venerdì 25 marzo 2016

Racconto di Pasqua XXI


Tutto è compiuto
                               Giovanni, XIX, 30

“Salute a te re dei Giudei!” disse il legionario che si prostrava davanti a Gesù dopo averlo bastonato. Poco prima quel legionario, con altri due, lo aveva bendato e colpito, per poi chiedergli chi era stato.
“Che re… un grandissimo re, senza dubbio! Avanti re dei Giudei, comandaci… mandaci contro i tuoi nemici a distruggere le loro città! Conducici alla conquista del mondo!”
Dicevano così mentre lo picchiavano, poi un altro di essi rientrò nel cortile con qualcosa in mano: “Commilitoni…. ECCO LA CORONA DEL RE!”
Aveva intrecciato dei rovi e ne aveva fatto una corona che pose sulla testa del Nazzareno il quale non poté fare a meno di rantolare. Non diceva una parola, non diceva niente.
“Basta ora! Mettetegli i suoi abiti e legatelo al palo!” disse il centurione, Longino, a cui era stato ordinato di sovrintendere l’applicazione delle sentenze.
I legionari legarono una pesante trave ai polsi di Gesù e gliela caricarono sulle spalle per poi metterlo per strada.
Fecero uscire altri  due uomini accanto a lui, ladri e assassini condannati, come Barabba, alla crocifissione. Legarono la trave anche su di loro, ma non erano stati torturati né picchiati o frustati e la loro testa non era lacerata da spine e bastonate, perciò fu più facile per loro sostenere il peso della croce.
Uscirono per la strada, c’era tutta Gerusalemme radunata a guardare il Nazzareno condotto al colle del Teschio.
Caifa e alcuni sacerdoti si presentarono all’ingresso del tribunale per verificare che Pilato avesse compiuto tutta la burocrazia necessaria.
“Ancora voi…? COSA VOLETE ANCORA?” gridò il procuratore.
“Solo ringraziarti, illustre Pilato, per aver fatto giustizia” disse Caifa con un leggero inchino.
“Siete stati voi… voi avete fatto tutto questo!”
In quel momento uno dei servi di Pilato passò vicino a Caifa che lo fermò per vedere cosa teneva in mano.
“Lascialo andare- disse Pilato- deve portare al centurione Longino i cartelli da apporre sulle croci!”
Caifa guardò uno dei cartelli; scritto in latino, greco ed ebraico;

Gesù Nazzareno, re dei Giudei

“Procuratore… questo non è opportuno. Dovrebbe essere scritto: che diceva di essere il re dei Giudei!” disse Caifa.
“Quello che ho scritto ho scritto…. e ora fuori!”
Il servo corse verso Longino per arrivare in tempo dal centurione.

Caifa si stava dirigendo al Tempio con i suoi collaboratori quando fu raggiunto da un uomo che gli si parò davanti. Il Sommo Sacerdote fu lieto di fermare le sue guardie e salutò cortesemente quel tipo dall’aria sconvolta e disperata che teneva in mano un sacchetto di pelle di capra.
“Non avevate detto che lo avreste…”
“Cosa ti aspettavi?- chiese Caifa- non potevamo di certo rinchiuderlo per sempre. Doveva tacere e grazie a te lo abbiamo preso senza problemi e disordini lontano dalle folle che lo sostenevano. Il tuo aiuto è stato prezioso Iscariota e sei stato lautamente pagato per questo.”
“Non avevate detto che sarebbe stato ucciso…. non avevate detto che sareste arrivati a tanto… perché la Legge… la Legge non lo permetteva… serpi… assassini…”
“Attento a ciò che dici Iscariota!”
“Cosa potresti farmi Sommo Sacerdote? Per causa tua e di chi ti sta dietro ho tradito il mio Maestro! L’ho mandato a morire… per questo… per questi trenta denari…”
“Se ora hai dei rimorsi… questo non ci riguarda! Tieni il tuo denaro e vai per la tua strada!” disse Caifa muovendo un passo avanti.
Giuda Iscariota gettò il sacchetto con il denaro ai piedi di Caifa e corse via piangendo e gridando: “RIPRENDITI TUTTO SATANA… E VOI DEL TEMPIO TENETEVI TUTTO! IL DENARO E IL MESSIA! VI SIETE PRESI TUTTO!”
Uno dei servi del Sommo Sacerdote raccolse il sacchetto e lo aprì; i denari, le monete d’argento, c’erano tutti.
“Non riportarlo al Tempio- disse Caifa- questo denaro è sporco di sangue e non possiamo riprenderlo nel Tempio. Prendilo tu e usalo per comprare, a nome del Sinedrio, il Campo del Vasaio, così avremo finalmente un posto dove seppellire gli stranieri.”
Detto questo Caifa andò verso il Tempio e Giuda Iscariota fuori dalle mura, dove si impiccò.

“È inutile, non può farcela- disse Longino guardandosi intorno, vide un uomo alto e apparentemente robusto tra la folla e ordinò ai legionari di portarglielo, mentre altri due tagliavano le corde e toglievano la trave al Nazzareno che era già caduto diverse volte- porta la sua trave… lui non può più riuscirci.”
Quel uomo, un certo Simone, all’inizio si lamentò un po’ ma prese la trave e la portò per il Nazzareno, mentre una donna gli asciugava il viso ed egli le sussurrava qualcosa.
Continuarono la camminata fino al colle del Cranio, che i Giudei chiamavano Golgota. Era una zona piena di sepolcri e lì vicino Giuseppe d’Arimatea ne aveva già acquistato uno.
“Mio re- sussurrò Belfagor a Lucifero che si muoveva in forma di uomo con abito rosso e folti capelli neri- sta per morire quindi?”
“E la sua predicazione finirà… come il suo messaggio. Il mio regno è salvo ormai.”
“Perché lo segui ancora?”
“Perché il mio trionfo sarà completo solo dopo che l’avrò visto morire” disse il Diavolo camuffato mentre saliva il colle.

Non si può negare che fu un sollievo togliere quel peso dalle spalle… ma il pensiero a ciò che questo comportava era a dir poco raggelante.
Uno dei legionari si avvicinò al Nazzareno e gli porse una spugna. Dopo averla assaggiata si ritrasse rifiutando la bevanda.
“Credimi- disse il soldato- è molto più facile farlo da ubriaco.”
Non rispose niente e non bevve.
I soldati gli tolsero gli abiti e la bella tunica, cucita in modo da essere un solo pezzo e lo fecero stendere a terra, con le mani stese sulla grossa trave.
I ladroni stavano urlando a squarciagola, seguendo il terribile suono dei martelli che battevano sul freddo ferro.
Lui guardò il cielo, si stava oscurando.
Colpo.
Urlò, per quello che era possibile. Un fuoco terribile si sparse dal polso, sulla mano e in tutto il braccio sinistro.
Colpo.
Gridò più forte. Il fuoco si spargeva, potente e veloce come una folgore.
“P… p… Padre… perdonali…. perché non sanno… quello che fanno!” disse mentre veniva issato sul palo piantato in mezzo al Cranio. I due ladroni erano già stati appesi e inchiodati ai suoi lati.
Colpo.
Non lo aveva visto. Come delle fauci di una terribile bestia che gli azzannava le gambe e non poteva più muoverle, ma questo attenuò il dolore sulle braccia e gli rese più facile respirare.

Giovanni, Maria e altre donne che avevano seguito il Maestro dalla Galilea piangevano a vederlo, mentre i soldati piazzavano il cartello sulla croce e si toglievano lasciando ammirare a tutta Gerusalemme, dalle mura alla piana fuori di esse, il più terribile spettacolo che si potesse vedere al mondo.
“Lui lo aveva detto- disse Giovanni- ha detto che sarebbe andato dove non potevamo seguirlo. Ci aveva detto tutto e non lo abbiamo capito… come aveva predetto.”
Un uomo vestito di rosso lì vicino ebbe un fremito a sentire queste parole… “Lui lo aveva detto?” pensò.
“Voglio andare da lui- disse Maria- voglio andare da lui….”
Avanzarono e incontrarono il dottore della Legge Giuseppe d’Arimatea che aveva cercato di difendere il Nazzareno.
Quando furono vicini alle croci fu lui a convincere il centurione Longino a lasciar passare Maria, in quanto madre di Gesù.

