mercoledì 16 marzo 2016

Racconto di Pasqua XII

Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni Battista.
                                                                     Matteo, XIV, 8

Belfagor era molto astuto e fu anche fortunato perché Erodìade aveva già in mente da tempo di far morire il Battista perché continuava a dire la verità sulla sua crudeltà, la sua ipocrisia e il suo desiderio di mantenere la ricchezza e il potere anche con i metodi più abbietti. Il demone maestro di inganni sussurrò alla mente della regina, così come aveva fatto tempo prima con il padre di suo marito, per causare la morte di Giovanni.
Il tetrarca Erode temeva Giovanni, perché sapeva che non aveva torto e che forse Dio era davvero dalla sua parte, perciò si era limitato a farlo arrestare, ma presto sarebbe stato costretto a liberarlo. Erodìade sapeva di dover agire in fretta e così fece.
Venne organizzato un banchetto nella casa di Erode in onore del procuratore Pilato, di alcuni patrizi romani, amici dell'Imperatore in viaggio verso l'Egitto e anche alcuni ambasciatori venuti dal Regno dei Parti. Pilato ed Erode Antipa erano vecchi amici e cercavano sempre di mantenere il rispetto reciproco. Tra gli ambasciatori della Partia vi erano anche due nipoti del Gran Re Artabano III, in viaggio per stabilire degli accordi con cui risolvere il conflitto con Roma per l'Armenia.
Mentre ancora mangiavano entrò lei, la giovane Salomè, figlia di Erodìade e di Filippo fratello di Erode. Lei era davvero perfetta, giovane e leggera, ma allo stesso tempo forte e allenata, sicura e con la determinazione più pericolosa che si possa immaginare.
Ad un segnale convenuto i suonatori di flauti e tamburo iniziarono a darle un ritmo, una musica veloce e ritmica che si insediò nella mente di ogni individuo lì presente, mentre Belfagor metteva nella mente di Erode dei pensieri di ossessione.
Salomè iniziò a danzare con velocità, esperienza e con uno sguardo di sfida che rivolse a tutti i presenti, muovendosi per la sala e spargendo il suo profumo di rose mentre Galilei, Armeni, Parti, Egizi, Romani, Greci e Persiani osservavano rapiti l'abilità e il fascino di quella fanciulla che si muoveva sinuosa verso il tetrarca e i suoi commensali. Decisa a conquistare il suo obbiettivo.
Quando la musica cessò e Salomè si alzò fiera inchinandosi, il tetrarca Erode era già in piedi, colto da passione ed entusiasmo e disse ad alta voce: "Quello che vuoi... esprimi un desiderio figliola e io lo esaudirò, fosse anche metà del mio regno, se me lo chiederai sarà tuo! Questo io lo giuro solennemente sul nome mio, di mio padre, dei miei antenati e sulla mia corona. Qualunque cosa tu volgia, figliola mia, io te lo concederò!"
Salomè incontrò lo sguardo della madre, la quale aveva passato diversi giorni a convincerla che far tacere un oppositore era il solo modo per mantenere la loro fortuna e accrescerla.
Belfagor si avvicinò a Salomè e iniziò a sussurrarle di nuovo tutto quello che sua madre le aveva già inculcato.
"Io voglio la testa di Giovanni il Battista, su un grande piatto d'argento!"
Ecco perché il grande piatto che gli antichi usavano per servire tutte le portate ai commensali viene da noi chiamato vassoio, dal greco vasillàs, che vuol dire re, in quanto il re diede quel servizio quel giorno.
Erode impallidì.
"Ma cosa dici? Giovanni è un uomo onesto... un profeta..."
"Che ha più volte detto che la collera di Dio era su di te. Merita solo di morire un uomo che insulta così il suo re. Io ti chiedo la sua testa su un piatto d'argento, questo è il mio desiderio."
Erode guardò Erodìade, capendo che tutta quella macchinazione era stata fatta a dovere. Non voleva, era terrorizzato, ma sapeva che mancare alla sua parola, ad un giuramento così sacro davanti ai rappresentanti dei grandi sovrani del mondo, sarebbe stato il preludio alla sua fine.
"Io so cosa ho promesso- disse il tetrarca Erode- Mardocheo... manda un messaggero a Macheronte. Ordino che Giovanni il Battista venga decapitato e che la sua testa mi sia portata intatta e pulita... Tu Auele, scrivi il decreto e poi fammelo firmare!"
La festa continuò, mentre Auele stendeva il decreto del tetrarca che veniva firmato con apposito sigillo per poi essere consegnato al messaggero che lo portò alla fortezza di Macheronte dove il capitano pianse leggendo che non c'era più niente da fare per aiutare l'uomo migliore che avesse mai incontrato, ma la cui voce non sarebbe mai stata soffocata.
Pilato tornò a Gerusalemme molto in fretta, sempre a cavallo e sempre deciso a tenersi lontano da quel nido di serpi.
"Centurione- disse al suo capo della guardia- da quanto sei qui in Giudea?"
"Tre mesi procuratore!"
"Impara... qui o sei un re, o non sei niente!" disse Pilato.
"Io credo che valga in tutto il mondo procuratore" rispose l'ufficiale.
"Come ti chiami?" chiese il procuratore.
"Longino procuratore, della Legione X Fretense."
"Voglio che tu mi stia più vicino possibile a Gerusalemme" disse Pilato iniziando il viaggio di ritorno a Gerusalemme. Avrebbe mantenuto i buoni rapporti con il tetrarca Erode, ma mantenere l'avvertimento dell'Imperatore si stava dimostrando molto più difficile del previsto.




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