…. la stessa che aveva visto in Sara quel giorno.
“Maria.... cosa….?”
“Giuseppe! Maria!”
I due si voltarono e videro Simeone con in mano un otre che sembrava pieno d’acqua.
“Cosa ci fate qui?” chiese l’uomo.
“Non siamo ancora riusciti a trovare un alloggio” disse Maria.
“Cercavamo una locanda ma….” Giuseppe fu interrotto da Simeone.
“Non troverete mai un posto con questa storia del censimento e tutta la gente che ha fatto arrivare qui da tutto il paese. Venite con me” disse Simeone facendo strada.
“Cosa?” chiese Giuseppe.
“La stalla nella casa di mio fratello è abbastanza ampia per tutti. Credo che potresti averne bisogno Maria” disse il segretario del re.
“Ma cosa dici? Non possiamo disturbare tuo fratello per….”
“Statemi a sentire: dopo quello che avete fatto per mia moglie e mio figlio oggi non vi permetterò di dormire per strada e tutti i membri della mia famiglia saranno felicissimi di avervi per ospiti. Venite, presto prima che diventi troppo freddo.”

La famiglia si mise a seguire Simeone nella casa poco distante.

martedì 22 dicembre 2015

Avvento XVIII

"Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà."
                                                                                                                 Matteo, XXIV, 42

Vidi che Gabriele stava scendendo a grande velocità sulla Giudea, stava scendendo la sera e i tre Magi si erano appisolati sotto un sicomoro mentre i loro servitori montavano un accampamento dove passare la notte. Gabriele si fece invisibile e più evanescente dell’aria, per lui era semplice entrare nell’aurea di quegli uomini e apparirgli. Quando gli uomini dormono le loro menti si aprono a percezioni superiori rispetto alla loro capacità di comprensione, non sempre si ricordano di ciò che vedono e comprendono in questo stato. Ma quella sera i Magi avrebbero ricordato.
“Voi- disse Gabriele ai Magi dopo aver unito i loro sogni- state andando ad onorare il Re Bambino che nascerà nella città di Davide domani notte. Il vostro viaggio è benedetto, ma non dovete tornare dal re Erode a Gerusalemme, non gli dovete dire come trovare il Bambino.”
“Messo dell’Altissimo…. Perché ci viene proibito di dire al re di Gerusalemme come trovare il Messia d’Israele la cui nascita tu ci annunci nella sera del nostro arrivo?” chiese Melchiorre.
“Perché Erode crede che il Regno del Messia sia di questo mondo e teme che il suo destino sia perdere il trono per mano del Bambino. Per questo folle motivo Erode non deve sapere dove e come trovare il Re che sta per nascere, altrimenti di certo lo farà uccidere” disse Gabriele.
“Ma…. messo divino, noi abbiamo dato la nostra parola che avremmo avvertito il re dopo aver onorato il Bambino. Dobbiamo dunque diventare bugiardi?” chiese Gaspare.
“Siete sciolti da qualunque vostro impegno, ma per il bene del Bambino e del mondo, non tornate a Gerusalemme dopo averlo onorato, passate per il deserto verso il vostro paese.”
I Magi si svegliarono in quel momento, i loro servitori stavano iniziando a cuocere arrosto alcune quaglie comprate da una fattoria non molto distante, il loro profumo era davvero inebriante, ma i tre signori non pensavano affatto a mangiare.
“Avete sognato anche voi, figlioli?” chiese Melchiorre.
Dopo essersi guardati l’un l’altro i sapienti d’Oriente compresero che non erano affatto reduci di un semplice sogno.
“Dirigiamoci a Betlemme- disse Baldassarre- ma dopo andiamo per la via mercantile dei Nabatei, così potremo tornare nella nostra patria senza passare per Gerusalemme.”
“Giusto. Io lo sentivo che di re Erode non ci si può fidare” disse Gaspare dopo essersi alzato in piedi.
Il giorno dopo i Magi erano quasi in vista di Betlemme quando si perdettero; la loro guida li aveva condotti in un territorio montagnoso, con diverse gole e nessun sentiero battuto.
“Dove ci hai portato incapace?” chiese Gaspare alla guida.
“Un po’ di pazienza signori, è facile essere disorientati in questo terreno, ma vi assicuro che…”
“Aspettate- disse Melchiorre- lassù c’è una donna, forse ci saprà dire che strada prendere.”
Era in effetti una donna molto anziana stava camminando su uno dei crinali, raccoglieva legna dagli arbusti nei dintorni.
“Lassù- gridò Melchiorre- ci sai dire come arrivare a Betlemme?”
“Perché cercate quel villaggio? Non ci sono altro che pecore a Betlemme” gridò l’anziana donna.
“Stiamo andando ad onorare il nuovo Re del mondo che nascerà lì” gridò il Mago.
“Ma di che parlate? Non ci sono re qui e non ne abbiamo bisogno. Io ho il mio da fare…. ma Betlemme la trovate sulla strada alla fine di questa gola: andate verso est e poi proseguite dritti a sud.”
“Grazie! L’Altissimo guidi i tuoi passi!” disse Melchiorre riprendendo la strada.
L’anziana tornò a cogliere la sua legna e a seguire i suoi passi. Poco dopo ripensò a ciò che le aveva detto quello straniero: un Re che nasceva a Betlemme, un Re Bambino.
“Voglio andare a fare un regalo a questo Bambino” si disse l’anziana. I Magi però erano ormai lontani, ma lei non si rassegnò e decise di cercare il Bambino per portargli un dono. Non c’è ancora riuscita, ma continua a fare doni a tutti i bambini che incontra, nella speranza che uno di loro sia il Re.
I Magi intanto, procedevano verso la loro meta ormai in vista.