“Guardate- gridò il dottore della Legge Amos- ha salvato altri… ora salvi sé stesso!”
“Sì, venga Elia a salvarlo!” disse qualcun altro. Coloro che lo avevano ucciso ora lo deridevano.

Giuseppe d’Arimatea osservò i soldati che si dividevano i vestiti dei condannati. Uno dei legionari sollevò quella che riconobbe essere la tunica di Gesù.
“Questa è davvero bella- disse il legionario- ma è cucita di un solo pezzo, sarebbe uno spreco spezzarla.”
“Bisognerà farla lavare però… sì è un buon abito” disse un altro legionario.
“Giochiamocela commilitoni! Tiriamo i dadi e chi fa il colpo più alto la vince!”
I soldati furono d’accordo con quella proposta e iniziarono a tirare i dadi sulla tunica stesa a terra.
“Ecco- pensò Giuseppe- le Scritture si compiono, come sta scritto: Si son divise le mie vesti e sulla mia tunica hanno tirato a sorte.”
Intanto il Maestro, morente, fissò sua madre e Giovanni, poi disse: “Donna… ecco tuo figlio…”
Poi guardò Giovanni e gli disse: “Uomo… ecco tua madre.”
Da quel giorno Giovanni si prese cura di sua Maria e la protesse come sua madre.

La folla stava cominciando a disperdersi… sapevano che ci sarebbe voluto moltissimo prima che i condannati morissero per quell’agonia.
Uno dei due ladri, messo accanto a Gesù, iniziò ad insultarlo.
“Non… non… non sei tu il Messia? E allora scendi dalla croce… salva te stesso e noi!” gli disse.
“Stai zitto… STAI ZITTO!- gridò l’altro ladro crocifisso dall’altra parte- Non hai timore di Dio nemmeno adesso? Eppure sei condannato allo stesso supplizio… però noi stiamo subendo questa condanna perché l’abbiamo meritata con le nostre azioni...”
Il ladro guardò Gesù che incontrò il suo sguardo.
“Ma… ma lui non ha fatto niente di male… LUI NON HA FATTO NIENTE PER MERITARE DI MORIRE COSI’” gridò quel condannato facendosi sentire da tutti i presenti, da tutta la folla.
“G.. Gesù… ti prego… ricordati di me… quando entrerai nel tuo Regno…”
“In verità… in verità ti dico… oggi tu sarai con me… in Paradiso” disse Gesù a quel uomo pentito del suo male.

“Non sei un po’ in ritardo?” chiese Lucifero allo Sterminatore, venuto accanto a lui, era invisibile agli uomini, ma non per i suoi fratelli.
“Io sono sempre rimasto al mio posto” disse lo Sterminatore.
“Belle queste nubi scure… sei sempre stato bravo con i temporali.”
“Non è opera sua” disse Michele, venuto accanto allo Sterminatore a guardare la croce.
“Non è di nessuno di noi” disse Raffaele. Erano venuti... erano moltissimi.

Elì… Elì, lamà sabactani…”
“Cosa sta dicendo adesso?” chiese uno dei legionari.
“Chiama Elia!” disse uno dei Giudei poco lontani.
“No! È una preghiera… un salmo- disse Giuseppe d’Arimatea- un salmo che inizia con queste parole, quelle che ha pronunciato e vogliono dire: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”

Non respirava quasi più, era molto indebolito.
“Ho… ho sete…” disse.
Uno dei legionari prese una lunga canna e immerse una spugna nel aceto per avvicinargliela alla bocca. Succhiò la bevanda e poi alzò gli occhi al cielo.
“Padre… nelle tue mani… io metto… tutto il mio spirito.”

“Non è possibile… non può essere questo il suo trionfo… io l’ho fatto uccidere! L’ho fermato!”
“Non la sua parola… non coloro che lo hanno ascoltato…. Non potevi fermare la verità. Fratello mio… ma perché vuoi sempre la sconfitta?” disse lo Sterminatore.

La terra iniziò a tremare e un forte vento iniziò a soffiare, folgori dal cielo. Gesù lanciò un grido come mai si era udito.
Il velo del Tempio si squarciò.
Ciò che c’era prima era passato e finito.

Gesù abbassò il capo, stremato.
“Tutto è compiuto!”

E spirò.

giovedì 24 marzo 2016

Racconto di Pasqua XX

Non sono responsabile di questo sangue, disse, vedetevela voi!
                                                                                                              Matteo, XXVII, 24

Era fatta; quel Nazzareno era nelle mani di Erode Antipa, legge rispettata e, in caso di disordini, l’Imperatore avrebbe dato la colpa al tetrarca.
All’ora terza, tuttavia, Pilato sentì di nuovo un tumulto fuori dalla sua dimora.
“I Giudei procuratore…. sono tornati e sono più numerosi e agitati” disse un servo quasi con la paura di parlare.
Il centurione di comando aveva già fatto schierare i soldati e mandato segnali alle guarnigioni vicine.
Pilato si ripresentò all’ingresso del tribunale e vide quel Galileo vestito di porpora, ma ancora in catene.
“Il tetrarca Erode- disse Caifa- ha detto di non avere elementi per condannare a morte quest’uomo. Lo rimanda a te…. Dopo avergli fatto indossare degli abiti per scherno!”
Gesù venne di nuovo portato nel tribunale. Era assurdo: cinque giorni prima era stato accolto a Gerusalemme in trionfo e ora quella folla lo voleva morto a tutti i costi. Quei Giudei erano davvero incomprensibili per Pilato.
“Cosa dovrei fare?- chiese il procuratore al Nazzareno incatenato davanti a lui- cosa dovrei fare? Ti rendi conto di cosa ti accusano?..... RISPONDIMI! MA NON LO SAI CHE IO HO IL POTERE DI LIBERARTI O DI METTERTI A MORTE?”
“In verità tu non avresti alcun potere su di me se non ti fosse stato dato dal alto, perciò chi mi ha consegnato ha te ha una colpa più grave.”
“Cosa?.... Che vuoi dire?”
“Che devi fare ciò che devi!”
Quelle furono le ultime parole del Nazzareno rivolte a Pilato il quale non poté farsi dire più niente da lui.
Non voleva condannarlo: non c’erano prove, la legge non lo permetteva, sua moglie lo supplicava perché era certa di essere stata avvertita in sogno dell’innocenza di quel uomo. Ma quei Giudei lo minacciavano, c’era una folla che minacciava di assaltare la sua casa e anche se si fosse difeso e i suoi legionari lo avessero salvato… la collera di Cesare Tiberio Augusto… l’Imperatore lo avrebbe distrutto, un esilio che sarebbe stato peggiore della morte.
D’improvviso un’idea, un’illuminazione. La tradizione delle autorità romane di rilasciare un prigioniero per i Giudei durante la Pasqua.
Ponzio mandò ordini alle guardie del carcere e poi si presentò davanti alla folla dei Giudei, ben più numerosa di prima. Gesù era stato messo al suo fianco.
Quando ci fu abbastanza silenzio Pilato raccolse tutto il suo fiato e parlò: “Mi avete portato questo Gesù perché io lo giudicassi, l’ho fatto e non ho trovato nessuna colpa in lui degna di morte. L’ho mandato dal tetrarca Erode Antipa e anch'egli non ha trovato motivo per condannarlo a morte. Perciò sono arrivato alla conclusione che questo… Gesù… meriti di essere fustigato per i disordini che ha causato, ma dopo lo lascerò libero… perché così vuole la legge!”
“Tu non puoi farlo- disse ad alta voce Caifa- perché il Sinedrio ha già giudicato le sue colpe, lo abbiamo già condannato!”
“A MORTE! A MORTE! A MORTE!” gridava la gente di Gerusalemme mentre i legionari si schieravano con i loro grandi scudi.
“Vi prego- disse Pilato- mi rimetto al vostro giudizio! – fece un cenno e venne introdotto Barabba il taglia gole- voi sapete chi è quest’uomo incatenato davanti a voi! È Barabba, un assassino, un ladro! Giorni fa ha partecipato ad una sommossa e ha ucciso un uomo! Oggi è la Pasqua e come prevede la legge io vi rilascerò un carcerato!”
I membri del Sinedrio borbottarono tra loro.
“DITEMI GIUDEI: VOLETE CHE VI RILASCI BARABBA O GESU’, DETTO IL MESSIA?”
“BARABBA! BARABBA!” gridò la folla istigata dai membri del Sinedrio sparsi tra di essa.
Pilato rimase senza parole. Volevano un assassino? Invece di un innocente? Impossibile.
“Che devo fare allora di Gesù?” chiese il procuratore.
“CROCIFIGGILO!” gridarono i membri del Sinedrio e altri intorno a loro.
“Giudei…. Devo crocifiggere il vostro re?”
“NOI POPOLO DI GIUDA NON ABBIAMO ALTRO RE SE NON CESARE!”
“MA CHE COSA VI HA FATTO DI MALE?”
Silenzio. Un uomo, con un abito rosso e dei folti capelli neri si fece avanti tra la folla e gridò: “PILATO, SE SALVI QUEL NAZZARENO NON SEI AMICO DI CESARE!”
I suoi uomini lo guardarono.
Pilato era davvero in trappola. Fece un cenno ai suoi schiavi che gli portarono un catino e una brocca d’acqua.
“GIUDEI! SE VI CONSEGNO QUESTO GESÙ’ E VE LO FACCIO CROCIFIGGERE, IO NON SONO RESPONSABILE DEL SUO SANGUE! ME NE LAVO LE MANI!”
“IL SUO SANGUE RICADA PURE SU DI NOI E SUI NOSTRI FIGLI! CROCIFIGGILO!”
“Portatelo via!- sussurrò Pilato al suo centurione di comando- fatelo fustigare e dopo… al Cranio. Togliete le catene a quel Barabba!”
I legionari eseguirono gli ordini, Barabba corse via tra la folla che lo acclamava e il Nazzareno fu portato via mentre Pilato continuava a lavarsi freneticamente le mani.
“Io non sono responsabile di questo sangue innocente- continuava a dire- Le mie mani sono pulite… non è su di me questo sangue… non sono responsabile…”
Lo guardò, lo fissò negli occhi un’ultima volta… prima che sparisse dietro le porte del tribunale.
“Il tuo sangue non è sulle mie mani... non sulle mie mani… non sono stato io… non sono responsabile… non sono responsabile….”

