Tutto è compiuto
Giovanni,
XIX, 30
“Salute a te re dei Giudei!” disse il legionario che si prostrava
davanti a Gesù dopo averlo bastonato. Poco prima quel legionario, con altri
due, lo aveva bendato e colpito, per poi chiedergli chi era stato.
“Che re… un grandissimo re, senza dubbio! Avanti re dei Giudei,
comandaci… mandaci contro i tuoi nemici a distruggere le loro città! Conducici
alla conquista del mondo!”
Dicevano così mentre lo picchiavano, poi un altro di essi rientrò nel
cortile con qualcosa in mano: “Commilitoni…. ECCO LA CORONA DEL RE!”
Aveva intrecciato dei rovi e ne aveva fatto una corona che pose sulla
testa del Nazzareno il quale non poté fare a meno di rantolare. Non diceva una
parola, non diceva niente.
“Basta ora! Mettetegli i suoi abiti e legatelo al palo!” disse il
centurione, Longino, a cui era stato ordinato di sovrintendere l’applicazione
delle sentenze.
I legionari legarono una pesante trave ai polsi di Gesù e gliela caricarono
sulle spalle per poi metterlo per strada.
Fecero uscire altri due uomini
accanto a lui, ladri e assassini condannati, come Barabba, alla crocifissione.
Legarono la trave anche su di loro, ma non erano stati torturati né picchiati o
frustati e la loro testa non era lacerata da spine e bastonate, perciò fu più
facile per loro sostenere il peso della croce.
Uscirono per la strada, c’era tutta Gerusalemme radunata a guardare il
Nazzareno condotto al colle del Teschio.
Caifa e alcuni sacerdoti si presentarono all’ingresso del tribunale
per verificare che Pilato avesse compiuto tutta la burocrazia necessaria.
“Ancora voi…? COSA VOLETE ANCORA?” gridò il procuratore.
“Solo ringraziarti, illustre Pilato, per aver fatto giustizia” disse
Caifa con un leggero inchino.
“Siete stati voi… voi avete fatto tutto questo!”
In quel momento uno dei servi di Pilato passò vicino a Caifa che lo
fermò per vedere cosa teneva in mano.
“Lascialo andare- disse Pilato- deve portare al centurione Longino i
cartelli da apporre sulle croci!”
Caifa guardò uno dei cartelli; scritto in latino, greco ed ebraico;
Gesù Nazzareno, re dei
Giudei
“Procuratore… questo non è opportuno. Dovrebbe essere scritto: che
diceva di essere il re dei Giudei!” disse Caifa.
“Quello che ho scritto ho scritto…. e ora fuori!”
Il servo corse verso Longino per arrivare in tempo dal centurione.
Caifa si stava dirigendo al Tempio con i suoi collaboratori quando fu
raggiunto da un uomo che gli si parò davanti. Il Sommo Sacerdote fu lieto di
fermare le sue guardie e salutò cortesemente quel tipo dall’aria sconvolta e
disperata che teneva in mano un sacchetto di pelle di capra.
“Non avevate detto che lo avreste…”
“Cosa ti aspettavi?- chiese Caifa- non potevamo di certo rinchiuderlo
per sempre. Doveva tacere e grazie a te lo abbiamo preso senza problemi e
disordini lontano dalle folle che lo sostenevano. Il tuo aiuto è stato prezioso
Iscariota e sei stato lautamente pagato per questo.”
“Non avevate detto che sarebbe stato ucciso…. non avevate detto che
sareste arrivati a tanto… perché la Legge… la Legge non lo permetteva… serpi…
assassini…”
“Attento a ciò che dici Iscariota!”
“Cosa potresti farmi Sommo Sacerdote? Per causa tua e di chi ti sta
dietro ho tradito il mio Maestro! L’ho mandato a morire… per questo… per questi
trenta denari…”
“Se ora hai dei rimorsi… questo non ci riguarda! Tieni il tuo denaro e
vai per la tua strada!” disse Caifa muovendo un passo avanti.
Giuda Iscariota gettò il sacchetto con il denaro ai piedi di Caifa e
corse via piangendo e gridando: “RIPRENDITI TUTTO SATANA… E VOI DEL TEMPIO
TENETEVI TUTTO! IL DENARO E IL MESSIA! VI SIETE PRESI TUTTO!”
