Samuele II, V, 2
Il mondo continuava a
girare e mentre il buon Simeone andava ad indagare su qualcosa che il suo re
doveva conoscere, molto lontano da Gerusalemme qualcuno discuteva su come
procedere con il mondo. L’isola di Rodi, secondo i Greci è stata l’ultimo lembo
di terra ad emergere dal mare. Forse è vero, non lo so. Comunque laggiù, su
quell’isola rocciosa, viveva un uomo molto forte ma anche molto triste: si
chiamava Tiberio ed era un legato, vale a dire un ufficiale di alto rango di
Augusto presso quell’isola. La sua disgrazia era di essere il figlio adottivo
del uomo più potente del mondo di allora: Augusto.
Tiberio aveva scelto di
andare a Rodi perché amava molto quella terra, lo faceva stare in pace ed era
proprio la pace che cercava dopo essere stato costretto a scegliere l’esilio a
causa delle discordie con la sua famiglia e il grande marito di sua madre.
Fino ad un anno prima
Tiberio era stato dotato della podestà tribunizia, ovvero del diritto di
commentare e amministrare le leggi di Roma e la sua persona era sacra e
inviolabile. Solo Augusto godeva di questa stessa prerogativa, ma ormai era
abbandonato a se stesso.
“Legato, stai bene?” gli
chiese Tito, il suo più fidato consigliere ed amico che da anni lo seguiva e lo
sosteneva.
“Sì…. ascolto il mare”
disse il legato seduto sulla terrazza della sua villa che dava proprio sul
porto.
“Siamo tutti molto lieti
del tuo ritorno signore” disse Tito cercando di consolare il suo signore.
“Lo so e sono lieto anch’io.
Come sempre ho visto che hai amministrato davvero bene i miei affari mentre ero
lontano. Sono soddisfatto di te Tito.”
“Io faccio solo il mio
dovere e mi aspetto di farlo nella maniera più giusta” disse il giovane
centurione.
Tiberio si considerava
fortunato ad avere un collaboratore così fedele e ancora non sapeva quanto lo
avrebbe ripagato.
“Non ha nemmeno voluto
stringermi la mano… il giovane Gaio” disse Tiberio guardando malinconico il
mare.
“Se posso permettermi-
disse Tito- io non lo capisco: sei stato un padre per lui e un buon padre
credo. Com’è possibile che il figlio di tua moglie ti abbia trattato in maniera
tanto distaccata, dopo il lungo viaggio che hai compiuto per vederlo?”
“È tanto tempo che non
vedo Gaio e capisco che Augusto lo abbia affidato ad altri precettori. La
sfortuna è che il più abile di loro si chiama Marco Lollio.”
“Marco Lollio? Il
flagello della V?” chiese Tito.
“Sì, quel incapace che
in Gallia condusse un’intera legione al massacro” disse Tito senza nascondere
un sincero disprezzo.
“Ma…. perdonami signore,
come può essere diventato precettore di Gaio Cesare, figlio di Giulia figlia di
Augusto?”
“Non solo questo: è
diventato console il maledetto. La sua ricca famiglia gli ha garantito una
certa sicurezza che ha saputo usare per aprirsi molte porte anche dopo la sua disfatta.
Mi ha messo contro Gaio facendogli credere che ero andato fino a Samo solo per
ingraziarmelo e cercare di rubargli la gloria che gli spetterà nella sua
missione in Armenia” Tiberio si alzò furioso camminando nel cortile per sfogare
la rabbia e la frustrazione.
“Legato- disse
timidamente Tito- io sono certo che molto presto tornerai a casa.”
Tiberio non lo voleva
ammettere, ma era evidente che Roma gli mancava tanto.
“Sai cosa raccontano i
Greci su Rodi?- disse Tito- Quando il mondo fu formato e quest’isola stava
ancora emergendo dal mare, Giove chiamò a raccolta tutti gli dei e a ciascuno
di essi affidò una terra che fosse suo dominio e centro del culto. Il Sole non
era presente perché stava compiendo il suo dovere di portare la luce nel mondo…”
“Il dovere prima di ogni
cosa, questo è più che giusto” disse Tiberio.
“Per tanto Giove
dimenticò di dare una terra al Sole e quando se ne ricordò vide con dispiacere
che non c’erano più territori disponibili, ma il Sole fu comprensivo e non si
offese. Chiese al re degli dei di dargli il dominio su quest’isola che stava
emergendo in quel momento e disse che comunque lui vedeva tutto il mondo e che
perciò gli bastava solo un punto da cui partire.”
“Cosa vorresti dirmi
Tito?” chiese Tiberio.
“Legato…. recentemente è
stata vista una nuova stella nel cielo, segno che una nuova era sta per
cominciare e la volontà divina non può
escludere da essa un uomo giusto come te. Legato, abbi pazienza, e io credo che
presto, come il Sole, anche tu risorgerai.”
“Tito…. non mi dare
troppe speranze” disse Tiberio tornando a guardare quel mare che lo separava da
casa.
Lui però aveva già
deciso che Tito sarebbe tornato a proseguire il lavoro necessario.
Gaio Cesare stava
proseguendo oltre Samo per portare a termine l’opera che suo nonno, il grande
Augusto, aveva cominciato in Armenia, mentre nella terra di Giuda tutti si
muovevano per completare il censimento.
Era appena scesa la sera
quando Simeone si presentò al cospetto del suo re.
“Spero sia una questione
importante quella che ti spinge a disturbarmi a quest’ora Simeone” disse Erode
seduto al suo tavolo mentre addentava un cosciotto d’agnello che al suo
segretario sarebbe bastato per vivere una settimana.
“Chiedo perdono mio re,
ma ho ritenuto opportuno avvertirti di una strana questione. Oggi in città sono
arrivati tre ricchi signori dal Oriente a capo di una grossa carovana” disse
Simeone.
“Come se fosse una
novità. Sai quante carovane e nobili passano per Gerusalemme da Oriente ad
Occidente? È la nostra fortuna questo traffico?”
“Sì mio re. Ma il fatto
è che questi uomini mandano i loro servi in giro per la città a fare strane domande.”
“Che genere di domande?”
chiese Erode ancora disinteressato.
“Chiedono se qui, negli
ultimi due anni, è nato un nuovo re.”
Dopo alcuni secondi
Erode guardò il suo segretario con un’espressione contrariata: “Non azzardarti
mai più ad interrompere un mio pasto a causa di sciocchezze del genere. Vattene
e torna quando il tuo dovere lo imporrà!”
“Chiedo perdono mio re.
Pace a te.”
Simeone si congedò,
pensando che comunque aveva fatto il suo dovere.
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