Lettor, 15 marzo, giorno delle idi di questo mese. In questo giorno di moltissimo tempo fa un uomo, unico nel suo genere, tanto da essere definito da alcuni il vertice temporale della razza umana, entrava nella Curia di Pompeo a Roma, quando l'Urbe si stava avviando lungo la strada che ne avrebbe fatto il centro del mondo.
Quel uomo era davvero molto triste per le Guerre Civili che era stato costretto a combattere, pensando che se le avesse evitate avrebbe potuto portare i confini di Roma oltre l'Indo e più a sud dell'Etiopia. Ma aveva intenzione di rimediare a quel disastro in quei giorni, mentre rifletteva sull'idea di fare senatori i compatrioti di Vercingetorige il Gallo.
Durante il cammino dalla sua villa alla Curia di Pompeo, Gaio Giulio incrociò il veggente che gli aveva detto tempo prima: "Guardati dalle Idi di Marzo, Cesare."
"Le Idi di Marzo sono arrivate" gli disse soddisfatto il dittatore perpetuo.
"Sì, ma non sono ancora passate" rispose il veggente allontanandosi.
Così Cesare entrò nella sala del Senato e si pose sul suo seggio osservando il busto di Pompeo Magno, il suo antico avversario, il suo antico maestro, il suo più grande amico, il suo compianto fratello.
I senatori si avvicinarono e già tra loro Bruto e Cassio avevano insidiato il desiderio di tradire l'uomo che stava restituendo la grandezza alla loro civiltà a scapito delle loro ricchezze, malgrado il perdono riservato a tutti gli antichi nemici.
Poi colpirono, uno dopo l'altro i codardi affondarono per ventitré volte i pugnali nelle carni di quel uomo che aveva piegato il mondo per donarlo alla loro gente.
A lui, sul suo volto, sul suo prediletto figlio non di sangue ma di affetto e istruzione, il grande Cesare disse "Anche tu, Bruto, figlio mio...?"
Così fuggirono gli uomini che avevano tradito la Storia e che dalla Storia furono puniti, alcuni, come Bruto e Cassio, si sarebbero uccisi con lo stesso pugnale che avevano trafitto Cesare.
Fuggirono e lo lasciarono solo, nella sala dove, forse senza che nemmeno lui lo comprendesse, si era appena completato il suo trionfo. il suo esempio che avrebbe dato ai suoi successori la forza di consolidare ciò che da Cesare è nato: l'Impero. Il nostro essere e la nostra identità.
Sotto il busto di Pompeo, perdonato di ogni colpa necessaria e certo della sua posizione, il morente dittatore che diede il suo nome alla Storia, alzò il braccio destro verso il cielo e si affidò a chi lo aveva mandato.
"Giove, la mia mano è qui... prendila!"
Detto questo, il grande Cesare, spirò.
Prese il suo posto Lettor, anche per te.
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