L’Impero, Roma, Cesare… Pilato… non era responsabile.

Racconto di Pasqua XIX

Poi, messolo in catene, lo condussero e lo consegnarono al governatore Pilato.
                                                                                                                             Matteo, XXVII, 2

Claudia si svegliò urlando.
“Che succede?” le chiese Ponzio Pilato.
“Quel uomo… quel uomo… lo sogno tutte le notti… quel uomo…”
Pilato non sapeva più cosa fare; ormai erano diversi giorni che sua moglie sognava un uomo misterioso tormentato e torturato… qualcosa che non le dava pace.
Si stavano ancora alzando quando uno dei servitori bussò alla porta della loro camera da letto.
“Procuratore- disse il servo- Caifa è alla porta del tribunale, chiede di parlarti con tutto il Sinedrio!”
“Ma è appena l’alba… cosa vogliono quei cenciosi adesso?”
“Procuratore… dovresti venire alle porte…”
“Cosa…? Ah, sì… sì….” a Pasqua i Giudei non possono entrare in casa di uno straniero per non diventare impuri. Pilato diede un bacio a sua moglie e corse a farsi mettere la prima toga che trovò. In tutta fretta il procuratore raggiunse le sue guardie che presidiavano l’ingresso e fu particolarmente preoccupato nel vedere la folla rabbiosa che si era radunata davanti alla sua procura. Riconobbe il Sommo Sacerdote Caifa e i suoi collaboratori, accanto ad essi un uomo incatenato e sanguinante. Era stato picchiato selvaggiamente.
“Saluto, a nome di Roma e di Cesare, il Sommo Sacerdote e gli illustri membri del Sinedrio” disse Pilato mantenendo la cortesia più formale possibile.
“Ti ringrazio e ricambio i saluti a te, procuratore Pilato e a Roma e a Cesare” rispose Caifa allo stesso modo.
“Posso, rispettosamente chiederti, cosa ti porta qui alle soglie della mia domus, nobile Caifa?”
Il Sommo Sacerdote strattonò l’uomo sanguinante in modo che Pilato potesse vederlo in faccia.
“Costui è Gesù di Nazareth. Ha commesso diversi crimini per cui merita di essere condannato!” disse Caifa ottenendo un grande grido di approvazione dagli altri uomini radunati con lui.
“Perché lo portate qui da me? Giudicatelo e punitelo secondo le vostre leggi!” disse Pilato tremando all’idea di essere trascinato in un’altra disputa dei Giudei.
“Nobile procuratore, noi abbiamo giudicato quest’uomo non solo perché bestemmia contro il Tempio, ma anche perché da diverso tempo sobilla il popolo contro Roma e proibisce che si paghino i tributi dovuti a Cesare. Per questi crimini egli è nemico sia di Giuda che di Roma e il Sinedrio lo ha condannato a morte! Lo abbiamo portato da te perché sappiamo che, l’applicazione di tali sentenze, è prerogativa dei funzionari di Cesare, come prevede la Pax Romana.
Caifa non aveva torto e Pilato non poteva ignorare simili accuse. Inoltre aveva sentito parlare di quel Gesù e decise di esaminarlo.
“Molto bene- disse Pilato- lo prendo in custodia per esaminarlo al fine di darvi una chiara e tempestiva risposta!”
“Grazie illustre Pilato… noi aspetteremo con pazienza il tuo giudizio!” quella era la più terribile minaccia che un uomo come Pilato potesse temere di ricevere.
Poco dopo quel Gesù gli fu portato davanti, aveva ordinato che gli venisse per lo meno pulito il sangue… ora il suo volto era visibile. Rimaneva comunque legato e vestito di stracci lacerati, eppure era alto e dritto, al procuratore diede l’impressione di essere un uomo particolarmente forte.
“Dicono che tu sia il re dei Giudei. È così? Sei re?” chiese Pilato.
“Tu lo dici” rispose Gesù.
Pilato sapeva che quella era un’espressione di conferma.
“Re dei Giudei?”
“Il mio regno non è di questo mondo, altrimenti le mie guardie avrebbero combattuto per non farmi arrestare. Ciò non è accaduto perché il mio regno non è di questo mondo.”
Un legionario si fece avanti, Pilato lo conosceva bene; si chiamava Pullone ed era al suo servizio da diversi anni, sapeva addirittura parlare la lingua dei Giudei.
“Chiedo venia procuratore….”
Pilato fece un cenno.
“Io ho visto quest’uomo spesso a Gerusalemme e molti Giudei parlano di lui; non ha un esercito, non ha complici tra le autorità del popolo, non ha nemmeno una casa. È solo un rabbì che vaga per il Paese con dei seguaci insegnando le Scritture alla gente comune.”
“Dicono che proibisce che si paghino le tasse” disse Pilato.
“Anche questo non è vero procuratore. Alcuni giorni fa era in una delle piazze cittadine, un membro del Sinedrio gli ha chiesto se è lecito pagare i tributi a Cesare- Pilato ascoltò con interesse- lui si è fatto dare un sesterzio, lo ha esaminato e ha chiesto di chi erano il volto e il nome riprodotto su di esso. Ovviamente gli hanno detto che erano del Princeps Cesare Tiberio Augusto e lui ha risposto: Date dunque a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. Molti suoi amici sono pubblicani e lui raccomanda loro di fare il loro dovere senza prendere dalla gente più di quanto dovuto.”
Dopo questo discorso di Pullone il procuratore fu ancora più amareggiato.
Un uomo del popolo, di cui il Sinedrio aveva paura e contro cui erano disposti a costruire prove false, che i sostenitori di quel Gesù avrebbero contestato, facendo rischiare un’ondata di caos nella provincia…. e quindi l’ira dell’Imperatore.
Pilato tornò a guardare quel uomo. Era innocente, al massimo lo si poteva rimproverare di aver insultato il Sinedrio… ma Pilato era un procuratore dell’Impero Romano, non un carnefice.
“Posso sentire molti che diranno molte cose su di te… ma tu? Non hai nulla da dire su ciò di cui ti accusano?”
“Io ho sempre parlato a tutti con semplicità e chiarezza, dicendo sempre la verità. Io sono venuto nel mondo per dare testimonianza della verità. Chiunque è dalla parte della verità ascolta attento la mia voce!”
Pilato gettò a terra tutti i documenti sulla sua scrivania e il calamaio che andò in frantumi… non ne poteva più di quel modo di parlare…. di quell’arroganza.
“LA VERITA’? LA VERITA’? LA VERITA’? …. Da dove vengo io ci sono quasi mille divinità adorate in tutto il Paese, molti adorano gli spiriti dei loro antenati…. altri adorano l’Imperatore e venerano il divus Augustus e il divus Julius che nacquero uomini… in Grecia, dove vivrebbero molti di questi dei, molti dicono che non c’è altra realtà oltre la logica…. Ho conosciuto un Persiano che mi disse che solo il Nulla è la verità e bisogna cercare di ottenerlo per uscire dall’abisso della vita che è una prigione per l’anima, ma altri Persiani venerano il Fuoco e dicono che solo loro sono nel giusto ma che il culto può passare solo di padre in figlio…. e voi Giudei con il vostro Dio unico…. e i Germani con i loro spiriti…. e altri…. con dei, re, logiche, scienze, congiure…. tutti a dire la verità….. la verità….. la verità….. LA VERITA’! MA COS’E’? COS’E’?....”
Pilato guardò Gesù e glielo chiese ansimando: “Che cos’è la verità?”
Il Nazzareno non gli rispose, ma lo fece un’altra persona.
“Ponzio…” era Claudia, entrata nello studio del suo sposo che subito ordinò che fosse portato via l’imputato.
“Cosa ci fai qui?”
“È lui!”
“Ma di cosa parli?”
“L’uomo che compare nei miei sogni… è lui…”
“Ma che dici? Claudia vai a riposare….”
“Non fargli del male! Ti prego è innocente…. Non merita di morire…. Non merita alcun male!”
Una serva trascinò via Claudia mentre Pilato rimaneva bloccato a pensare….
Insomma c’era una legge da rispettare: sia a Roma che a Gerusalemme quel uomo non aveva prove sufficienti per una condanna a morte.
Pilato si ritrovò davanti al popolo di Gerusalemme, si fece coraggio e disse: “Mi avete portato quest’uomo perché lo esaminassi, l’ho fatto e non ho trovato in lui nessun motivo di condanna a morte. Lo farò flagellare per i disordini che ha causato, ma poi lo rimetterò in libertà, come prevede la legge!”
“Ma cosa dici?- gridò Caifa sostenuto dalla rabbia del Sinedrio- Sono tre anni ormai che quel Galileo porta scompiglio con i suoi insegnamenti in tutto il Paese…”
“Un momento- disse Pilato cogliendo una possibile via di fuga- nobile Caifa…. hai detto che costui è un Galileo?”
“Sì…. è così.”
“E allora perché lo avete portato da me? Quest’uomo, come tutti i Galilei, è un suddito del tetrarca Erode Antipa e quindi sottoposto alla sua giurisdizione!”
“Ma è qui a Gerusalemme che si è proclamato re!”
“Non ha importanza! Solo il tetrarca ha il diritto di emanare una sentenza nei suoi riguardi. Portatelo da Erode Antipa, che per vostra fortuna si trova proprio qui a Gerusalemme in occasione della Pasqua!”

