domenica 6 dicembre 2015

Racconto del Avvento III

Quale gioia quando mi dissero: "Andremo alla casa del Signore."
                                                                       Salmo 122


Il mio sguardo passava in lungo e in largo su quel mondo in formazione, ad un certo punto mi prese molto l’angoscia. Un gruppo di briganti aveva assaltato una carovana con cui stava viaggiando un uomo molto ricco e potente per la sua gente, una carovana che proveniva dal Oriente. Il nobile signore era stato sbattuto a terra da un uomo con in mano un pugnale che stava per colpirlo quando un suo compagno iniziò a corre gridando che stavano arrivando. Il rombo nel terreno che ne seguì annunciò l’arrivo di un grosso contingente romano a cavallo che batteva le vie carovaniere appositamente per fare ciò che per i Romani era normale: tenere lontani dalla gente i ladri e gli assassini.
I briganti scapparono terrorizzati alla vista di quei cavalieri, una volta fuggiti nella boscaglia sarebbero riusciti a nascondersi tra le montagne, ma almeno la carovana era in salvo. La cosa mi tranquillizzò perché quel ricco signore fu aiutato dai suoi servi a rialzarsi e verificarono che non fosse ferito. Rimontò sul suo cammello e fu presto raggiunto dal capo del contingente romano.
“Quanti di voi sono rimasti feriti?” chiese quel Romano.
“Direi nessuno grazie a Dio. Ci avevano appena attaccati” rispose quel ricco signore.
“Fortuna per voi che fossimo nei paraggi. Tuttavia se quei predoni ci avessero visti prima non avrebbero mai osato uscire dal loro nascondiglio.”
“Vi siamo davvero molto grati Romano. Il mio nome è Melchiorre e vengo da Oriente, questa è la mia gente, i miei servi e alcuni miei parenti” disse il saggio d’Oriente.
“Il mio nome è Lucio Cornelio Scauro e questi sono i miei uomini. Dove state andando? A Gerusalemme?”
“Ovviamente, chiunque venga da Oriente deve andare a Gerusalemme se si dirige verso il mare, ma io non credo di dover andare oltre” rispose Melchiorre.
“Quali affari ti portano a Gerusalemme? Mercanzie?” chiese Scauro.
“Anche, sì, ma prima devo incontrare due miei carissimi amici: ci siamo dati appuntamento a Gerico e da lì andremo insieme a Gerusalemme” disse Melchiorre dando al centurione l’impressione di nascondere qualcosa.
“Anche noi dobbiamo andare a Gerico, vi scorteremo fin laggiù” rispose l’ufficiale romano dando chiaramente ad intendere di non essere disposto ad accettare rifiuti.
Ripresero il cammino con Scauro e Melchiorre che cavalcavano uno affianco al altro conversando su molte cose.
Ben lontano, a Gerusalemme, il re Erode stava tenendo un banchetto in onore di un uomo molto importante: era un senatore inviato da Augusto in persona per procedere con i trattati in corso con il Gran Re dei Parti Fraate. Il senatore si chiamava Licinio ed era un uomo esperto del mondo, un politico di cui Augusto si fidava. Era un uomo calvo, avanti negli anni ma non tanto da considerarsi vecchio, teneva sempre una specie di sciarpa per nascondere una cicatrice sul collo, sembra che non gli piacesse farla vedere, non so perché.
Erode era un uomo molto alto e forte, teneva una barba corta ma folta che incorniciava un mento squadrato, i suoi occhi erano di un azzurro intenso e portava delle larghe maniche che rendevano difficile vedere la peluria che gli cresceva folta sulle braccia.
“Come procede l’opera di Cesare a Roma?” chiese il re di Gerusalemme sempre molto cortese verso i rappresentanti di colui che gli aveva dato il trono.
“Il Principe è costantemente impegnato nella ricostruzione della Repubblica dopo la fine delle guerre civili- rispose Licinio- in effetti, Erode, Augusto ha poco tempo da dedicare a questioni che non riguardino Roma, la mia stessa missione è il culmine di un piano che egli ha portato avanti per diversi anni; ma ora finalmente il re dei Parti firmerà il trattato con cui accetterà di lasciare l’Armenia sotto la protezione di Roma. Quindi posso dirti che, sì, l’opera di Roma e del suo Principe procede molto bene.”