lunedì 21 dicembre 2015

Avvento XVII

Oh! Assiria, verga del mio furore, bastone del mio sdegno. Contro una nazione empia io la mando e la comando contro un popolo con cui sono in collera perché lo saccheggi, lo depredi e lo calpesti come fango di strada.
                                                                                                                                                            Isaia, X, 5-6
“Portatemi altro vino!” disse il giovane. I due servi strisciarono all’indietro fino alla porta della terrazza per poi alzarsi e correre via da una porta laterale.
Il ragazzo guardò il sole con non curanza, era davvero annoiato malgrado i doveri a cui era sottoposto.
“Come stai?” chiese una voce femminile accanto a lui. Il ragazzo si voltò e vide una donna alta, con abiti di pura seta del lontano Oriente e il diadema del suo rango che rifletteva il sole.
“Mamma…. Sto pensando” rispose lui.
“A cosa?” chiese lei.
“Alla mia decisione” rispose.
“Piccolo….. lo sai come la penso.”
“E tu credi che mi farò strappare le mie terre dai Romani? Il fatto che tu sia nata nella loro terra non mi rende sottoposto al loro re” disse il giovane alzandosi in piedi mentre i servi rientravano con in mano la brocca di vino. Il ragazzo porse loro la sua coppa mentre il servitore la riempiva e faceva un inchino.
“Gradisci del vino mamma?” chiese il giovane.
“No, ti ringrazio. Sai che non mi posso” disse lei.
“Mamma…. Non è necessario ormai…”
“Un giuramento è un giuramento! Quando rimasi incinta giurai a tutti gli dei del cielo, del mare, della terra e degli inferi che, se mio figlio fosse diventato il Grande Re, non avrei mai più toccato una sola goccia di vino. Se gli dei ti ascoltano fai sempre bene a non dimenticarli.”
“Mamma….gli dei ei Romani non esistono, esiste il dio della luce e il dio della tenebra, esiste il Creatore, esiste Dio. Io ho sempre rispettato le tue credenze, ma stai attenta quando ne parli con me” disse il giovane sorseggiando la sua bevanda.
“Figliolo…. Non credo che dovresti bere così” disse la madre facendo attenzione.
“Andatevene!” disse ai servi.
“Non è stato un grande giuramento- disse il figlio- ho provato tutti i vini del mondo. Ne ho il disgusto!”
Detto questo il giovane si sedette su uno dei divani.
“E allora perché ne bevi tanto?” chiese la madre.
“Perché tutti i grandi uomini bevono il vino. Anche zio Orode dice che un Grande Re deve essere capace di distinguere un buon vino da uno di minor qualità….”
“Tuo zio Orode non sa niente del mondo. Lui crede di essere un grande uomo solo perché è bravo ad uccidere.”
“Mio padre beveva moltissimo vino…. e lo reggeva benissimo” disse il giovane guardando il cielo.
“Tuo padre era un vero Gran Re….. ma non certo perché beveva. In realtà nemmeno lui amava molto questo tipo di bevande.”
“Ti manca?”
La madre rimase qualche momento in silenzio prima di guardare suo figlio e dire: “Sì…. mi manca molto.”
“Vorrei che fosse vivo…. che fosse al suo posto. Lui sì che sarebbe riuscito a scacciare i Romani oltre l’Asia.”
“Tuo padre avrebbe saputo fare la cosa giusta in questi casi e tu devi avere la forza di fare altrettanto. Innanzitutto non dare ascolto a tuo zio Orode.”
“Madre…. che ne sarà di noi se lasceremo che i Romani ci tolgano, pezzo per pezzo, il nostro regno?”
“Ma cosa ti importa dell’Armenia? Non c’è niente lassù, solo montagne, pascoli, nulla tranne i pastori.”
“I Romani potrebbero invaderci con maggior facilità da quella posizione strategica.”
La madre sospirò: “I Romani si muovono con grandi eserciti ed equipaggiamenti pesanti; i terreni dell’Armenia non permetterebbero loro delle vere manovre, non senza essere individuati e respinti dalla veloce e letale cavalleria dei Parti. Questo Augusto lo sa.”
“E perché allora  Augusto vuole l’Armenia secondo te?” chiese ancora il ragazzo.
“Perché il re Tigrane non è ben voluto dal suo popolo: Augusto può assicurargli il regno, come ha fatto con quel Erode in Giudea, e così evitare l’ascesa di un altro sovrano al posto di Tigrane che potrebbe far ricominciare il brigantaggio a danno sia dei Romani che dei Parti. Ma per ora i Romani sono in grado di ottenere questo risultato, i Parti no. La verità è che Orode è al comando di un esercito letale ma impreparato per pacificare una regione come l’Armenia.”
La madre era sempre stata capace di ispirare il figlio, quando il defunto marito. Non per niente era chiamata Musa Italica, la fonte di ispirazione venuta da quella misteriosa e leggendaria terra in cui era stata capace di fiorire Roma.
“Mamma…. Io devo dimostrarmi forte e quindi partirò. Andrò con Orode e gli altri generali e farò guerra a Tigrane, se necessario sconfiggerò anche Roma per….”
“Questo è ridicolo: non ti servirà a niente far soffrire la tua gente se morirai. Non devi andare in guerra contro i Romani perché potresti essere sconfitto.”
“COME OSI….?”
“Guarda!” disse la donna porgendo a suo figlio un piccolo papiro.
“È arrivato poco fa, lo manda tuo fratello dal fronte oltre la Mesopotamia.”
Il ragazzo prese il papiro e lo srotolò. Lesse, constatando che era davvero un dispaccio dei suoi ufficiali più fidati.
“Chi è….. Gaio Cesare?” chiese.
“È il nipote di Augusto. Tra i Romani è ciò che sarà tuo figlio quando lo metterai al mondo. È stato mandato ad incontrare re Tigrane e a concludere il trattato di cui il Romano Licinio aveva parlato” disse la madre.
“Si stanno incontrando in Siria….”
“E Gaio Cesare si è portato un esercito di ventimila Romani, e può contare sul sostegno degli Armeni, dei Giudei e delle legioni romane in Egitto” disse la Musa Italica sapendo che suo figlio si era reso ormai conto della situazione.
“Cosa devo fare?” chiese lui.
La madre abbracciò il figlio e gli sussurrò all’orecchio: “Dichiarati favorevole al patto tra Tigrane e Gaio Cesare…. Quando verrà il tempo potrai coprirti di gloria con grandi vittorie su tutti i tuoi nemici. Per ora resta nel tuo regno e preparati.”
Poche ore dopo uno scriba si sedette in una sala poco distante dalla terrazza dove era appena avvenuto il piccolo banchetto. Era un vecchio maestro del ragazzo e questo non pensava affatto a fargli rispettare l’etichetta.
“Sei pronto?” chiese il giovane non appena sua madre fu entrata nella stanza.
“Come da te comandato ho scritto un testo in base alle tue parole, spero ti soddisferà” disse lo scriba.
“Leggi dunque” disse la Musa Italica.
Ad un cenno del figlio di quest’ultima, il ragazzo seduto sulla sua bella sedia di ebano, l’anziano scriba lesse: “Io, Fraate, Re dei Re, Grande Re dei Parti, dei Persiani, dei Medi, dei Caldei e degli Assiri, mando i miei saluti a Gaio Cesare, figlio di Giulia e di Marco Agrippa, figlio di Augusto e gli auguro pace….”
Con quel messaggio il ragazzo, il Gran Re Fraate (detto Fraatace, il piccolo Fraate) approvava il trattato con cui Tigrane diventava un re federato di Roma, proprio come Erode. Tutto questo lo vidi accadere qualche tempo prima del giorno che dovevo annunciare.
I Parti non erano forti in quel periodo, in realtà non lo sarebbero stati nemmeno quando Orode prese il posto di Fraate, per pochissimo tempo. Tuttavia i Parti, come gli Assiri, i Babilonesi e i Persiani che li avevano preceduti, sarebbero rimasti saldi a punire la superbia del grande Occidente quando fosse stato necessario.
Stavo ripensando a quel giorno, osservando gli eserciti dei Parti schierarsi a Oriente e tenendosi a debita distanza dagli accampamenti dei Romani quando.
“Scusami ma è una cosa urgente” disse Gabriele passandomi accanto.
“Un altro messaggio importante? Ormai visti la terra più di…..”
“Non fare nomi- disse l’arcangelo interrompendomi- Devo andare dai tre saggi d’Oriente, quei Magi. Hanno promesso al re Erode di andare da lui a dirgli come riconoscere il Re Bambino.”
“Sì ma lo Sterminatore ha mandato via quei due diavoli, l’ho visto io.”
“Sì…. ma questo non cambia che quei pensieri orribili Erode li avesse già nel suo cuore e li avrebbe maturati anche senza quei due diavoli. Devo avvertire i Magi di non tornare a Gerusalemme ma di fuggire dopo aver onorato il Re Bambino.”
“Ma Erode manderà comunque i suoi soldati a cercarlo dopo la sua nascita” dissi io in angoscia.
“Non temere, dopo la nascita avvertirò anche Giuseppe. Lui ha detto di averlo scelto anche perché ha dei parenti in Egitto che lo ospiteranno lì, con la moglie e il Bambino, fuori dalla portata di Erode.”
“Ma io ho sentito cosa Erode intende fare se i Magi non gli dicono quale dei bambini di Betlemme è quello che cerca” dissi io.
Gabriele mi guardò con rammarico e disse: “Le Scritture si devono compiere: Rachele dovrà piangere i suoi figli.”
Detto questo l’arcangelo messaggero volò verso la Terra dove i Magi stavano riposando.



