venerdì 4 dicembre 2015

Racconto del Avvento II

 Durante il mio quinto consolato accrebbi il numero dei patrizi per ordine del popolo e del senato. Tre volte procedetti a un'epurazione del senato. E durante il sesto consolato feci il censimento della popolazione, avendo come collega Marco Agrippa. Celebrai la cerimonia lustrale dopo quarantadue anni. In questo censimento furono registrati quattromilionisessantatremila cittadini romani. Poi feci un secondo censimento con potere consolare, senza collega, sotto il consolato di Gaio Censorio e Gaio Asinio, e in questo censimento furono registrati quattromilioni e duecentotrentamila cittadini romani. E feci un terzo censimento con potere consolare, avendo come collega mio figlio Tiberio Cesare, sotto il consolato di Sesto Pompeio e Sesto Apuleio; in questo censimento furono registrati quattromilioni e novecentotrentasettemila cittadini romani. Con nuove leggi, proposte su mia iniziativa, rimisi in vigore molti modelli di comportamento degli avi, che ormai nel nostro tempo erano caduti in disuso, e io stesso consegnai ai posteri esempi di molti costumi da imitare.
                                                                                   Augusto, Res Gestae.

Ricordo che il mondo continuava a muoversi lentamente ma con regolarità, quando fui sopra a Canaan mi ricordai di Davide e della grande estensione del suo regno, ma dopo tutto quel tempo si faceva fatica a capire chi governasse davvero quella terra; Erode era il re di Gerusalemme senza dubbio, ma Roma dettava legge sul paese. I Romani credevano di discendere dai lupi e perciò di essere invincibili in guerra, e non sarò di certo io a dargli torto: dal cielo si vedeva benissimo quanti popoli, nazioni e paesi erano già parte di quel grande Principato, ma i Romani erano anche saggi perché ovunque andavano portavano progresso, lavoro, costruivano città e facevano leggi. Non che questo giustifichi il sangue versato, ma ciò che i Romani costruivano era molto meglio di ciò che sarebbe stato senza di loro, proprio come fu per i Persiani. Non sapevano però quanto prezioso sarebbe stato il loro…. come si chiama? Impero… Sì anche quel termine nacque in quegli anni…. I Romani e i popoli ad essi sottomessi non sapevano quanto sarebbe stato fondamentale per il futuro di tutta l’Umanità.
Nei tempi in cui il mio viaggio sopra il mondo stava cominciando, un uomo nato Ottavio e poi passato per tanti nomi fu chiamato Augusto. Era Romano e questo nome voleva dire “Protetto dagli dei”. Fu davvero benedetto perché divenne il Primo dei suoi Pari, ovvero il primo dei Romani in tutto, compresa l’amministrazione della loro Repubblica, in seguito lo avrebbero chiamato Imperatore.
Non capirò mai il gusto di certi popoli per i nomi complessi e il loro cambiamento, a me causa sempre gran confusione.
Comunque Augusto, dopo aver raccolto l’eredità del suo predecessore, Cesare, era diventato il primo dei Cesari, gli Imperatori, e si era impegnato a costruire un nuovo mondo. Augusto era molto diverso da Davide sotto certi aspetti e allo stesso tempo simile a lui in altri: ricordo che era forte ma non un abile combattente, un suo amico era generale e sconfiggeva i suoi nemici in sua presenza, però Augusto era molto astuto e si preoccupava molto di restaurare la vera identità della sua gente e per farlo si circondava di sapienti, artisti, pensatori e sognatori che lo aiutassero nel suo sogno di dare vita ad una nuova età del oro. Uno di questi, tra i più saggi secondo me, si chiamava Virgilio e contribuì molto a realizzare il tesoro di Roma. Purtroppo non fu tra coloro che videro la nascita del Re che annunciavo, morì diversi anni prima.
Augusto sapeva che tra il suo popolo, specialmente tra i suoi capi riuniti nel Senato, non tutti gli erano favorevoli e così decise di contare quelle genti, per capire cosa facessero, quanti figli avessero e capire come riformare la Repubblica per rendere il suo potere più stabile, lo fece molte volte in effetti. Venne il giorno in cui l’Imperatore decise che doveva sapere quante persone vivevano in tutto il nuovo Impero.
Alcuni tra i saggi del popolo di Giuda e Israele non videro di buon occhio quest’ordine, riuniti nelle loro assemblee discutevano: sulle tasse da pagare a Roma, sul fatto che Erode non era davvero del loro popolo e che non meritasse affatto di governarli e ora su questo censimento.
