sabato 5 marzo 2016

Racconto di Pasqua I

Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo.
                                                                                                                             Matteo, IV, 1

Io sono sempre stato il più potente di tutti, tranne che di Lui. Le mie memorie iniziano quando per la prima volta apparvero le sorelle luce e tenebra. Gli chiesi perché aveva fatto anche la tenebra.
“Senza la tenebra non c’è la luce” mi aveva risposto.
Mi diede l’ordine di andare e guidare tutti i miei fratelli nella vastità del creato per portare la luce. A quei tempi io avevo ancora il mio nome, ora non lo ricordo più.
Poi Lui fece quella piccola razza, su quel minuscolo sasso sospeso nell’Abisso, li creò simili a Lui perché dotati della parola e mise loro a fare da testimoni della Creazione. Non lo capivo, ero sempre stato io il portatore di luce, io testimoniavo ciò che era stato creato e ne riportavo la grandezza. Perché mi mise da parte? Non lo so, non l’ho mai capito.
Ad un certo punto decisi che dovevo scuoterlo, riportarlo alla ragione; quelle piccole bestie inclini al peccato, distraibili, delicate e ingrate contro il Creatore non potevano assumere un ruolo tanto onorevole e grandioso. Era il mio compito e non avrei permesso che coprissero di vergogna il Creatore. Ma fui fermato; molti dei miei fratelli non mi capirono e uno di loro, uno di quelli che siede intorno a Lui, mi colpì con tutta la sua forza mentre ero abbagliato dalla luce del Creatore. Mio fratello Michele mi tagliò le ali e io caddi, ma era il Creatore a determinare dove stavo precipitando. Quando le nubi si ritirarono vidi in basso un grande oceano, ma non era acqua, erano gli universi, il mare della Creazione che si estendeva infinito. Finii proprio in uno di essi, quello degli Uomini, e la mia caduta procedette tra stelle da cui rimasi ustionato, mondi che sbriciolai e le cui schegge si incastonarono sul mio capo e sui miei piedi, passai accanto al grande nucleo di una galassia la cui attrazione mi deformò e poi la vidi lì, davanti a me, dopo nove giorni di quest’agonia; Terra ruotava pacifica nella sua ignoranza e quando mi videro grandi porzioni di terreno fuggirono nel sottosuolo aprendo un varco nell’Abisso infinito. Lì arrivai e continuo a cadere, poiché sono nel punto più basso della Creazione, nel luogo più lontano dalla luce e dall’Amore, nel buio e nel freddo assoluto, anche se in alcuni livelli superiori ci sono ancora le fiamme accese dal mio fuoco che portai qui da quelle stelle dannate. Eppure qui, nel fondo dell’Abisso della mia perenne caduta, io regno incontrastato e quando io e i miei seguaci imparammo a proiettarci fuori sulla superficie del mondo e a sussurrare alla mente e al cuore degli uomini, maschi e femmine che fossero, guadagnai il titolo di Principe del Mondo. Se io cado, gli uomini che furono causa della mia ribellione, cadranno per sempre con me.