domenica 20 dicembre 2015

Avvento XVI

Ora il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto l'oppressione con cui gli Egizi li tormentano.
                                                                                                                                                                                Esodo, III, 9

Quel periodo era davvero movimentato: Augusto era piuttosto agitato durante il tempo in cui splendevo: il suo amato nipote Gaio Cesare stava conducendo un’importante trattativa con il re di Armenia, Tigrane, perché diventasse alleato di Roma, dopo che il Gran Re Fraate aveva ceduto il diritto di essere protettore del regno di Armenia. La trattativa era a favore di Roma, ma Gaio Cesare era molto giovane e inesperto. Tutto ciò però non era importante; Augusto stava rivalutando l’esilio di Tiberio a Rodi, ma ci sarebbe voluto del tempo prima di richiamarlo.
Tiberio non poteva anticipare i tempi, ma la rassegnazione lo aveva reso paziente.
Dalla sua isola il futuro sole di Roma osservava il mare.
“Ave legato Tiberio” disse Tito.
“Ave Tito, benvenuto. Che notizie mi porti?” chiese il legato.
“A quanto pare tuo figlio Gaio Cesare ha incontrato il re Tigrane in Siria, le trattative proseguono bene e anche Fraate ha inviato un ambasciatore di pace dichiarandosi favorevole al dialogo” disse Tito.
“Fraate…. lo sai come lo chiamano i Parti?” chiese Tiberio.
“Gran Re, Re dei Re…”
“No, quello è solo il titolo! Lo chiamano Fraatace, significa “piccolo Fraate”, il piccolo succeduto a suo padre, il grande Fraate. Questo è il Grande Re dei Parti, della Persia e dell’Oriente: un ragazzino che cerca di imitare un padre potente. Altrimenti non sarebbe stato così facile per Roma strappargli questo accordo di prendere in custodia l’Armenia” disse Tiberio tornando a guardare il mare.
“Ma…. credevo che ci fossero state delle opposizioni e degli scontri con i Parti quando Tigrane ha iniziato trattative di accordi con il Principe Augusto” disse Tito.
“Solo al principio. Ma per intercessione di sua madre il Gran Re ha deciso di non rischiare una guerra aperta contro Roma…. Il mondo così continua, procede…. Roma sta costruendo un nuovo mondo e io sono ancora qui, bloccato…. Vivo ma come morto.”
“Legato….. posso chiederti di essere qui questa sera, dopo il tramonto del Sole?” chiese Tito.
“Per quale ragione?” chiese il legato.
“Vorrei farti vedere una cosa…. Un segno del mondo che cambia anche con te.”
Tiberio era piuttosto depresso, però non sgradiva i tentativi del suo servitore di sostenerlo e incoraggiarlo.
“Va bene Tito, vieni pure da me dopo il tramonto” rispose Tiberio.
Stavo ancora guardando Rodi quando sentii un battito vicino a me; era Gabriele.
“Come va?” chiese.
“Direi tutto come predisposto…. Anche se….”
“Scusami- disse Gabriele interrompendomi- ma loro due?”
“Giuseppe è tornato in fila, mentre Maria è seduta, credo che il suo tempo stia per venire” risposi.
“Bene; hai ragione, tutto come predisposto….”
“Chiedo scusa illustre arcangelo, ma perché mi hai chiesto un’inclinazione che sia visibile anche da Rodi?” chiesi.
“Non dovrei…. Ma è necessario che quel uomo in esilio laggiù ti veda. Avrà un ruolo importante e gli serve l’ispirazione che tu darai al mondo” disse Gabriele.
“Ho capito. Se posso osare….. mi preoccupano moltissimo quei due diavoli che….”
“Preferisco non parlarne…. Ma anche loro hanno svolto un ruolo. Ora però vedrai. Lui non li vuole più a Gerusalemme, non nel giorno in cui nascerà il Re Bambino” disse Gabriele indicandomi la cosa più spaventosa che avessi mai visto: io potevo riconoscere lo Sterminatore che scendeva sulla Terra, silenzioso e invisibile agli uomini si dirigeva a Gerusalemme.
Belfagor e lo spirito messaggero stavano ancora volteggiando sopra Erode e gli altri della sua corte. Ad un certo punto sentirono qualcosa, come un vento gelido. Non riuscivano a riconoscerlo ma sentivano che era qualcosa venuto per loro.
Ad un certo punto l’Angelo dell’Abisso si palesò ai due demoni: la sua sola vista avrebbe fatto fuggire Lucifero, i suoi servi ne furono così terrorizzati da fuggire senza guardarsi indietro. Lo Sterminatore li inseguì furibondo fino alla fessura nel terreno che usavano come passaggio nel mondo. Li afferrò prima che rientrassero, sembra che volesse dire qualcosa ai due demoni, devo dire che la scena mi diede un certo piacere.
“Voi due- disse lo Sterminatore- che siete contro la natura stessa, che siete contro il Creatore stesso…. Voi che vi siete dannati e che esistete per trascinare l’Umanità nel dolore eterno con voi…. Senza pietà, senza coscienza, senza nomi, senza forma….. Voi non avete nemmeno un senso e avete osato salire quassù a cercare di negare la nascita del Figlio di Dio? Avete preteso di prendere e di ispirare in un uomo decisioni che solo l’Altissimo può prendere e per questo sono sceso io.”
I due demoni erano paralizzati dalla potenza dello Sterminatore.
“Tuttavia- continuò l’Angelo dell’Abisso- io non vi colpirò oggi, perché la mia collera sbriciola i mondi e questo deve durare ancora per molto tempo. Ma vi proibisco di emergere dalla vostra fossa per i prossimi mille anni. Non osate uscire nel mondo o parlare ad altri uomini, altrimenti entrerò negli Inferi a darvi la caccia e dopo che vi avrò puniti, il vostro sovrano vi farà pagare il fatto di avermi spinto ad entrare a devastare il suo regno.”
Detto questo lo Sterminatore scaraventò Belfagor e il suo messaggero nell’Inferno e richiuse la fessura smuovendo la terra e la roccia. Tutto fu fatto in modo che gli Uomini non lo sentissero o lo vedessero. Erano altri i prodigi per l’Umanità.
Lo Sterminatore poi tornò in Cielo e volò vicino a me. Mi faceva davvero paura, però quel giorno lo vidi che non era crudele.