Mi ricordo che alcuni di loro discutevano animatamente su questo punto, alcuni uomini molto saggi e potenti nel popolo.
“È inaccettabile- diceva un certo rabbì di nome Levi- io dico di opporci a quest’ordine. Solo Dio può sapere quanti sono gli abitanti del mondo.”
“Devono averci presi per capre! L’editto dice: Ogni uomo si dovrà presentare nella città in cui è nato per fornire alle autorità il suo nome, il suo mestiere e il numero di membri della sua famiglia. Moltissimi tra noi saranno costretti a lasciare il mestiere e le proprie case per fare viaggi anche molto lunghi….”
“Zabulon ha ragione: sarà un danno altissimo per il paese e per quegli abitanti, con queste tasse che ci sono state imposte poi…”
Non ricordo chi disse queste cose, ma le ripetevano in tutta la Giudea e anche in Galilea e in Samaria. Non avevano tutti i torti in realtà: moltissime persone avrebbero avuto grosse difficoltà per adempiere alla volontà dell’Imperatore, ma non si poteva fare diversamente. Il censimento doveva essere compiuto e alle condizioni dettate da Augusto. Così vennero ispirati uomini come Daniele, un altro saggio rabbì che si alzò in mezzo a quella particolare conversazione e prese la parola: “Fratelli miei, avete ragione: Cesare è superbo e sappiamo che questo è caratteristico dei Romani, ma vi prego di riflettere prima di proporre un’opposizione a quest’ordine. È vero che solo Dio può sapere quanti sono i Suoi figli e conoscerli tutti ma se ci opponessimo alla volontà di Roma essa potrebbe anche farci di peggio che imporci un re indegno. Voi dite che dobbiamo pensare al bene del nostro popolo? È giustissimo, quindi io dico di eseguire l’ordine di Roma per non subire sofferenze ben peggiori dei disagi che il censimento ci porterà.”
Si rialzò Levi e disse a Daniele: “Quindi lasciamo che Roma si arroghi il diritto di conoscere anche il numero del popolo di Dio?”
“Fratelli, non avrebbe senso opporsi solo per soffrire, sta scritto Egli dei re si fa beffe, e dei capi si ride. Cesare non potrà mai conoscere davvero il numero del nostro popolo: la moglie di mio figlio è incinta e partorirà quando il censimento sarà finito. Ella dimostra che i numeri che Cesare otterrà diventeranno presto vani e vecchi e così il Signore resterà superiore a Cesare senza che il nostro popolo abbia dato a quest’ultimo motivo di sguainare la spada.”
A questa risposta di Daniele anche Levi si convinse che una rivolta non sarebbe stata opportuna e così io vidi i Giudei, i Galilei e i Samaritani che si preparavano e partivano con bagagli e famiglie verso tutte le città del loro paese. Fu un gran movimento di gente e stava accadendo ovunque. Roma stava contando gli abitanti del mondo e tutti andavano a presentarsi come se dovessero fare la conoscenza dell’Imperatore in persona.
Ricordo molto bene un gruppo di questi viaggiatori, sulla strada per la città di Sebaste uno di loro notò due persone, un uomo e una giovane donna, che si muovevano a piedi sulla strada e corse verso di loro in groppa al suo asino, era davvero inorridito.
“Tu donna- disse a lei dopo essere sceso dalla sua cavalcatura- sali e viaggia sul animale.”
“Ti ringrazio ma non è necessario” disse lei con una certa aria di timidezza.
“Davvero non preoccuparti” disse lui, il marito, con un tono più sicuro ma anche lui imbarazzato.
“Ma tu sei incinta e anche avanti nel tempo. Non puoi viaggiare a piedi in queste condizioni” insistette il viaggiatore mentre il resto della sua carovana si avvicinava.
“Ti ringraziamo davvero- insistette il marito della donna- ma non possiamo prendere il tuo asino, è troppo prezioso. Tu come farai a viaggiare? E il tuo bagaglio?”
“Ma voi dove dovete andare?” chiese ancora quel uomo.
“Stiamo andando a Betlemme- rispose il marito- ovviamente non saremmo mai partiti in queste condizioni, ma non avevamo scelta: io sono nato lì e devo andare a registrarmi per il censimento.”
“A Betlemme hai detto? Benissimo! Noi stiamo andando ad Ebron e passeremo di lì per arrivare a destinazione. Tu figliola viaggerai sul mio asino fino a Betlemme, una volta che sarete arrivati alla vostra destinazione me lo riprenderò.”
A quel punto sarebbe stato sciocco rifiutare quella generosità. Dopo aver ringraziato quel viaggiatore i due si unirono alla carovana diretti verso sud.
“Io comunque mi chiamo Lazzaro e vengo da Tiro. Voi chi siete invece?”
“Io mi chiamo Giuseppe e lei è mia moglie Maria, veniamo da Nazaret” fu la risposta.


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