Oh! Assiria, verga del mio furore, bastone del mio sdegno. Contro una nazione empia io la mando e la comando contro un popolo con cui sono in collera perché lo saccheggi, lo depredi e lo calpesti come fango di strada.
Isaia, X, 5-6
“Portatemi altro
vino!” disse il giovane. I due servi strisciarono all’indietro fino alla porta
della terrazza per poi alzarsi e correre via da una porta laterale.
Il ragazzo guardò il
sole con non curanza, era davvero annoiato malgrado i doveri a cui era
sottoposto.
“Come stai?” chiese
una voce femminile accanto a lui. Il ragazzo si voltò e vide una donna alta, con
abiti di pura seta del lontano Oriente e il diadema del suo rango che
rifletteva il sole.
“Mamma…. Sto pensando”
rispose lui.
“A cosa?” chiese lei.
“Alla mia decisione”
rispose.
“Piccolo….. lo sai
come la penso.”
“E tu credi che mi
farò strappare le mie terre dai Romani? Il fatto che tu sia nata nella loro
terra non mi rende sottoposto al loro re” disse il giovane alzandosi in piedi
mentre i servi rientravano con in mano la brocca di vino. Il ragazzo porse loro
la sua coppa mentre il servitore la riempiva e faceva un inchino.
“Gradisci del vino
mamma?” chiese il giovane.
“No, ti ringrazio. Sai
che non mi posso” disse lei.
“Mamma…. Non è
necessario ormai…”
“Un giuramento è un
giuramento! Quando rimasi incinta giurai a tutti gli dei del cielo, del mare,
della terra e degli inferi che, se mio figlio fosse diventato il Grande Re, non
avrei mai più toccato una sola goccia di vino. Se gli dei ti ascoltano fai
sempre bene a non dimenticarli.”
“Mamma….gli dei ei
Romani non esistono, esiste il dio della luce e il dio della tenebra, esiste il
Creatore, esiste Dio. Io ho sempre rispettato le tue credenze, ma stai attenta
quando ne parli con me” disse il giovane sorseggiando la sua bevanda.
“Figliolo…. Non credo
che dovresti bere così” disse la madre facendo attenzione.
“Andatevene!” disse ai
servi.
“Non è stato un grande
giuramento- disse il figlio- ho provato tutti i vini del mondo. Ne ho il
disgusto!”
Detto questo il
giovane si sedette su uno dei divani.
“E allora perché ne
bevi tanto?” chiese la madre.
“Perché tutti i grandi
uomini bevono il vino. Anche zio Orode dice che un Grande Re deve essere capace
di distinguere un buon vino da uno di minor qualità….”
“Tuo zio Orode non sa
niente del mondo. Lui crede di essere un grande uomo solo perché è bravo ad
uccidere.”
“Mio padre beveva
moltissimo vino…. e lo reggeva benissimo” disse il giovane guardando il cielo.
“Tuo padre era un vero
Gran Re….. ma non certo perché beveva. In realtà nemmeno lui amava molto questo
tipo di bevande.”
“Ti manca?”
La madre rimase
qualche momento in silenzio prima di guardare suo figlio e dire: “Sì…. mi manca
molto.”
“Vorrei che fosse
vivo…. che fosse al suo posto. Lui sì che sarebbe riuscito a scacciare i Romani
oltre l’Asia.”
“Tuo padre avrebbe
saputo fare la cosa giusta in questi casi e tu devi avere la forza di fare
altrettanto. Innanzitutto non dare ascolto a tuo zio Orode.”
“Madre…. che ne sarà
di noi se lasceremo che i Romani ci tolgano, pezzo per pezzo, il nostro regno?”
“Ma cosa ti importa
dell’Armenia? Non c’è niente lassù, solo montagne, pascoli, nulla tranne i
pastori.”
“I Romani potrebbero
invaderci con maggior facilità da quella posizione strategica.”
La madre sospirò: “I
Romani si muovono con grandi eserciti ed equipaggiamenti pesanti; i terreni
dell’Armenia non permetterebbero loro delle vere manovre, non senza essere
individuati e respinti dalla veloce e letale cavalleria dei Parti. Questo
Augusto lo sa.”
“E perché allora Augusto vuole l’Armenia secondo te?” chiese
ancora il ragazzo.
“Perché il re Tigrane
non è ben voluto dal suo popolo: Augusto può assicurargli il regno, come ha
fatto con quel Erode in Giudea, e così evitare l’ascesa di un altro sovrano al
posto di Tigrane che potrebbe far ricominciare il brigantaggio a danno sia dei
Romani che dei Parti. Ma per ora i Romani sono in grado di ottenere questo
risultato, i Parti no. La verità è che Orode è al comando di un esercito letale
ma impreparato per pacificare una regione come l’Armenia.”
La madre era sempre
stata capace di ispirare il figlio, quando il defunto marito. Non per niente
era chiamata Musa Italica, la fonte di ispirazione venuta da quella misteriosa
e leggendaria terra in cui era stata capace di fiorire Roma.