“Hai una bella luce” mi disse al suo passaggio l’Angelo dell’Abisso.

sabato 19 dicembre 2015

Avvento XV

Perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una sola carne.
                                                                                                                                                 Genesi, II, 24

Simeone e Giuseppe accorsero verso Sara.
“Cosa succede moglie?” chiese Simeone.
“Credo che sia arrivato il suo tempo” disse Maria.
“Simeone… sta arrivando…. sta arrivando….” diceva Sara urlando.
“Una levatrice…. MI SERVE UNA LEVATRICE SUBITO!” gridò Simeone in preda al panico.
Devo dire che provai una certa emozione; era la prima volta che assistevo a quel evento nel mondo degli Uomini. Certo avevo visto molte cose, ma la mia attenzione era sempre stata riservata ad altri giorni, altre questioni, altri eventi…. ma quello era davvero incredibile!
Purtroppo moltissimi rimasero indifferenti, altri non sapevano che fare, altri ancora venivano a vedere cosa stava succedendo e basta.
“Calma, calma- disse Giuseppe- ci serve un posto dove possa sistemarsi, un luogo riparato.”
“Voi- disse il panettiere accanto alle panche- venite nella mia bottega! È abbastanza largo lì dentro.”
Un aiuto improvviso ma davvero provvidenziale. Per fortuna non fu l’unico: l’ufficiale imperiale aveva abbandonato il suo posto e si era avvicinato alla fonte delle urla.
“Cosa succede qui? Cos’è questo trambusto?” chiese.
“Mia moglie! È mia moglie!” Simeone non riusciva a dire altro, mentre Maria e Giuseppe aiutavano Sara ad entrare nella porta che il fornaio aveva aperto.
“Mi serve una levatrice subito!” diceva Simeone completamente in preda al panico.
“Calma…. Non perdiamo il controllo. Guardie! Correte immediatamente dal rabbì e da chiunque altro: sta per nascere un bambino e serve aiuto” l’ufficiale aveva compreso la situazione e cercava di aiutare per quanto possibile.
“Simeone- disse Maria arrivata accanto a quest’ultimo- abbiamo sistemato Sara ma ha bisogno di te, ti sta chiamando.”
Era vero: per strada si sentivano le urla della donna che invocava il nome di suo marito.
“Vai da lei- disse l’ufficiale- i miei uomini troveranno chi può aiutarla.”
“Giuseppe può farlo” disse Maria.
In quel momento il falegname di Nazaret uscì dalla bottega del fornaio e incontrò lo sguardo del segretario del re.
“C… cosa?” chiese Simeone.
“Poiché anche io avrei potuto partorire in questo viaggio Giuseppe ha imparato come fare se fosse stato necessario” disse Maria guardando il suo sposo.
“Ma lo ha già fatto?” chiese Simeone.
“Come?” domandò Giuseppe.
“Lui può farlo” insistette Maria.
“Cosa?”
“Giuseppe- disse Maria rivolta al marito- tu puoi aiutare Sara, così come puoi aiutare me, non è vero?”
“Sì, io penso che….?”
“TU PENSI?” urlò Simeone.
In quel momento un nuovo grido venne da dentro la bottega e il fornaio uscì dicendo che a Sara si erano appena rotte le acque. Di levatrici per far nascere il bambino nemmeno l’ombra.
“Simeone- disse Giuseppe- mi ero preparato per mia moglie, posso aiutare la tua e se me lo permetti lo farò!”
Dopo qualche momento di esitazione Simeone corse dalla moglie con Giuseppe alle calcagna e Maria che entrava più lentamente.
Non troppo lontano, a Gerusalemme, Belfagor continuava a sorvegliare Erode, non aveva bisogno di bisbigliare pensieri malvagi al re, questi ne stava già facendo di suoi davvero oscuri. L’amore degli Uomini per il potere…. non lo capirò mai.
Improvvisamente Belfagor sentì un richiamo: era lo spirito messaggero che tornava da lui con un messaggio dall’imperatore del doloroso regno.
“Ti saluto forte Belfagor” disse rispettoso lo spirito.
“Quali nuove?” chiese il demone maggiore.
“Ho riportato le tue notizie e il tuo rapporto al nostro re e lui ti manda questa risposta: Segui Erode, continua ad influenzarlo, continua a impregnargli il dubbio. Non appena i Magi dell’Oriente torneranno fai in modo che Erode trovi il bambino e lo uccida e se quelli non riferiranno ad Erode come riconoscere il bimbo allora fai sì che quel uomo ordini che siano uccisi tutti i figli di Rachele. Grandi pene ti aspettano se permetterai che un bimbo nato tra i pastori di Betlemme cresca per togliermi il mio regno!”
Questo messaggio del suo re era stato più che sufficiente perché uno dei demoni più pericoloso dell’Inferno fosse pronto a bruciare un mondo intero.
A Betlemme le urla di Sara erano sempre più forti, ma Giuseppe non era solo: ogni sua azione era vigilata e ben guidata. Fortunatamente le donne di Nazaret, amiche e parenti del falegname, gli avevano insegnato bene come comportarsi nel caso non ci fosse stato nessun altro ad aiutare sua moglie durante quel viaggio.
Maria era accanto a Sara, mentre Simeone le teneva una mano. Era stato necessario legarla ad una trave del soffitto, ma era abbastanza comoda e il fornaio stava riscaldando dell’acqua in un catino sul suo forno.
A Gerusalemme Erode osservava il panorama dalle sue mura: la terra brulla tra le mura di Gerusalemme e il paese di Betlemme era molto calma in quel momento; nessuno stava viaggiando, e i Magi erano lontani ormai, erano partiti subito dopo aver ingaggiato una guida per la loro reale destinazione. In effetti avevano anche constatato che io stavo brillando proprio sopra Betlemme.
Erode sentì un suono alle sue spalle: erano dei passi cadenzati, molto pesanti, accompagnati dal tintinnio del metallo: una spada che sbatteva contro il metallo di una sottile armatura a scaglie di pesce. Il capitano della guardia reale era appena entrato nella sala rispondendo alla convocazione del re.
“È tutto pronto?” chiese Erode.
“Sì mio re. Le guardie sono schierate, ho un contingente a cavallo nelle campagne intorno alla città che aspetta il tuo ordine e ho mandato una staffetta ad allertare la guarnigione di Betlemme” disse il capitano.
“Mi raccomando: appena i Magi saranno tornati dovrete partire subito. Seguirete le istruzioni che vi darò alla lettera. Quel bambino non dovrà vedere il suo primo giorno e così il nostro regno non dovrà vedere la fine dei suoi” disse Erode pensando solo che non voleva rischiare che qualcuno usasse quella profezia e quei segni miracolosi per soppiantarlo un giorno, nascondendosi dietro un bambino.
“Mio re…. e se i Magi non tornassero?” chiese il capitano.
“Torneranno…. Altrimenti che siano maledetti….” Erode aveva già pensato a cosa doveva fare.
A Betlemme si udì un pianto molto ben accolto, mentre Sara veniva slegata e aiutata da Maria a sedersi, Giuseppe porse a Simeone il bambino appena nato, pulito e avvolto in un telo.
“Vostro figlio, un maschio sano e forte” disse il falegname.
Simeone non riusciva a dire nulla se non tanti ringraziamenti mentre si avvicinava a sua moglie, anche lei salva e sana. Sara prese suo figlio e lo strinse forte.
“Zaccaria- disse Simeone- il suo nome è Zaccaria come mio padre.”
“Grazie…. Grazie infinite a tutti e due” disse Sara mentre Maria e Giuseppe ammiravano quel bambino appena nato a Betlemme.