Uno dei servi del Sommo Sacerdote raccolse il sacchetto e lo aprì; i
denari, le monete d’argento, c’erano tutti.
“Non riportarlo al Tempio- disse Caifa- questo denaro è sporco di
sangue e non possiamo riprenderlo nel Tempio. Prendilo tu e usalo per comprare,
a nome del Sinedrio, il Campo del Vasaio, così avremo finalmente un posto dove
seppellire gli stranieri.”
Detto questo Caifa andò verso il Tempio e Giuda Iscariota fuori dalle
mura, dove si impiccò.
“È inutile, non può farcela- disse Longino guardandosi intorno, vide
un uomo alto e apparentemente robusto tra la folla e ordinò ai legionari di
portarglielo, mentre altri due tagliavano le corde e toglievano la trave al
Nazzareno che era già caduto diverse volte- porta la sua trave… lui non può più
riuscirci.”
Quel uomo, un certo Simone, all’inizio si lamentò un po’ ma prese la
trave e la portò per il Nazzareno, mentre una donna gli asciugava il viso ed
egli le sussurrava qualcosa.
Continuarono la camminata fino al colle del Cranio, che i Giudei
chiamavano Golgota. Era una zona piena di sepolcri e lì vicino Giuseppe
d’Arimatea ne aveva già acquistato uno.
“Mio re- sussurrò Belfagor a Lucifero che si muoveva in forma di uomo
con abito rosso e folti capelli neri- sta per morire quindi?”
“E la sua predicazione finirà… come il suo messaggio. Il mio regno è
salvo ormai.”
“Perché lo segui ancora?”
“Perché il mio trionfo sarà completo solo dopo che l’avrò visto
morire” disse il Diavolo camuffato mentre saliva il colle.
Non si può negare che fu un sollievo togliere quel peso dalle spalle…
ma il pensiero a ciò che questo comportava era a dir poco raggelante.
Uno dei legionari si avvicinò al Nazzareno e gli porse una spugna.
Dopo averla assaggiata si ritrasse rifiutando la bevanda.
“Credimi- disse il soldato- è molto più facile farlo da ubriaco.”
Non rispose niente e non bevve.
I soldati gli tolsero gli abiti e la bella tunica, cucita in modo da
essere un solo pezzo e lo fecero stendere a terra, con le mani stese sulla
grossa trave.
I ladroni stavano urlando a squarciagola, seguendo il terribile suono
dei martelli che battevano sul freddo ferro.
Lui guardò il cielo, si stava oscurando.
Colpo.
Urlò, per quello che era possibile. Un fuoco terribile si sparse dal
polso, sulla mano e in tutto il braccio sinistro.
Colpo.
Gridò più forte. Il fuoco si spargeva, potente e veloce come una
folgore.
“P… p… Padre… perdonali…. perché non sanno… quello che fanno!” disse
mentre veniva issato sul palo piantato in mezzo al Cranio. I due ladroni erano
già stati appesi e inchiodati ai suoi lati.
Colpo.
Non lo aveva visto. Come delle fauci di una terribile bestia che gli
azzannava le gambe e non poteva più muoverle, ma questo attenuò il dolore sulle
braccia e gli rese più facile respirare.
Giovanni, Maria e altre donne che avevano seguito il Maestro dalla
Galilea piangevano a vederlo, mentre i soldati piazzavano il cartello sulla
croce e si toglievano lasciando ammirare a tutta Gerusalemme, dalle mura alla
piana fuori di esse, il più terribile spettacolo che si potesse vedere al
mondo.
“Lui lo aveva detto- disse Giovanni- ha detto che sarebbe andato dove
non potevamo seguirlo. Ci aveva detto tutto e non lo abbiamo capito… come aveva
predetto.”
Un uomo vestito di rosso lì vicino ebbe un fremito a sentire queste
parole… “Lui lo aveva detto?” pensò.
“Voglio andare da lui- disse Maria- voglio andare da lui….”
Avanzarono e incontrarono il dottore della Legge Giuseppe d’Arimatea
che aveva cercato di difendere il Nazzareno.
Quando furono vicini alle croci fu lui a convincere il centurione
Longino a lasciar passare Maria, in quanto madre di Gesù.
“Guardate- gridò il dottore della Legge Amos- ha salvato altri… ora
salvi sé stesso!”