I Giudei ripresero il Galileo e lo portarono dal tetrarca, mentre Pilato pensava che forse l’Imperatore non avrebbe avuto motivi di rancore nei suoi riguardi almeno per quell'occasione.

martedì 22 marzo 2016

Il codice Pinturicchio

ritrasse sopra la porta di una camera la signora Giulia Farnese per il volto di una Nostra Donna e, nel medesimo quadro la testa d’esso papa Alessandro che l’adora.

Con queste parole Giorgio Vasari, grande storico dell'arte rinascimentale e dei suoi protagonisti, descrive qualcosa che per secoli ha fatto pensare ad un errore, ad una maledicenza o addirittura ad una pura e semplice menzogna in cui il Vasari era caduto. E invece....
Nel 1940 Giovanni Incisa della Rocchetta, figlio della principessa Eleonora Chigi Albani della Rovere, grande studioso d'arte e discendente di quella famiglia che aveva collezionato e commissionato opere d'arte straordinarie, era il solo in grado di riconoscere un pezzo unico, un ritratto relegato nella villa di una nobildonna mantovana che ha da raccontare una storia, anzi un mistero durato quasi cinque secoli.
Nella sua opera Vite, il Vasari parla di un ritratto che Sua Santità Papa Alessandro VI, al secolo Sua Eminenza Rodrigo Cardinal Borgia, avrebbe commissionato al famoso pittore Pinturicchio (nome d'arte di Bernardino di Betto) in cui si sarebbe vista Giulia Farnese, amante del Papa Alessandro VI, nelle vesti della Madonna, con un Bambin Gesù benedicente in braccio e il Papa adorante, nell'anno domini 1492. Questo ritratto, secondo il Vasari, era collocato negli appartamenti papali. Il problema era che di tale opera non si trovava alcuna traccia, anche se il Vasari si era basato su documenti ufficiali che attestavano quest'incarico svolto dal Pinturicchio in quanto pittore della Corte Vaticana sotto cinque Pontefici. Ma se tutti i documenti parlavano chiaro.... dov'era l'affresco del Papa Alessandro adorante Giulia Farnese?
Se lo chiese anche il duca di Mantova Francesco IV Gonzaga, grande nemico dei Farnese che, per umiliarli, fece riprodurre quel affresco di cui parlava il Vasari con Giulia Farnese vergognosamente riprodotta come la Madonna e il Papa tanto biasimato ad adorarla. Ciò sembra sia stato possibile grazie al pittore Pietro Facchetti che, con il sostegno del suo mandante, il duca Gonzaga, si introdusse nel Palazzo Apostolico, corrompendo alcune guardie e servitori, e si fece svelare l'affresco, prudentemente coperto, per poter così realizzare la copia tanto desiderata dal duca Francesco per screditare i Farnese.
Il mistero divenne ancora più fitto quando, nel 1655, il Sommo Pontefice Alessandro VII, al secolo Sua Eminenza Fabio Cardinal Chigi, decise di ripulire la Chiesa dalle nefandezze di Papa Alessandro VII e così fece staccare e frammentare l'affresco. Così il Bambin Gesù delle Mani scompare, finché lo studioso di arte, discendente dei nobili Gonzaga, lo riconosce come frammento di un altro ritratto, una Madonna da tempo in possesso della sua famiglia da secoli. Il principe Giovanni Incisa della Rocchetta era quindi in possesso della Giulia Farnese che aveva fatto parte di quel affresco citato dal Vasari senza che se ne trovasse traccia.
Lettor.... questo è stato un mistero per cinque secoli che venne risolto così... con una serie incredibile di coincidenze tra eredità e sapienza. Un'avventura migliore di moltissimi libri e soprattutto vera.

Racconto di Pasqua XVIII

Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se tu sei il Messia, il figlio di Dio.
                                                                                     Luca, XXVI, 63

Quaranta membri sui settanta del Sinedrio, non erano abbastanza per compiere un processo, eppure il Sommo Sacerdote aveva fatto preparare gli atti di quel processo, senza ritegno. Giuseppe d'Arimatea, uno dei dottori della Legge, non lo poteva tollerare ma doveva rimanere per forza in quella sala e sperare che un briciolo di criterio entrasse nei cuori dei suoi colleghi.
Improvvisamente il Sommo Sacerdote si alzò e invocò il silenzio dell'assemblea. Il Sinedrio, il consiglio a cui era affidata la guida del popolo di Giuda, osservò quel Nazzareno che veniva introdotto legato e sanguinante. Lo avevano picchiato.