venerdì 18 dicembre 2015

Avvento XIV

Misericordia io voglio e non sacrificio.
                                                                Matteo, IX, 13

Giuseppe era ancora in fila mentre Maria andò a sedersi con altre donne nella sua stessa condizione su un piccolo cornicione di pietre vicino alla linea di persone in fila davanti al banco del ufficiale imperiale.
Da quel che vedevo molte persone erano davvero esasperate, ma i soldati scoraggiavano qualsiasi lamentela, inoltre quel povero ufficiale addetto al censimento era abbastanza stanco da voler fare tutto il più in fretta possibile.
“Quindi tu chi sei? Da dove vieni? Qual è il tuo mestiere? Da quante persone è composta la tua famiglia?” stessa domanda ripetuta a decine e decine di uomini da giorni. Eppure quel ufficiale poteva dirsi fortunato rispetto ai suoi colleghi che dovevano svolgere quel lavoro in città ben più grandi e con molti più figli e discendenti.
“Mi chiamo Saul, sono un fabbro, sono nato a Betlemme ma vivo ad Ebron. Ho una moglie e tre figli” disse un uomo in coda mentre un altro signore, ben vestito se paragonato agli altri, iniziava a conversare con Giuseppe.
“Certo che qui non se ne può più- disse lui- con questo caldo, ci hanno preso proprio per capre da contare.”
“Tieni- disse Giuseppe porgendogli la sua borraccia- l’ho riempita poco fa, ne ho molta.”
L’uomo prese la borraccia e bevve un lungo sorso.
“Grazie molte, ne avevo davvero bisogno.”
“Non è stato niente.”
“Il mio nome è Simeone” disse quel uomo porgendo la mano a Giuseppe.
Il falegname di Nazaret la strinse e si presentò.
“Da dove vieni?” chiese Simeone.
“Da Nazaret, in Galilea.”
“Sei davvero lontanissimo da casa tua.”
“Io sono nato qui a Betlemme, una volta la mia casa era qui. Tu invece, dove abiti Simeone?”
“Anche io sono nato qui a Betlemme e ci ho passato i primi cinque anni della mia vita. Tu sembri più giovane di me, forse è per questo che non mi sembra di averti conosciuto. Comunque ora abito a Gerusalemme dove ho l’onore di servire il re Erode il Grande come suo segretario” rispose Simeone gonfiandosi di orgoglio.
“Anche tu devi registrarti?” chiese Giuseppe un po’ sorpreso.
“I Romani lo ordinano e il nostro re lo impone: ogni singolo figlio di Israele deve partecipare a questo censimento. Il re mi ha imposto di correre qui in fretta dopo che ieri stesso gli ho organizzato un incontro con i sommi sacerdoti e gli scribi della città. Niente di cui ti possa parlare. Pensa che ho dovuto portarmi fin qui anche mia moglie, credo che dovrà partorire qui in questi stessi giorni e io ora devo esporla come una mucca perché Cesare vuole sapere quanti siamo ad abitare questa terra” Simeone aveva bisogno di questo sfogo.
“Ti capisco davvero Simeone. Anche io ho dovuto portare fin qui mia moglie Maria. Eccola! È quella donna seduta vicino al banco del fornaio” disse Giuseppe indicando Maria che parlava con un’altra donna incinta.
“Ma guarda- disse Simeone- sembra abbia fatto amicizia con mia moglie. La donna con cui sta parlando è la mia Sara e….”
Simeone non finì la frase perché Maria stava chiedendo aiuto mentre Sara iniziava a respirare con moltissimo affanno.


giovedì 17 dicembre 2015

Avvento XIII

"Quando per il censimento farai la rassegna degli Israeliti, ciascuno di essi pagherà al Signore il riscatto della sua vita all'atto del censimento, perché non li colpisca un flagello in occasione del loro censimento.
                                                                                                                                                            Esodo, XXX, 12.