Ma poi venne un giorno in cui le mie spie mi riferirono qualcosa; parlavano di un bambino che avrebbe cambiato le sorti del genere umano. Anche i profeti di Israele e di altri popoli avevano annunciato la nascita di un Messia, un Figlio di Dio. Ma questo non era possibile… o almeno lo credevo finché non è apparsa una stella nel cielo che condusse tanti nel piccolo villaggio di Betlemme. Cercai di fermare quella nascita, ma il mio schiavo Erode re di Giudea fu incapace di risolvere quella questione, avevo mandato anche uno dei miei seguaci più abili, mio fratello Belfagor e un messaggero tra me lui, ma furono catturati da uno di quelli che siedono accanto al Trono, l’unico che abbia mai davvero temuto oltre al Creatore. Quel mio fratello è lo Sterminatore e terrorizzò Belfagor tanto che per poco questi non ha cercato di andare più in basso di me. Poi il bambino scomparve e la mia sola preoccupazione fu un uomo di nome Giovanni, sembra che fosse un parente di quel bambino. Pochi lo capivano, ma egli era il più grande uomo che avessi mai conosciuto, lo chiamavano il Battista e le mie spie mi riferivano che era potente in opere e parole. Battezzava coloro che lo ascoltavano nelle acque del fiume Giordano e i miei simili sentivano che il Creatore benediceva ogni sua azione.
Un giorno scese nell’Abisso proprio lui, lo Sterminatore. Era davvero potente; la sua voce era come un fortissimo vento, i suoi occhi neri come il buio puro anche se non tanto quanto il mio abisso, emanava la luce del fulmine ma si copriva con abiti fatti di nubi di tempesta e nessuno può vedere un uragano altrettanto terribile e allo stesso tempo magnifico.
“Fratello” mi disse in saluto.
Era rispettoso, anche se mi avrebbe affrontato volentieri. Durante la mia ribellione il Creatore gli proibì di scendere in campo perché la furia dello Sterminatore è tale che avrebbe distrutto interi universi se fosse stato lui a scagliarmi giù dal cielo.
“Come posso servirti, potente tra i potenti?” gli chiesi. Era giusto mostrargli rispetto da parte mia.
“Lui mi manda a chiederti: Cosa fai?” rispose lo Sterminatore.
“Viaggio per la Terra, poiché essa è il mio regno e sugli uomini esercito il mio potere finché essi mi ascoltano” risposi.
“Hai visto il servo del Signore Giovanni, detto il Battista?”
“Sì… vedo che lui è un uomo potente e nemmeno i miei servi osano avvicinarsi a lui.”
“Oggi il Battista annuncerà la venuta del Salvatore dell’Umanità, di colui che sconfiggerà la morte che tu hai introdotto nel mondo. Egli è il Figlio diletto di Dio in cui l’Altissimo si compiace. Oggi sarà portato nel deserto dove digiunerà per quaranta giorni, in modo da distaccarsi dal mondo e dimostrare a sé stesso di essere oltre il tuo regno che presto annienterà. Disperati Lucifero, il tuo fallimento è completo.”
Detto questo volò fuori fino al cielo azzurro, ma sulla soglia gridò verso il basso: “Porta a quel parassita di Belfagor i miei saluti fratello.”
Coloro che lo videro volare fuori pensarono ad una tempesta all’orizzonte, anche se il vero uragano era quello che stava nascendo nel mio cuore.
Io, come i miei seguaci, posso proiettarmi fuori dal mio abisso, è un po’ come proiettare un’ombra, che posso dirigere, mutare nell’aspetto, rendere più o meno consistente e usarla per incanalare tutte le mie forze e le mie energie. Così io posso uscire e governare il mio regno tra gli uomini.
Quando andai in quel deserto vagai per alcuni giorni prima di vederlo. Mi feci ombra e da una roccia sopra il monte osservai quel piccolo omuncolo. Era piegato sulla sabbia e i sassi, stremato dalla fame del suo digiuno. Stava pregando e io vidi che era vero. Malgrado tutto appartenevo sempre alla stirpe angelica e per me era evidente, come per gli uomini il Sole, che lui non era stato creato come me, ma generato.
La cosa più sorprendente però era che stava davvero in un corpo di uomo; si era sottoposto alle stesse caratteristiche e debolezze degli uomini. Se lo avessi sedotto finalmente avrei dimostrato la mia ragione.
Assunsi le forme di un uomo con un lungo abito rosso, guanti neri su cui erano agganciati dei bracciali d’oro e degli stivali ornati con i segni del mio fuoco. Ero diverso da come gli uomini si abbigliavano a quei tempi e in quella parte del mondo, ma così mostravo la mia forza e magnificenza, forse per rendere più sicuro me, perché quel piccolo uomo era diverso da qualunque cosa avessi mai visto dopo la mia caduta.
Mi fissò.
“Salute a te uomo di Nazaret” gli dissi. Raccolsi un piccolo sasso e glielo lanciai in modo che lo prendesse, lo strinse tra le sue mani e lo fissò.
“Non hai raccolto quella pietra- continuai- l’hai afferrata dopo che io l’ho lanciata. Questo per renderti sicuro del fatto che io non sono un’allucinazione.”
Lui annuì.
“Non voglio insultarti, ma solo renderti certo che io sono davvero qui a parlarti.”
Lui non diceva niente, forse non poteva: le sue labbra erano devastate e il suo volto era bruciato, esposto ad un Sole spietato. Aveva fame, moltissima.
“Hai bisogno di mangiare… uomo di Nazaret. Altrimenti morirai presto di fame qui nel deserto.”
Lui gettò a terra la pietra che gli avevo dato, mi avvicinai e la raccolsi prendendone anche un’altra.
“Ma tu lo sai- dissi ancora con una voce lenta e confortante- che hai un Padre nei Cieli che non permetterebbe mai un simile destino per te.”
Gli feci vedere del morbido pane e una brocca di acqua freschissima davanti ai suoi occhi e tra le mie mani.
“Se sei Figlio di Dio… dì a queste pietre di diventare pane.”
Gli mostrai la fame e tutti coloro che la soffrivano nel mondo. Lui era stato mandato a sfamare l’Umanità con verità, io gli facevo vedere la loro voglia del pane di cui credevano di avere bisogno. Di cui io li avevo resi bisognosi.
Lui osservò il mio pane, il potere nelle sue mani, non mi guardò nemmeno.
“Non di solo pane vivrà l’Uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” mi disse.

Dolore, lo stesso che avevo sentito quando Michele mi aveva tagliato le ali. Lo provai ancora. Scappai.

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