“Sì, venga Elia a salvarlo!” disse qualcun altro. Coloro che lo
avevano ucciso ora lo deridevano.
Giuseppe d’Arimatea osservò i soldati che si dividevano i vestiti dei
condannati. Uno dei legionari sollevò quella che riconobbe essere la tunica di
Gesù.
“Questa è davvero bella- disse il legionario- ma è cucita di un solo
pezzo, sarebbe uno spreco spezzarla.”
“Bisognerà farla lavare però… sì è un buon abito” disse un altro
legionario.
“Giochiamocela commilitoni! Tiriamo i dadi e chi fa il colpo più alto
la vince!”
I soldati furono d’accordo con quella proposta e iniziarono a tirare i
dadi sulla tunica stesa a terra.
“Ecco- pensò Giuseppe- le Scritture si compiono, come sta scritto: Si son divise le mie vesti e sulla mia
tunica hanno tirato a sorte.”
Intanto il Maestro, morente, fissò sua madre e Giovanni, poi disse:
“Donna… ecco tuo figlio…”
Poi guardò Giovanni e gli disse: “Uomo… ecco tua madre.”
Da quel giorno Giovanni si prese cura di sua Maria e la protesse come
sua madre.
La folla stava cominciando a disperdersi… sapevano che ci sarebbe
voluto moltissimo prima che i condannati morissero per quell’agonia.
Uno dei due ladri, messo accanto a Gesù, iniziò ad insultarlo.
“Non… non… non sei tu il Messia? E allora scendi dalla croce… salva te
stesso e noi!” gli disse.
“Stai zitto… STAI ZITTO!- gridò l’altro ladro crocifisso dall’altra
parte- Non hai timore di Dio nemmeno adesso? Eppure sei condannato allo stesso
supplizio… però noi stiamo subendo questa condanna perché l’abbiamo meritata
con le nostre azioni...”
Il ladro guardò Gesù che incontrò il suo sguardo.
“Ma… ma lui non ha fatto niente di male… LUI NON HA FATTO NIENTE PER
MERITARE DI MORIRE COSI’” gridò quel condannato facendosi sentire da tutti i
presenti, da tutta la folla.
“G.. Gesù… ti prego… ricordati di me… quando entrerai nel tuo Regno…”
“In verità… in verità ti dico… oggi tu sarai con me… in Paradiso”
disse Gesù a quel uomo pentito del suo male.
“Non sei un po’ in ritardo?” chiese Lucifero allo Sterminatore, venuto
accanto a lui, era invisibile agli uomini, ma non per i suoi fratelli.
“Io sono sempre rimasto al mio posto” disse lo Sterminatore.
“Belle queste nubi scure… sei sempre stato bravo con i temporali.”
“Non è opera sua” disse Michele, venuto accanto allo Sterminatore a
guardare la croce.
“Non è di nessuno di noi” disse Raffaele. Erano venuti... erano
moltissimi.
“Elì… Elì, lamà sabactani…”
“Cosa sta dicendo adesso?” chiese uno dei legionari.
“Chiama Elia!” disse uno dei Giudei poco lontani.
“No! È una preghiera… un salmo- disse Giuseppe d’Arimatea- un salmo
che inizia con queste parole, quelle che ha pronunciato e vogliono dire: Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato?”
Non respirava quasi più, era molto indebolito.
“Ho… ho sete…” disse.
Uno dei legionari prese una lunga canna e immerse una spugna nel aceto
per avvicinargliela alla bocca. Succhiò la bevanda e poi alzò gli occhi al
cielo.
“Padre… nelle tue mani… io metto… tutto il mio spirito.”
“Non è possibile… non può essere questo il suo trionfo… io l’ho fatto
uccidere! L’ho fermato!”
“Non la sua parola… non coloro che lo hanno ascoltato…. Non potevi
fermare la verità. Fratello mio… ma perché vuoi sempre la sconfitta?” disse lo
Sterminatore.
La terra iniziò a tremare e un forte vento iniziò a soffiare, folgori
dal cielo. Gesù lanciò un grido come mai si era udito.
Il velo del Tempio si squarciò.
Ciò che c’era prima era passato e finito.
Gesù abbassò il capo, stremato.
“Tutto è compiuto!”
E spirò.