Vidi che la carovana della gente di Tiro era arrivata a Betlemme finalmente. Quella era una città molto piccola, un luogo umile, con abitanti semplici, ignoranti e lavoratori. I pascoli nei dintorni permettevano a quelle persone di allevare animali da pascolo, soprattutto pecore e capre.
Quelle case in pietra erano semplici, ma davvero utili: le famiglie vivevano in piccole stanze, mentre le aree più ampie delle case erano destinate ad ospitare gli animali della famiglia, stalle e case erano dunque un tutt’uno e gli abitanti di Betlemme amavano quelle creature, erano lieti di prendersene cura e proteggerle e quelle bestie lavoravano bene e sostenevano ogni famiglia assicurando a tutti una vita bella, tranquilla e dignitosa.
La carovana proveniente da Tiro si era fermata in una delle fontane della città per far abbeverare gli animali, ma era ancora presto e avevano intenzione di proseguire.
“Carissimi- disse il gentilissimo Lazzaro ai suoi due nuovi amici- qui le nostre strade si dividono.”
“Il Signore ti benedica Lazzaro, senza il tuo aiuto Maria non sarebbe mai riuscita ad arrivare fino a Betlemme” disse Giuseppe con sincera gratitudine.
“Non è stato nulla. Mi sono limitato a rispettare la Legge di Mosè” rispose Lazzaro riprendendo l’asino per le briglie.
“Hai fatto di più…. Hai avuto compassione e te ne siamo davvero grati- disse Maria con profonda dolcezza- te ne saremo grati per sempre.”
“Però non sei ancora al sicuro- disse Lazzaro guardando la pancia di Maria- dovete trovare un riparo subito, di sicuro sarete in tre a tornare a Nazaret.”
“Prima faremo il censimento e prima potremo tornare a casa” commentò Giuseppe sempre molto pratico.
La gente di Tiro stava ricominciando ad incamminarsi.
“Io adesso devo ripartire- disse Lazzaro salendo in groppa al suo asino- addio amici miei. Possa nascervi un figlio sano, bello e forte e possa l’Altissimo guidarlo verso una vita retta e prospera.”
“E possa Egli guidarti nel tuo cammino e ricondurti sano e salvo a casa tua” disse Giuseppe.
Mentre la gente di Tiro ripartiva in direzione di Ebron, Giuseppe e Maria si rimisero in cammino entrando nel villaggio vero e proprio. Non ci volle molto prima di trovare una lunga fila di persone, famiglie intere, una dietro l’altra, davanti ad un tavolo posto sotto una tenda al centro della piazza del paese, davanti alla sinagoga. Era presente un uomo, un pubblicano, ovvero un Giudeo che svolgeva il ruolo di ufficiale imperiale e registrava uno per uno tutti gli abitanti e le loro famiglie, nomi e mestieri. Tutte quelle informazioni venivano riportate in documenti che, al termine del censimento, sarebbero stati mandati nella città di Cesarea, dove i Romani avevano il loro quartier generale in quella parte dell’Impero. I documenti sarebbero poi stati copiati. Alcune di quelle copie sarebbero state conservate a Cesarea e altre spedite a Roma, dove Augusto sapeva cosa farne.
Giuseppe e Maria si misero in fila ad attendere il loro turno, sarebbe stata una cosa molto lunga.



mercoledì 16 dicembre 2015

Avvento XII

Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme.
                                                                                                                                                                Matteo, II, 7


Melchiorre era abbastanza indifferente alla sontuosità del palazzo di Erode; nel suo paese esistevano città di cui parlare con entusiasmo, tuttavia capiva di essere al cospetto di un re potente e intelligente, per di più alleato di Roma e per questo da rispettare.
Erode aveva invitato i tre Magi ad assaporare i cibi della sua tavola e li stava accogliendo come il loro alto rango prevedeva. Un’astuzia ispirata da un Belfagor invisibile e attento.
“Dunque voi siete i sapienti del Gran Re Fraate?” chiese Erode.
“Noi siamo al servizio del Gran Re è vero, ma nostro sovrano è il Dio del Cielo” rispose Melchiorre.
“Noi Magi eseguiamo il nostro ruolo di insegnare e custodire il sapere tramandatoci dal nostro maestro Zoroastro” continuò Baldassarre.
“Ogni azione della nostra vita è dedita al servizio del piano dell’Altissimo” concluse Gaspare.
“Buon re Erode, tu ci onori con la tua ospitalità. Ma ormai sono diversi giorni che siamo a Gerusalemme…. Perché ci convochi al tuo cospetto proprio ora?” chiese Melchiorre.
“Altre questioni mi hanno impedito di rivolgervi la mia attenzione, di questo mi scuso con voi” disse il re ricevendo un segno di assenso.
Dopo un sospiro Erode riprese: “So che stavate chiedendo se a Gerusalemme è nato un nuovo Re….”
“Sì- disse Baldassarre- una nuova stella, che abbiamo visto apparire nel cielo due anni fa, ci ha guidati fin qui. Essa è il segno che il Messia sta per venire al mondo.”
“Per quel che ne sappiamo potrebbe essere nato anche il giorno in cui è apparsa. Siamo venuti qui per scoprirlo” disse Melchiorre.
“Ma come sapete che quella stella annuncia proprio la nascita di un Re?” chiese ancora Erode con un tono basso.
“Chi segue i movimenti degli astri è in grado di prevedere anche i piani del futuro se il Cielo lo consente. Sappiamo per certo che quella stella rappresenta l’arrivo di un Re che dobbiamo onorare, qui in Giudea” disse ancora Baldassarre.
“E voi sareste in grado di riconoscerlo, una volta incontrato?” chiese Erode.
I Magi si guardarono l’un l’altro, probabilmente consci di qualcosa.
“Sì- disse Melchiorre- ma prima dobbiamo capire perché non riusciamo a trovarlo in città.”
Erode fece porgere al Mago quel libro che Daniele gli aveva letto quello stesso giorno.
“Questo è il libro del profeta Michea… scritto quattrocento anni fa. Leggete.”
Dopo aver letto quelle parole Melchiorre assunse un’espressione di gioia.
“La città di Davide…. Betlemme, il suo luogo di nascita…. Sì. Certo il Messia nascerà laggiù, non a Gerusalemme” disse Melchiorre con entusiasmo.
“Quindi io vi chiedo questo favore- disse Erode- andate a Betlemme, onorate il Re Bambino e poi tornate qui a riferirmi dove lo posso trovare. Così anch’io potrò andare a rendergli l’onore che merita.”
Loro non potevano vedere Belfagor che già sorrideva nella sua ombra.
“Torneremo di certo gentile re Erode” disse Gaspare.
Mentre i Magi si preparavano a ripartire Erode osservava la città dalle sue mura compiaciuto della sua astuzia, mentre il demone messaggero correva su ordine di Belfagor nella fessura, e giù verso il suo padrone a dirgli che la trappola era scattata.