Nel cortile Pietro si era seduto vicino ad un fuoco, i servi dei membri del Sinedrio si stavano riscaldando e lamentando moltissimo. Era quasi l'alba, l'alba della Pasqua, bisognava festeggiare invece di rimanere in piedi e correre tutta la notte. Per chi poi? Per quel rabbì dalla Galilea? Ma chi era quel uomo per far sgobbare tanta gente?
Una serva stava passando con del vino (Anna, il suocero del Sommo Sacerdote Caifa, voleva che quei servitori fossero mantienuti calmi). Quella donna servì una piccola coppa ad un uomo accanto a Pietro e lo guardò, illuminato dal fuoco.
"Ma io ti conosco- disse- eri uno di quelli che seguivano il Nazzareno."
Pietro fu colto dall'angoscia; se lo avessero scoperto avrebbero anche potuto arrestarlo, o peggio.
"Ti sbagli... non so di cosa parli" disse Pietro.

Un membro del Sinedrio indicò Gesù e disse: "Quest'uomo, Gesù di Nazaret, è accusato di aver sobillato il popolo contro il Sinedrio, di aver insegnato bestemmie, violato il sabato e compiuto diverse violazioni della Legge."
"I testimoni di questo?" chiese il Sommo Sacerdote Caifa.
Furono introdotti alcuni uomini, Giuseppe li conosceva: erano servitori di alcuni suo colleghi membri dell'assemblea.
"Io ho visto quest'uomo, questo Gesù, mangiare insieme ad un pubblicano di nome Zaccheo, a Gerico. Un noto pubblico peccatore" disse uno di essi.
"Io l'ho sentito dire che bisogna fare una grande rivolta contro i Romani per fondare un nuovo regno di cui lui sarà re" disse un altro.
Dopo altri interventi simili, un altro testimone disse di averlo sentito dire che bisogna pagare il tributo a Roma senza discutere.
"Membri del Sinedrio- disse Giuseppe d'Arimatea- poco fa abbiamo udito qualcun altro dire che il Nazzareno avrebbe incoraggiato una rivolta contro Roma. Questa è una contraddizione molto grave che rende dubbie tali testimonianze!"
"Lasciamo che i testimoni concludano..."
"Che cosa? Io fino ad ora ho visto solo servi di quest'assemblea e dipendenti del Tempio che sono venuti qui a dire cose senza fondamento e molto contraddittorie tra loro! E dov'è il resto del Sinedrio? Sommo Sacerdote non è ammissibile ciò che sta accadendo qui!"
Caifa si alzò e guardò Giuseppe negli occhi, era pieno di collera; "L'imputato avrà presto modo di controbattere, fino ad allora ascolteremo tutto ciò che i testimoni hanno da riferire per sapere esattamente per cosa esso deve essere condannato!"
Fino ad allora Giuseppe aveva sperato che il verdetto di quel processo non fosse ancora scritto.

Un altro dei servi si avvicinò a Pietro e gli disse: "Ma sì, anche io ti ho visto vicino a lui quando è entrato in città!"
"Ti sbagli, io non lo conosco!" disse Pietro alzandosi e sentendo il bisogno di scappare.

"Costui- disse il dottore della Legge Amos- da anni viaggia per tutto il Paese: in Galilea, in Giudea, in Samaria, convincendo la gente a dare via ciò che possiedono per sfamare gli straccioni e a vivere essi stessi come straccioni al suo seguito."
"Non possiamo di certo condannarlo a morte per questo" borbottò un collega di Giuseppe vicino a lui.
"È un uomo buono! Ha guarito moltissimi e fatto cose prodigiose... è un uomo di Dio" gli rispose un collega a bassa voce.
"Per questo è pericoloso e il Sinedrio lo teme. Teme l'influenza che ha sulla nostra gente."
Quel dialogo svelò a Giuseppe tutto il disegno.
"Questo Gesù annuncia un Regno nuovo e proclama una nuova Legge. Ma noi siamo i figli si Israele! Noi abbiamo già la Legge... la Legge che Dio ci ha donato attraverso il profeta Mosè!" declamò Amos.
"Costui dunque.... parla contro la Legge?" chiese Caifa.
"Peggio! Parla contro il Tempio!" rispose Amos.
Caifa guardò Gesù e gli domandò: "Nazzareno... non hai nulla da dire contro coloro che ti accusano?"
"Io ho sempre parlato a tutti con semplicità e chiarezza, nelle sinagoghe e nel Tempio dove tutti ci riuniamo. Ma perché mi chiedi di dare testimonianza di me stesso? Interroga coloro che mi hanno ascoltato! Ti diranno loro cosa ho detto!"
"Ma come ti permetti di parlare così al Sommo Sacerdote?" disse uno dei servi che schiaffeggò Gesù.
"Se ho parlato male, Caifa, dimmi dov'è il male che ho detto. Ma se ho parlato bene, allora dimmi perché mi percuoti" rispose lui sempre guardando Caifa.
In quel momento entrarono altri due uomini, i due ultimi testimoni.

Alcuni uomini si avvicinarono a Pietro e insistettero: "Anche tu eri con lui. Ti abbiamo sentito parlare, hai l'accento dei Galilei proprio come coloro che lo seguivano!"
"Ma come ve lo devo dire? MALEDIZIONE.... NO! IO NON CONOSCO QUEL UOMO!"
Detto questo Pietro uscì dal cortile terrorizzato e udì uno dei galli di Caifa cantare al Sole appena sorto. 
Lo aveva fatto... aveva rinnegato il Maestro... proprio come gli aveva predetto. Corse via, senza sapere dove, piangendo.

"Io l'ho sentito- disse uno dei due- proprio lui. Ha indicato il Tempio e ha detto di poterlo distruggere e ricostruire in tre giorni!"
"È la verità, anche io l'ho sentito, ha detto che avrebbe distrutto quel Tempio fatto dagli uomini e in tre giorni ne avrebbe costruito un altro fatto non dalle mani degli uomini" disse l'altro testimone facendo crescere un mormorio molto sinistro tra i membri del Sinedrio.
Caifa allora si alzò in piedi e si avvicinò a Gesù con un volto pieno di collera.
"Questa è una bestemmia terribile da dire... Nazzareno, non hai nulla da ribattere su ciò di cui sei accusato?"
Gesù lo guardò in silenzio.
"Non hai niente da dire?" chiese ancora Caifa.
Stava in silenzio.
"RISPONDI!"
Silenzio.
Caifa sospirò... non era ancora abbastanza.
"Gesù di Nazaret... io ti supplico, per il Dio vivente, affinché tu ci dica se sei davvero il Messia... Rispondi... Sei tu? Sei il Messia? Sei il Figlio di Dio?"
"Tu lo dici- disse Gesù rivolgendosi a Caifa e al Sinedrio- Se ve lo dico voi non mi credete, se vi interrogo su questo voi non sapete rispondermi. Ma in verità io vi dico: d'ora in poi vedrete il Figlio dell'Uomo seduto alla destra della Potenza di Dio, venire sulle nubi del Cielo!"
"Ma allora lo dichiari? Tu Nazzareno dichiari davvero di essere il Messia, Figlio di Dio?" chiese un altro membro del Sinedrio davvero sconcertato.
"Voi lo dite... IO LO SONO!"
Tutti i membri del Sinedrio rimasero come... paralizzati. Persino Giuseppe d'Arimatea era incredulo davanti a ciò che vedeva.
Caifa alzò le braccia al cielo e poi si stracciò la veste sacerdotale, segno dello sconvolgimento per ciò che aveva appena udito.
"Avete.... avete.... avete sentito? AVETE SENTITO? AVETE SENTITO TUTTI? HA BESTEMMIATO! SI È DICHIARATO FIGLIO DI DIO!"
Dopo questo grido del Sommo Sacerdote la stragrande maggioranza del Sinedrio gridò contro Gesù, chiedendone la crocifissione.
"CHE BISOGNO ABBIAMO DI ALTRI TESTIMONI? NOI SIAMO TUTTI TESTIMONI! TUTTI NOI ABBIAMO UDITO LA BESTEMMIA DALLA SUA STESSA BOCCA! CHE VE NE PARE? COSA DITE? COSA DITE DI LUI?"
"A MORTE! A MORTE! A MORTE!" gridarono i dottori della Legge.
"IL SUO CRIMINE È DA PUNIRE CON LA MORTE PER CROCIFISSIONE! PORTIAMOLO DA PILATO!" gridò ancora Caifa.
Così Gesù fu picchiato ancora e trascinato dal procuratore Pilato per essere messo a morte.

lunedì 21 marzo 2016

Persia, Iran... continua la tua storia

Lettor oggi ti ricordo il dì 21, equinozio di primavera, del 1935, quando uno dei più antichi, ricchi, storici, nobili e orgogliosi Paesi del nostro mondo passò dal suo millenario nome di Persia al moderno Iran.
Antichissimo Paese dei Magi, sede del primo impero universale della storia (fondato dalla dinastia Achemenide, discendente dall'eroe mitologico Perseo, uccisore della Medusa e fondatore della città di Argo, dal quale deriverebbe il nome di Persia) e di tanti grandi domini, tra cui quello dei Parti, dei Sassanidi e dei Saffavidi, la Persia ha avuto moltissimo da dare al mondo (non solo lo scacchi e l'uovo di Pasqua) e quando ha preso il nome di Iran ha dimostrato che un'era stava finendo e un'altra iniziando, tra le varie che ha saputo sostenere e portare avanti.
Chissà se avrà ancora qualcosa da offrire o se i figli di Perseo sono tramontati per sempre con il loro nome.
Onore alla Persia e a ciò che ha dato ai nostri antenati, buon Lettor.

