… allora il Signore passerà
oltre la porta e non permetterà allo sterminatore di entrare nella vostra casa
per colpire.
Esodo, XII, 23
Lo Sterminatore passava moltissimo tempo a guardare in basso, verso la
Creazione. Sempre uno sguardo perso, pensieroso. Guardava quel piccolo uomo che
aveva appena parlato con quel Samuele di Cafarnao mentre si avvicinava a
Giovanni il Battista sulle rive del Giordano.
Era davvero un momento molto importante, non solo per gli uomini e per
la Terra, ma per tutto il Creato. Lui che stava andando a ricevere il suo
battesimo.
Lo stava ancora contemplando quando gli si avvicinò Raffaele, uno dei
pochi a conoscere la vera natura dello Sterminatore.
“Che cosa osservi?” gli chiese Raffaele.
“Sto guardando con gioia il momento, ormai vicino, in cui io non
servirò più” disse lo Sterminatore.
“Ognuno di noi ha sempre il suo ruolo, fratello mio. Ma sai benissimo
che nessuno ti ha mai giudicato” commentò Raffaele guardando verso il basso.
“Certo che no! Solo chi ci crea ci può giudicare” rispose il fratello.
“Fratello… ma a che cosa stai pensando?”
“Ai momenti in cui ho dovuto agire.”
“Ogni volta per dei buoni motivi.”
“Sì… comunque sempre con un agire come il mio… ti ricordi quando è
nato il mio nome?”
“Quando tu hai pronunciato la prima volta il tuo ruolo? Il tuo vero
nome è scritto lassù- disse Raffaele indicando il Libro del Creatore- ma sì…
quel giorno lo ricordo davvero bene.”
“Credo sia stata l’unica volta in cui lo visto triste” disse lo
Sterminatore.
“Mi disse vai il giorno in
cui il vecchio Noè e la sua famiglia avevano finito il loro lavoro e quando
scesi…. Quando andai verso quel mondo… sussurrai per la prima volta il mio
ruolo… perché per la prima volta mi era davvero chiaro il motivo della mia
esistenza… Io sono il Diluvio… io sono il castigo e il mio nome è… Sterminio.”
“Chi lo dimenticherebbe.”
“Ma che tu ci creda o no non è quello il mio ricordo più doloroso,
perché quell’Umanità lo meritava.”
“Attento fratello- disse Raffaele- lo hai detto tu che noi non
possiamo giudicare.”
“Ma non so quali colpe potessero avere… i primogeniti dell’Egitto… lo
so che aveva un significato… che aveva uno scopo quella notte… eppure…”
Lo Sterminatore ricordava molto bene quando era stato mandato sul
paese d’Egitto. Volava sotto in forma di un vento nero e freddo, osservando le
porte di tutte le case, osservando se c’era il sangue dei sacrifici posti su di
esse. Purtroppo moltissime non ne avevano e in esse entrava, invisibile e
terribile. Gli bastava fiutare il respiro per capire chi era il maggiore dei
figli in quelle case. I suoi artigli erano come un soffio che prendevano
rapidamente tutti gli anni di quei primogeniti, portandoli via. Li aveva presi
tutti, l’ultimo che afferrò fu il primogenito del Faraone, sembrava il più
innocente… chissà perché? Lo era davvero tra loro ma questo solo pochi, anche
nel Cielo, lo sapevano.
“Perdonami fratello, ma sono venuto a dirti che hai un incarico” disse
di nuovo Raffaele.
“Cosa devo fare?”
“Scendi nell’Abisso… devi avvertire nostro fratello che, dopo il
battesimo, il nostro Re andrà nel deserto e ci rimarrà in ritiro e digiuno per
quaranta giorni.”
“Deve subire una tentazione?”
“Deve dimostrare a Lucifero che il suo regno nel mondo è finito. Per
quei giorni tu starai vicino a loro e impedirai al Diavolo di andare oltre i
suoi limiti...”
“Lui sa bene che se reagissi contro mio fratello quel mondo finirebbe
sbriciolato.”
“Sì… ma se tu non fossi adatto a questo scopo non ti darebbe tale
onore” Raffaele sapeva sempre come ricordare il proprio dovere a ciascuno.
“Secondo te… cosa ne sarà di me quando il Maestro avrà reso inutile il
mio compito?” chiese lo Sterminatore.
“Non ti avrebbe mai creato con un simile destino… sei un re tra noi e
continuerai ad esserlo com’è giusto.”
Lo Sterminatore voleva bene a Raffaele, anche se non era nella sua
natura manifestarlo.
“Digli che sono sempre al Suo servizio.”
Detto questo lo Sterminatore aprì le sue nere ali grandi come una
tempesta e calò giù, diretto al di sotto del mondo.
Solo il Creatore sapeva che lo Sterminatore pronunciava sempre un nome
quando volava, il nome di quella sua vittima che ricordava più di qualsiasi altra:
“Amenofi.”
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