“Il Gran Re Fraate…. conobbi suo padre una volta, moltissimo tempo fa in effetti. Tuttavia ricordo che era un uomo forte e ambizioso e pensare che ad Augusto bastò donargli una donna per renderselo amico” disse Erode senza esporre il suo pensiero completo.
“E lo stesso Gran Re attuale fa parte del piano con cui il Principe si è preso metà della Partia senza dover nemmeno sfoderare una spada: quella schiava, la Musa Italica, non solo riuscì a diventare regina ma fece passare suo figlio davanti agli altri eredi del marito e ora, possiamo dircelo, è lei la vera sovrana dei Parti e suo figlio è il burattino che ha venduto ad Augusto l’Armenia e presto gli darà anche la Mesopotamia. Tutto ciò per far fare ottimi affari anche a te, buon Erode, con il commercio che deriverà da quelle nuove province” disse Licinio con il capo abbassato.
“Ti vedo perplesso senatore. Qualcosa ti turba?” chiese il re.
“Io ho combattuto ad Azio, ho seguito Augusto figlio di Cesare nella sua guerra contro il traditore Marco Antonio e la regina d’Egitto Cleopatra…. ero un soldato e mi sono crogiolato negli onori che ho conquistato sconfiggendo i nemici di Roma combattendoli faccia a faccia…. non mi sento a mio agio ad avvelenare un nemico così… preferirei affrontare i Parti a viso aperto a dire il vero.”
“Questo è un discorso nobile senatore, ma il mondo e l’onore non sono sempre compatibili” disse il re bevendo un sorso del suo ottimo vino.
“Secondo le nostre leggende ci fu un tempo in cui Saturno, dio del tempo e re del cielo, governava la Terra e abitava con gli uomini- disse Licinio senza guardare Erode- in quell’epoca egli insegnò all’Umanità come lavorare la terra e quella fu l’Età del Oro, a quel tempo nessuno al mondo soffriva la fame.”
“Mi ricorda qualcosa- disse Erode- che accadde in seguito?”
“Secondo la leggenda Giove e i suoi fratelli, gli altri dei olimpi, ritrovarono il loro padre Saturno e lo cacciarono, dando inizio al tempo in cui gli uomini avrebbero desiderato la prosperità perduta e sudato per riacquisirla… eppure molti sostengono che quell’era tornerà.”
“Un’era in cui i re non servono? Un’era in cui Roma non serve? Non so quanti al mondo lo vorrebbero davvero” commentò Erode.
“Ci sarà sempre bisogno di Roma! – disse Licinio con il suo sguardo che intimorì persino il grande Erode- ma ciò non vuol dire che il mondo non possa trovare una nuova prosperità. Hai mai sentito parlare di Virgilio, re Erode?”
“Temo di no” rispose il re prima di addentare un delizioso dattero.
“Publio Virgilio Marone, era un uomo illuminato. Si trattava di un poeta che aiutò molto il grande Augusto nella sua opera di restaurare la cultura e i costumi originali del popolo romano che la corruzione e la secolarizzazione della Repubblica avevano ingiustamente soppresso. Virgilio fu uno dei salvatori del mondo e Augusto aveva una stima sconfinata per lui, anche se non sempre erano in accordo. Il poeta scrisse moltissime grandi opere, come l’Eneide, il grande canto che narra di come Enea, principe dei Dardani e della famiglia di Priamo re di Troia, fuggì dalla patria perduta per poi raggiungere l’Italia dando origine alla stirpe di Romolo, da cui discende lo stesso Augusto…”
“Senza dubbio un’opera di altissimo valore” commentò Erode.
“Il buon Virgilio morì prima di completarla, in punto di morte chiese ai suoi allievi di distruggerla… grazie agli dei gli hanno disobbedito. Ma tra le varie opere che egli scrisse una è una raccolta di Bucoliche e una di esse contiene le mie parole preferite: L’ultima età della profezia cumana è ormai giunta, la serie dei grandi secoli nasce da capo, ormai torna persino la Vergine, tornano i regni di Saturno, ormai una nuova progenie è inviata dall’alto cielo.”
Il senatore aveva recitato questi versi, senza il bisogno di leggerli, ma con una solennità invidiabile.
“Quando è morto questo grande poeta?” chiese il re Erode.

“Circa diciannove anni fa” rispose il senatore Licinio.

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