martedì 15 dicembre 2015

Avvento XI

il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme.
                                                                         Matteo, II, 3

Simeone dovette rinviare la partenza quando il re Erode lo chiamò per una questione che definiva urgente. “Mio re- disse Simeone- come posso servirti?”
“Dimmi Simeone….. ricordi quel pettegolezzo di cui mi parlavi?” chiese Erode seduto su una panca nel cortile interno della sua reggia.
“Mi ricordo, mio buon sovrano, riguardo alla gente da Oriente che chiedeva se era nato un nuovo Re in Giudea” disse il funzionario.
“Parlano di una stella, l’ho vista, e ogni giorno è sempre più vicina alla Giudea. E ora anche i miei servi parlano delle profezie dei tempi antichi che annuncerebbero la nascita del Messia. Così ora non sono solo gli stranieri a chiedere dov’è il re dei Giudei che è nato?” il re era davvero nervoso e Simeone ne ebbe paura.
“Mio re…. non credo che dovresti essere troppo turbato da queste storie. Sono solo….”
“TUTTA GERUSALEMME INIZIA A PARLARE DI UN NUOVO RE DI GIUDA DA ADORARE! TUTTA LA CITTA’ E’ IN SUBBUGLIO E IO DEVO CAPIRE PERCHE’!”
Il re aveva gridato con una ferocia e una rabbia incontenibile.
“Mio re io sono certo che non è necessario preoccuparsi…. Ti prego di dirmi cosa posso fare per aiutarti e….”
“Basta Simeone! Vuoi sapere cosa voglio? Voglio che chiami immediatamente i sommi sacerdoti e gli scribi, fai venire qui gli astronomi. Mi devono raccontare tutto riguardo a queste profezie e a questo nuovo Re.”
Simeone non aveva altra scelta se non eseguire subito l’ordine del suo sovrano e quel pomeriggio furono radunati al palazzo di Gerusalemme tutti i saggi e i sapienti della città.
“Ditemi- disse Simeone su istruzione del suo re- perché tradite il re?”
“Cosa?- chiese il sacerdote Levi- Simeone, come osi accusarci di tradimento? Quand’è che avremmo tradito Erode?”
“Quando è apparsa la stella nuova nel cielo. Quella che si dice annunci la nascita di un nuovo Re di Giuda” disse Simeone con decisione mentre le guardie iniziavano a circondare i saggi di Gerusalemme.
“Re Erode- disse il sommo sacerdote rivolgendosi al sovrano seduto sul suo alto trono dietro a Simeone- noi non siamo traditori. Sai bene che la nostra lealtà va a Gerusalemme e tu sei il re del nostro paese. Non ti abbiamo nascosto nulla e non sappiamo chi siano gli stranieri che portano questo scompiglio in città.”
“Ma sapevate oppure no delle profezie riguardanti un nuovo Re dei Giudei?” chiese minaccioso Erode.
I sacerdoti e gli scribi si guardarono l’un l’altro e uno di loro, Daniele, che già avevo visto e di cui parlai quando iniziò il censimento, rispose: “Sì Erode: sapevamo cosa voleva dire quella stella. Chiunque conosca le Sacre Scritture lo sapeva.”
Erode guardò con rabbia il sacerdote Daniele, una rabbia che l’invisibile Belfagor continuava ad alimentare con i suoi sussurri. Eppure non era sufficiente ad intimorire Daniele. Un uomo fiero delle sue origini, ligio alla legge e molto critico nei riguardi di un re imposto dagli stranieri. Ecco chi era Daniele.
“Israele attende da tanto tempo un Re della stirpe di Davide, un Messia. I segni indicano che il nuovo Re sta per nascere e accadrà presto. Potrebbe essere avvenuto anche ora, mentre parliamo; il Messia potrebbe essere venuto al mondo anche adesso. Anche per te, re Erode, è il momento di accettare che Egli viene” disse Daniele con tutto il suo orgoglio.
Erode lo avrebbe di certo fatto impiccare per avergli mancato di rispetto in quella maniera, se solo fosse stato un qualunque altro uomo. Tuttavia Daniele era un sacerdote di grande importanza e prestigio, era meglio avere rispetto per lui.
“Istruiscimi saggio Daniele: dimmi dove sta scritto di questo… Re… questo Messia” disse il re cercando di essere il più tranquillo possibile. Sapeva essere un buon diplomatico il vecchio Erode.
Simeone si diresse verso un tavolo vicino alla parete alla destra del trono, dove erano stati collocati dei rotoli su cui erano riportate le Sacre Scritture e i libri dei profeti. Il sacerdote iniziò ad aprirne alcuni, a consultare i titoli di ogni libro finché non ebbe trovato quello che gli interessava.
Simeone aprì il rotolo e cercò il capitolo.
“Ecco- disse il sacerdote- re Erode, ascolta ciò che è scritto: E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere tra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore di Israele.”
“Questa sarebbe la profezia a cui quegli uomini dell’Oriente si riferivano?” chiese Erode.
“Questo è ciò che fu scritto. Esistono molte altre parti dei libri dei profeti che si riferiscono al Messia, questo testo dice chiaramente dove nascerà il bambino destinato ad avere un regno senza confini” rispose Daniele rimanendo in piedi con il libro in mano; era davvero immerso nel suo elemento.
“Chi ha scritto queste parole?” chiese Erode.
“Questo è il libro del profeta Michea, re Erode” rispose un altro dei sacerdoti.
“E questo…. quando?” chiese ancora Erode.
“Il profeta in questione è vissuto e ha scritto il suo libro quattrocento anni fa, mio re” rispose Daniele.
“Ma questo è assurdo! Quattrocento anni e se ne parla ancora?” disse Erode esasperato.
“Sono le Sacre Scritture…. il nostro popolo le studia, le legge e le recita perché sono motivo di speranza…. la speranza del Messia, del liberatore che riscatterà il popolo di Israele…. la gente di questo paese ci crede con estrema decisione e volontà. L’alternativa sarebbe la disperazione, la sottomissione e la scomparsa del nostro stesso popolo” disse Daniele con la stessa fermezza.
“Ma io conosco Betlemme- disse Erode- perché Dio vorrebbe far nascere il Messia laggiù? In quella specie di…. grossa fattoria puzzolente?”
“Betlemme è la città di Davide- disse Daniele- la città in cui nacque il grande re di Israele. Per questa ragione il Messia nato dalla sua stirpe uscirà dallo stesso luogo e con la stessa origine.”
“MA I RE NON NASCONO A CASO TRA I PASTORI! UN RE….. nasce solo da un re….. e io sono il solo re qui!”
Erode diceva queste parole senza sapere che qualcun altro, oltre a lui e con più ragione di lui, stava pensando la stessa cosa dopo che il messaggero di Belfagor gli aveva fatto rapporto.
“Sarà meglio parlare con quegli stranieri…. Devo prendere dei provvedimenti immediati altrimenti….”
Erode era terrorizzato dalla prospettiva di perdere il suo trono e l’ira dell’Imperatore, mentre Belfagor temeva quella di colui che allora era il vero re del mondo.