Racconto di Pasqua XVII


Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tu volontà!
                                                                                                                                                             Luca, XXII, 42

Il padrone di quella casa si chiamava Daniele ed era un uomo buono, abbastanza ricco da poter vivere in una bella casa con la sua famiglia. Il piano superiore della sua dimora era costituito da un’ampia stanza, con dei lunghi tavoli e un piccolo forno in cui fu possibile cucinare e servire un ampio banchetto.
I Dodici si sedettero in quel tavolo, disponendosi senza un ordine preciso dato che da molto tempo Gesù aveva insegnato che bisogna farsi piccoli per essere davvero grandi.
“Pietro… vorrei che ci raccontassi della prima volta in cui i figli di Israele hanno mangiato la Pasqua” disse Gesù prima che la cena fosse pronta.
Pietro trasse un profondo sospiro e iniziò a raccontare: “Accadde circa milleottocento anni fa. Il nostro popolo, Israele, viveva in Egitto da circa quattrocento anni e dopo secoli di pacifica convivenza gli Egizi li avevano ridotti in schiavitù. Il Signore, impietosito dalla loro condizione, istruì e mandò il profeta Mosè perché comunicasse al Faraone, re d’Egitto, di lasciare che il nostro popolo si recasse nel deserto per adorare il Signore. Ma il cuore del Faraone era duro e non voleva che liberare gli Israeliti, così il Signore mandò nove terribili piaghe sul Paese per costringere il Faraone a liberare Israele e far  capire agli Egizi che solo il Signore è Dio. Il Faraone però si convinse solo dopo la decima di quelle piaghe, la più terribile di tutte; l’angelo del Signore passò per l’Egitto nella forma di un forte vento e sterminò tutti i primogeniti del Paese, sia tra le bestie che tra la gente. Persino il figlio del Faraone morì. Ma non morirono i primogeniti degli Israeliti perché Mosè aveva istruito il nostro popolo: ogni famiglia sacrificò un agnello e ne pose il sangue sulle travi e i lati delle porte, così lo Sterminatore, vedendo il sangue, passò oltre senza toccare un solo primogenito di Israele.”
“Hai detto bene Pietro. L’agnello fu sacrificato, la sua carne mangiata e il suo sangue versato come segno dell’antica alleanza tra Dio e il Suo popolo. Ciò che fu allora dovrà essere compiuto ancora una volta… e ora, amici miei, prima che tutto si compia, laviamoci come prescrive la Legge” disse Gesù prendendo un catino d’acqua e slacciando i sandali a Pietro.
“Signore ma… cosa fai?” chiese Pietro costernato.
“Vi do un esempio di ciò che dovrete fare quando io non sarò più tra voi” disse lui.
“Maestro, non posso permettere che tu lavi a me i piedi!” insistette Pietro.
“Se non te li lavo Pietro, non potrai condividere niente con me!”
Il povero pescatore era davvero confuso, sempre con la paura di deludere il suo Maestro.
“Signore… non solo i piedi dunque ma tutto fin sopra la testa!”
“Pietro… se ti lavassi tutto non avresti più alcun bisogno di me. Per ora io laverò solo i tuoi piedi, il resto starà a tutti voi.”
Pietro immerse i piedi nel catino e Gesù iniziò a lavarglieli nella maniera che prevedeva la tradizione.
“Perdonami Maestro… il fatto è che io sono il tuo servo e….”
“Non esiste servo più grande del suo padrone e non c’è allievo più grande del suo maestro. Ma voi non siete solo servi per me; un servo non conosce i segreti del padrone. Io vi chiamo amici miei, perché questo è ciò che siete: io vi ho rivelato tutto di me, io vi ho insegnato i miei segreti nella maniera che potevate comprendere e questo lo fanno solo gli amici tra loro” mentre diceva questo, Pietro si rialzava per asciugarsi i piedi e Gesù guardò Giacomo per poi indicargli il catino.
“Signore… anche a me?” chiese Giacomo.
“A tutti! Amici miei, questa sera io intendo lavare i piedi a tutti voi!” rispose per poi fare come aveva detto.
Quando il cibo fu pronto si disposero nella tavolata e aspettarono che Gesù facesse la preghiera della benedizione. Dopo di essa il Maestro prese un calice e lo riempì con il vino.
“Ho desiderato ardentemente mangiare questa Pasqua con voi amici miei. Prendete questo calice e bevetene tutti, poiché si avvicina la mia passione e io non berrò più il frutto della vite finché non lo farò nel Regno del Padre” disse facendo passare quel calice ad uno ad uno tra gli Apostoli.
Quando il calice fu passato prese del pane e lo spezzò per poi farlo passare tra i suoi discepoli; “Come sapete, nelle Scritture è stato annunciato che presto il Figlio dell’Uomo dovrà essere sacrificato come l’agnello che salvò i primogeniti di Israele nella prima Pasqua. Per lasciarvi un segno tangibile del fatto che io sarò con voi, anche dopo che sarò andato dove non potete seguirmi, io vi dico prendete e mangiate di questo pane. Questo è il mio corpo, offerto in sacrificio per tutti voi.”
Mangiarono, senza comprendere ma fidandosi del loro Maestro. Cenarono e dopo che ebbero finito, Gesù prese di nuovo il calice, lo benedisse insieme al vino che conteneva e disse: “Prendete e bevetene tutti, questo è il calice della Nuova ed Eterna Alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati.” I discepoli bevvero il vino, mentre egli diceva ancora: “Farete questo stesso gesto; mangerete il pane e il vino, mangerete il mio corpo e berrete il mio sangue in memoria di me. Anche dopo che me ne sarò andato, così saprete che sarò sempre con voi.”
Quella sera i Dodici si sentirono vicinissimi a lui, più che mai.
“Ma in verità io vi dico… uno di voi sta per tradirmi!”
Questo sconvolse gli Apostoli che si guardarono l’un l’altro e alcuni di loro chiesero al Maestro: “Sono forse io?”
“La mano di colui che mi tradisce è in questo tavolo con me. Tutto questo è necessario ma… per colui che mi tradisce… sarebbe meglio non essere mai nato!”
Detto questo guardò l’Iscariota negli occhi. Il Maestro sapeva tutto e sapeva anche cosa aveva fatto quel discepolo.
“Ciò che devi fare Giuda… fallo presto!” gli sussurrò. Allora Gesù si alzò, ringraziò il padrone di casa e uscì con gli Apostoli che lo seguivano, mentre Giuda correva dai capi del Sinedrio che avevano già organizzato un gruppo di guardie per arrestare Gesù lontano dalla folla, in un posto isolato, mentre veniva preparato il processo contro di lui.
Mentre procedevano verso il luogo dove Gesù voleva pregare un’ultima volta, fuori dalle mura della città, Pietro si accostò a Gesù e gli disse: “Signore, per te, io sono pronto ad andare anche in carcere, anche a morire se necessario.”
Ci credeva davvero, ma sopravvalutava le sue forze.
“Pietro, in verità io ti dico, che il gallo non canterà prima che tu mi abbia rinnegato tre volte.”
Salirono sul monte degli Ulivi, il Getsemani. Era suo solito andare in quel luogo, in mezzo agli ulivi per pregare, anche prima della cena aveva detto ai suoi discepoli che sarebbe salito sul monte. Era un luogo pacifico e la luna illuminava gli alberi e una grossa pietra bianca sul terreno poco oltre un ulivo molto giovane.
Gli Apostoli rimasero un po’ indietro per lasciargli l’intimità della preghiera.
Era solo, sotto la luce della luna, su quella pietra.
“La mia anima è triste fino a morire…” disse gettandosi sulla pietra. Pianse, preso dall’angoscia e da una terribile paura per ciò che lo aspettava. Sapeva che era il suo compito ed era pronto a farlo, fino alla fine, ma essersi fatto uomo lo aveva anche esposto alle paure del genere umano. Parlò con Dio chiedendogli forza.
“Padre…. tutto è possibile per te… se possibile, che passi questo calice senza che io lo beva…. ma sia fatta la Tua e non la mia volontà.”
Quando ebbe detto questo, io apparvi a lui, mi resi visibile in una forma di uomo per consolarlo. Lui sapeva che per il Figlio sarebbe arrivato questo momento e mi aveva raccomandato di tenermi pronto per quando avesse avuto bisogno di me.
“Signore- gli dissi- abbiamo cominciato insieme tutto questo. Tu hai la forza di portarlo a termine.”
Lui mi guardò: “Sterminatore- mi disse- anche oggi tu assisti al sacrificio dell’agnello per non dover più mietere vittime…”
“Ne manca solo una Signore… Io ebbi la forza di strappare Amenofi a questo mondo, ma tu hai l’amore più grande di tutti! Non esiste amore più grande che dare la vita per i propri amici. Lo hai detto tu, ricordi?”
In quel momento iniziò a sudare sangue che cadde su quel masso ed entrò in esso. Quella pietra è ancora lì, su quel colle, a Gerusalemme e testimonia quando il Figlio di Dio fu più umano che mai, prima di compiere il sacrificio che salvò tutta l’Umanità.
“Arriva- dissi- arriva Giuda con le guardie e i servi del Sinedrio. Ma se tu lo chiedi ora, il Padre manderà dodici legioni di angeli che io guiderò per impedire la tua cattura!”
“Taci! Se facessi questo, come si adempirebbero le Scritture? E loro come sarebbero salvati?” disse lui avviandosi verso gli uomini del Tempio che si erano radunati. Vidi l’ombra di mio fratello Lucifero che aleggiava su di loro. Mi prese una grande rabbia, ma il mio Re mi aveva dato un ordine preciso. Fui di nuovo invisibile ma non lo lasciai. Gli sarei rimasto vicino insieme a molti altri fino alla fine.
L’Iscariota si fece avanti e baciò sulla guancia il suo Maestro per indicarlo ai soldati.
“Giuda… con un bacio, tradisci il Figlio dell’Uomo?” gli chiese Gesù mentre il traditore fuggiva nella notte.
“Siete venuti armati di spade e bastoni come se doveste catturare un brigante? Perché non mi avete preso nei giorni in cui ero con voi nel Tempio e per le strade?” chiese mentre i soldati lo afferravano.
Uno dei Discepoli colpì con la sua spada il servo del Sommo Sacerdote tagliandogli un orecchio.
“BASTA!- gridò Gesù- Perché chi colpisce di spada… perirà di spada!”
Gli Apostoli fuggirono nel buio, le guardie non erano abbastanza per inseguirli tutti e avevano l’ordine di portare subito Gesù presso il Sinedrio per farlo giudicare. Prima che lo incatenassero egli pose la mano sulla ferita del servo del Sommo Sacerdote, che subito fu sanata.
Così lo incatenarono nel nome del Tempio e lo trascinarono via.