“Mamma…. Io devo
dimostrarmi forte e quindi partirò. Andrò con Orode e gli altri generali e farò
guerra a Tigrane, se necessario sconfiggerò anche Roma per….”
“Questo è ridicolo:
non ti servirà a niente far soffrire la tua gente se morirai. Non devi andare
in guerra contro i Romani perché potresti essere sconfitto.”
“COME OSI….?”
“Guarda!” disse la
donna porgendo a suo figlio un piccolo papiro.
“È arrivato poco fa,
lo manda tuo fratello dal fronte oltre la Mesopotamia.”
Il ragazzo prese il
papiro e lo srotolò. Lesse, constatando che era davvero un dispaccio dei suoi
ufficiali più fidati.
“Chi è….. Gaio Cesare?”
chiese.
“È il nipote di
Augusto. Tra i Romani è ciò che sarà tuo figlio quando lo metterai al mondo. È stato
mandato ad incontrare re Tigrane e a concludere il trattato di cui il Romano
Licinio aveva parlato” disse la madre.
“Si stanno incontrando
in Siria….”
“E Gaio Cesare si è
portato un esercito di ventimila Romani, e può contare sul sostegno degli
Armeni, dei Giudei e delle legioni romane in Egitto” disse la Musa Italica
sapendo che suo figlio si era reso ormai conto della situazione.
“Cosa devo fare?”
chiese lui.
La madre abbracciò il
figlio e gli sussurrò all’orecchio: “Dichiarati favorevole al patto tra Tigrane
e Gaio Cesare…. Quando verrà il tempo potrai coprirti di gloria con grandi
vittorie su tutti i tuoi nemici. Per ora resta nel tuo regno e preparati.”
Poche ore dopo uno
scriba si sedette in una sala poco distante dalla terrazza dove era appena
avvenuto il piccolo banchetto. Era un vecchio maestro del ragazzo e questo non
pensava affatto a fargli rispettare l’etichetta.
“Sei pronto?” chiese
il giovane non appena sua madre fu entrata nella stanza.
“Come da te comandato ho
scritto un testo in base alle tue parole, spero ti soddisferà” disse lo scriba.
“Leggi dunque” disse
la Musa Italica.
Ad un cenno del figlio
di quest’ultima, il ragazzo seduto sulla sua bella sedia di ebano, l’anziano
scriba lesse: “Io, Fraate, Re dei Re, Grande Re dei Parti, dei Persiani, dei
Medi, dei Caldei e degli Assiri, mando i miei saluti a Gaio Cesare, figlio di
Giulia e di Marco Agrippa, figlio di Augusto e gli auguro pace….”
Con quel messaggio il
ragazzo, il Gran Re Fraate (detto Fraatace, il piccolo Fraate) approvava il
trattato con cui Tigrane diventava un re federato di Roma, proprio come Erode.
Tutto questo lo vidi accadere qualche tempo prima del giorno che dovevo
annunciare.
I Parti non erano
forti in quel periodo, in realtà non lo sarebbero stati nemmeno quando Orode
prese il posto di Fraate, per pochissimo tempo. Tuttavia i Parti, come gli
Assiri, i Babilonesi e i Persiani che li avevano preceduti, sarebbero rimasti
saldi a punire la superbia del grande Occidente quando fosse stato necessario.
Stavo ripensando a
quel giorno, osservando gli eserciti dei Parti schierarsi a Oriente e tenendosi
a debita distanza dagli accampamenti dei Romani quando.
“Scusami ma è una cosa
urgente” disse Gabriele passandomi accanto.
“Un altro messaggio
importante? Ormai visti la terra più di…..”
“Non fare nomi- disse
l’arcangelo interrompendomi- Devo andare dai tre saggi d’Oriente, quei Magi.
Hanno promesso al re Erode di andare da lui a dirgli come riconoscere il Re
Bambino.”
“Sì ma lo Sterminatore
ha mandato via quei due diavoli, l’ho visto io.”
“Sì…. ma questo non
cambia che quei pensieri orribili Erode li avesse già nel suo cuore e li
avrebbe maturati anche senza quei due diavoli. Devo avvertire i Magi di non
tornare a Gerusalemme ma di fuggire dopo aver onorato il Re Bambino.”
“Ma Erode manderà
comunque i suoi soldati a cercarlo dopo la sua nascita” dissi io in angoscia.
“Non temere, dopo la
nascita avvertirò anche Giuseppe. Lui ha detto di averlo scelto anche perché ha
dei parenti in Egitto che lo ospiteranno lì, con la moglie e il Bambino, fuori
dalla portata di Erode.”
“Ma io ho sentito cosa
Erode intende fare se i Magi non gli dicono quale dei bambini di Betlemme è
quello che cerca” dissi io.
Gabriele mi guardò con
rammarico e disse: “Le Scritture si devono compiere: Rachele dovrà piangere i
suoi figli.”
Detto questo l’arcangelo
messaggero volò verso la Terra dove i Magi stavano riposando.