lunedì 14 dicembre 2015

Avvento X

Chi sono io, Signore Dio, e che cos'è mai la mia casa, perché tu mi abbia fatto arrivare fino a questo punto?
                                                                                                                                                            II Samuele, VII, 18

Scauro si trovava a pattugliare le strade con la stessa tranquillità di sempre, vide con piacere che in quei giorni gli attacchi di briganti si erano fatti sempre più sporadici e che le legioni stanziate da Tiro all’Egitto avevano fatto un buon lavoro nel tenere sotto controllo i movimenti delle persone in quelle regioni.
Il centurione si soffermò a pensare a suo figlio Cornelio, un bambino che però si stava dimostrando forte e determinato a seguire le orme del padre. Per Scauro sarebbe stato un vero toccasana rivederlo.
Durante una delle sue ronde Scauro si ritrovò a viaggiare vicino ad una carovana diretta verso sud. Presto sarebbero passati accanto a Gerusalemme, stando a quanto quelle avevano riferito ad uno dei suoi uomini.
“Seguiamoli fino al prossimo alloggio, poi proseguiremo fino alla nostra caserma” disse il centurione sapendo di dover incontrare il resto del suo schieramento molto presto. I trattati con i Parti erano rimasti molto tesi e Gaio Cesare, nipote dell’Imperatore, si era recato in Siria per incontrare Tigrane, il re di Armenia il quale desiderava conservare il suo trono diventando vassallo e federato di Augusto, proprio come Erode. Il Gran Re dei Parti Fraate non sembrava disposto ad accettare tutto questo e gli ambasciatori di Augusto gli avevano raccomandato di mettere in allerta le truppe e gli alleati nei confini orientali. Scauro doveva ricompattare la sua centuria e sarebbe stato lieto di farlo: la vita da vigilante non gli piaceva per niente.
Mentre seguiva la carovana notò una donna molto giovane su un asino condotto da un uomo che, presumibilmente, doveva essere il marito.
“Teoclito- disse Scauro ad uno dei suoi uomini- vieni con me.”
Teoclito era un giovane legionario di origini greche, il padre era un mercante che aveva lavorato a Tiro, dove aveva imparato l’aramaico e altre lingue parlate in quella parte del mondo. Quel giovane era un ottimo interprete.
“Salve” disse Scauro e Teoclito a quelle due persone.
“La pace sia con voi” disse l’uomo che conduceva l’asino.
“Dimmi- disse Teoclito- quella donna è forse tua moglie?”
“Perché vorresti saperlo?”
“Lo chiede il centurione e io lo domando a te perché devo eseguire i suoi ordini.”
“Sì, lei è mia moglie Maria e io sono Giuseppe di Nazaret.”
Scauro commentò che erano lontanissimi da casa loro e chiese perché viaggiavano malgrado Maria fosse incinta.
“Se non ci fossimo messi in viaggio avremmo disubbidito ad un ordine di Cesare” fu la risposta di Giuseppe che bastò al centurione.
“Il grande Augusto ha i suoi motivi per dare questi ordini, grazie ai quali sarà possibile amministrare degnamente questa terra anche per il bene di chi la abita” disse Scauro.
Dopo che Teoclito lo ebbe tradotto Giuseppe gli rispose: “Si dice che la mia famiglia discenda da Davide, il più grande dei re di Israele, ai suoi tempi questo era un regno grandioso, una nazione potente. Suo figlio Salomone costruì un era gloriosa per Israele…. Com’era grande il nostro regno quando Davide e Salomone furono Re. Dopo di loro Israele fu separato da Giuda e il nostro popolo ebbe due regni distinti, finché Gerusalemme non cadde per mano dei Caldei di Babilonia, poi vennero i Persiani e dopo di loro i Greci a dominare questa terra. Ora ci siete voi Romani…. Mi sai dire chi è che regna davvero questo paese? Mi diresti chi ha la capacità di governarlo rettamente?”
Teoclito fu restio a tradurre queste parole, ma il centurione non fu colpito dal carattere di Giuseppe, quanto dalla sua affermazione di essere della stirpe di Davide.
Davide…. Davide….. Davide.
Perché quel nome risuonava così forte nella mente del centuirone?
“Centurione- disse Teoclito- quella è la locanda in cui queste persone passeranno la notte, il nostro accampamento è poco oltre, forse dovremmo sbrigarci.”
“Sì…. sì, hai ragione- disse il centurione- dì a queste persone…. dì loro che gli auguro un buon viaggio e possa il loro Dio guidarli su tutta la loro via.”
Il centurione incrociò un’ultima volta lo sguardo di Maria per poi rivedere il suo ventre gonfio di una nuova vita in arrivo.
Scauro si coricò nella sua tenda, diverse ore dopo, prima di ricordarsi di quel nobile Melchiorre che gli aveva parlato di qualcosa…. una profezia…. Davide! Ecco di cosa si ricordava: un Re dalla stirpe di Davide.
“Ma….. possibile?”