domenica 20 marzo 2016

Ovidio, il poeta dell'Amore e della Trasformazione

Lettor oggi è il compleanno di Publio Ovidio Nasone.
Nato nel 43 a.C. da una ricca famiglia di rango equestre, Ovidio viaggió in Grecia, Asia ed Egitto per poi passare un lungo periodo in Sicilia. Quando rientrò a Roma intraprese una modesta carriera politica, dedicandosi di più al lavoro e agli studi in ambito letterario, favorito dal suo rango equestre. Si avvicinò presto al Circolo di Mecenate, il gruppo di artisti, poeti e sapienti che stavano aiutando Augusto a compiere il suo lavoro più importante: restaurare i valori tradizionali del popolo romano precedentemente in crisi per renderlo capace di costruire l'Impero. Presso Mecenate Ovidio conobbe i grandi autori del suo tempo, tra cui il grande Virgilio. 
Ovidio ci ha lasciato grandi opere, tra cui l'Ars Amatoria, Medea e il grandissimo poema delle Metamorfosi in cui Lettor, puoi trovare cose straordinarie e spunti affascinanti.
Dacci un occhio Lettor.

Racconto di Pasqua XVI

Vi dico, se questi tacceranno, grideranno le pietre.
                                                                        Luca, XIX, 40

Quel puledro d'asina era davvero poco stabile disciplinato, eppure con il Maestro fu davvero molto docile.
Avanzavano con calma, anche se sapevano molto bene che la gente si stava radunando per accoglierlo con grande gioia.
"Amici miei... si avvicina il momento" disse il Maestro.
"Cosa vuoi dire Maestro?" chiese Filippo.
"Si avvicina il momento in cui il Figlio dell'Uomo verrà consegnato agli scribi, ai farisei e alle guardie del Tempio per essere ucciso" disse Gesù guardando verso le mura della città.
"Maestro... allora non andiamo!" disse Pietro.
"Pietro... non ragionare come uomo o come Satana. Bisogna fare ciò che è scritto" detto questo partì andando avanti in testa al gruppo fino alla città. In cuor suo però sentiva la tristezza per Gerusalemme e per il fatto che non avrebbero lasciato nemmeno una pietra di essa in piedi.
Immediatamente la gente iniziò ad esultare appena fu riconosciuto il Nazzareno. Gli abitanti di Gerusalemme iniziarono ad agitare dei rami di palma e a gridare "Osanna", che vuol dire Salva.
Gesù osservava quelle persone; uomini, donne, bambini, soprattutto poveri e umili che avevano finalmente capito che le Scritture si erano ormai compiute. 
"Benedetto colui che viene nel nome del Signore" dicevano coloro che incontrava e che gettavano i mantelli davanti a lui per onorare il Re. Sorrise a vederli, perché era venuto nel mondo per salvare loro.
Sapeva che in quel momento i membri del Sinedrio stavano dicendo tra loro: "Noi stiamo qui a perdere tempo, mentre il mondo gli corre dietro." 
Ma non voleva pensarci, voleva pregare il Padre al Tempio, un'ultima volta.
Lui, i Dodici e una grande folla salirono al Tempio, il grande edificio sacro in pietra bianca sembrava brillare di luce propria. La lapide ai piedi della scalinata di Sion avvertiva chiunque non fosse Israelita a non varcare la soglia del Tempio per non essere giustiziato.
Come prevedeva la Legge, Gesù e coloro che lo seguivano, si purificarono e pregarono. Si arrestò nel primo cortile del Tempio. Ciò che vide sembrò rattristarlo e, per la prima volta, i Dodici lo videro stringere i pugni.
"Pietro- disse- perché un buon Israelita dovrebbe venire al Tempio secondo te?"
"Per pregare Maestro. Il Tempio è stato costruito per questo" disse Pietro.
"Dici bene Pietro. Dimmi invece cosa vedi!"
Pietro osservò il cortile interno del Tempio, con i banchi dei banchieri, degli usurai e dei mercanti che commerciavano agnelli, colombe, asini, cavalli e buoi e dei cambia valute che facevano affari d'oro.
"Maestro... questo è il cuore della città, il centro dell'intero Paese e perciò il Sinedrio ospita qui le maggiori attività commerciali.... specie durante i periodi di grande importanza come la Pasqua" disse Pietro.
Gesù afferrò un grosso bastone che qualcuno aveva lasciato nel cortile, si avvicinò ad un recinto di buoi e colpì la recinzione così forte da spezzarla e far scappare gli animali che buttarono a terra i tavoli di alcuni degli usurai.
"AVETE DIMENTICATO COSA DICONO LE SCRITTURE? LA MIA CASA SARÀ CASA DI PREGHIERA! VOI INVECE L'AVETE TRASFORMATA IN UNA SPELONCA DI LADRI!" 
Lo aveva gridato mostrando collera e indignazione, mentre colpiva i tavoli e rovesciava il denaro di quegli usurari e cacciandoli da quel luogo sacro.
Alcuni dei membri del Sinedrio osservarono con grande rabbia quell'azione. Lo vedevano come un affronto alla loro autorità. 
Le guardie non poterono fermare il Maestro perché erano anni che il popolo sperava di vedere quei mercanti e quegli usurai cacciati dal luogo sacro. 
Così Gesù poté pregare nel Tempio per prepararsi alla Pasqua e a ciò che lo aspettava dopo di essa.
"Andiamo- disse ai Dodici- dobbiamo andare alla nostra cena. Fatelo anche voi altri, tutti voi andate a mangiare la Pasqua con coloro che amate. Il Figlio dell'Uomo va dove non lo potete seguire."
Detto questo Gesù e i Dodici si diressero verso la casa che era stata preparata per accogliere la loro Pasqua. Si vedeva il Tempio e la bellezza di Gerusalemme che si stendeva al di sotto del cielo dorato del tramonto.
 

sabato 19 marzo 2016

Racconto di Pasqua XV

e tennero consiglio per fare arrestare Gesù con un inganno per farlo morire.
                                                                                                        Matteo, XXVI, 4

La guerra procedeva e purtroppo erano sempre più coloro che gli davano retta, anche se avevo ancora molti schiavi al mio servizio e decisi che, se non era la mia azione, sarebbero stati gli uomini a fermarlo per me.
Il mio fedele Belfagor si avvicinò a me, sempre con riverenza e timore.
"Il sinodo si raduna" mi disse.
"Quanti sono sotto il mio volere?" gli chiesi.
"Non tutti, ma la maggior parte e anche il Sommo Sacerdote Caifa e il suo influente suocero sono schiavi del tuo sussurro..... sono pronto a salire per indurli a...."
"No- dissi io nella mia ombra apparso alle spalle di Belfagor- salirò io, tu mi accompagnerai ma sarò io a sussurrare."
"Mio re... sei sicuro? Non è prudente da parte...."
"SIAMO IN GUERRA! NON È TEMPO DI PRUDENZA.... QUELL...QUELL... ESSERE, MI STA SFIDANDO E VUOLE DISTRUGGERE IL MIO REGNO... DEVO AGIRE IN FRETTA PRIMA CHE MI SEPPELLISCA!"
Lo avevo gridato con una ferocia tale da far scappare anche alcuni del mio Concilio, il forte Belfagor aveva imparato quando non era il caso di fuggire ma solo di essere prudente.
"Credo che la riunione stia per iniziare...mi permetti di guidarti mio re?" disse Belfagor.
"Andiamo!"
Ci facemmo vento e salimmo fino ad arrivare nel luogo dove i dottori della legge della Giudea si stavano radunando.
Vidi che il Sommo Sacerdote Caifa era seduto sul suo seggio al centro della sala e ascoltava. I dottori della legge continuavano a discutere e ad agitarsi. Mi avvicinai, invisibile e sinuoso, a Caifa e iniziai a sussurrare alla sua mente ogni angoscia.
"È un bestemmiatore- dicevano alcuni dei membri del Sinedrio- i suoi discepoli non si lavano le mani prima di mangiare, fanno dei lavori di sabato e ovunque vada convince dei buoni Israeliti a lasciare la casa, la famiglia e il mestiere per vivere come vagabondi al suo seguito."
"Le violazioni della Legge da lui compiute non sono così gravi da costringerci a prendere dei provvedimenti. Vi sono trasgressori ben più pericolosi di quel Nazzareno" disse uno del Sinedrio che non era piegato a me.
"Lui ha molta più influenza di moltissimi altri- rispose un certo Amos- molti sostengono che sia addirittura il Messia che Israele attende..."
"Ma chi è costui esattamente?" chiese Caifa.
"Sappiamo che è originario di un villaggio in Galilea, Nazaret e per questo viene chiamato Nazzareno. Pare che la sua famiglia abbia l'onore di una linea di discendenza proveniente da re Davide" rispose Un dottore della legge di nome Giovanni.
"È un altro rabbì che, dopo aver studiato le Scritture, impazzisce e crede di essere il Messia...." disse Amos.
"Ma se è un Galileo allora è il tetrarca Erode ad avere giurisdizione su di lui, non il nostro sinedrio che può operare solo su Gerusalemme e sulla terra di Giuda" disse di nuovo quel Giovanni.
"È soprattuto qui in Giudea che causa disordini- disse Caifa che ormai avevo influenzato- e se cercasse di usare la sua influenza per fondare un nuovo regno di cui portare la corona come minimo i Romani non solo lo annienterebbero ma poi toglierebbero al nostro popolo l'ultimo residuo di autonomia che ci hanno lasciato. Per non parlare del fatto che i Parti, grandissimi nemici dei Romani, potrebbero approfittare dei disordini causati dal Nazzareno per invadere il Paese e fare guerra a Cesare e allora finiremmo loro schiavi o peggio..."
"Ma quest'uomo non raduna guardie o spie, non prepara un esercito! Parla delle Scritture, le spiega alla gente comune, insegna a vivere secondo coscienza e nell'amore di Dio. Se non viola la Legge di Mosè non abbiamo motivo di perseguirlo..."
"Ma non hai sentito cosa ha detto il Sommo Sacerdote? Se non lo fermiamo quel Galileo ci porterà alla rovina...."
"BASTA!" gridò il Sommo Sacerdote alzatosi in piedi. Calò un devoto silenzio.
"Attenderemo un momento propizio. È vero che quel Gesù non è nostro suddito ma di Erode Antipa, però avremo il diritto di giudicarlo se avremo motivo di metterlo in catene qui a Gerusalemme. Ogni anno viene qui in città per salire al Tempio durante la Pasqua, anche quest'anno non mancherà di certo di venire per quest'occasione per non deludere i suoi discepoli. Se ne avremo motivo e le nostre preoccupazioni saranno confermate, allora agiremo..."
"Intendete uccidere un uomo giusto?" chiese un altro del Sinedrio.
"Meglio che un uomo solo muoia piuttosto che un intero popolo venga distrutto!" disse Caifa. 
Ridiscesi seguito da Belfagor. Sapevo cosa mi aspettava e volevo essere preparato. Guardai in alto e vidi solo la distanza. Stavo guardando dalla porta dell'Inferno attraverso la mia ombra.
"Mio re.... congratulazioni. I dottori della legge sono pronti ad ucciderlo prima che abbia il tempo di portare troppi fuori dalla tua influenza... sei stato..."
"Non lo vedo" dissi.
"Che cosa?" chiese Belfagor.
"Padre..."
Scesi nel fondo dell'Abisso.

Il buon Luca e il gran Cosimo

Luca degli Albizi, questo è il suo compleanno. La nascita di quest'uomo è avvenuta nel 1382. Quest'uomo apparteneva ad una nobilissima famiglia fiorentina che, ai suoi tempi, ebbe la sfortuna di farsi nemico Cosimo il Vecchio, nonno di Lorenzo il Magnifico che stava prendendo il potere nella Città Fiorita.
Rinaldo degli Albizi, fratello maggiore di Luca, era stato esiliato da Firenze nel 1434, a causa della sua rivalità con il potente Cosimo. Fu così che Luca divenne il pater familias e assunse il comando della sua stirpe sfruttando la sua posizione e la sua conoscenza per stabilire ottimi rapporti con i Medici fino a diventare un membro del consiglio della città e un funzionario molto apprezzato da Cosimo stesso che lo fece suo ambasciatore a presso il Papa, il Granduca di Milano e il Doge. Intraprese anche la carriera notarile e fu il gonfaloniere di giustizia, vale a dire il magistrato con il compito di guidare la milizia fiorentina contro i grandi mercanti e i loro eventuali abusi contro i cittadini.
Un uomo che seppe adattarsi alla sua epoca Lettor.