martedì 8 marzo 2016

Racconto di Pasqua IV

Erode aveva fatto arrestare Giovanni e lo aveva fatto incatenare e gettare in prigione per causa di Erodìade, moglie di Filippo suo fratello.
                                               Matteo, XIV, 3

Il tetrarca era seduto sul suo bel seggio, niente a confronto del trono di suo padre Erode il Grande, ma il piccolo Erode Antipa non aveva niente di cui lamentarsi visto il destino dei suoi fratelli e dei loro regni. Essere il re di Galilea e Perea non era affatto qualcosa da rifiutare. Il solo incubo del tetrarca Erode? La collera di Roma.
I Romani con le loro legioni, le loro grandi insegne, le loro macchine, le loro strade e il loro ingegno si stavano ormai espandendo ben oltre le sue regioni e Cesare era stato abbastanza generoso da permettere ad Erode e alla sua famiglia di continuare a regnare quelle terre che, di fatto, ormai appartenevano all’Impero Romano.
Erode non aveva niente di cui lamentarsi nei confronti dei Romani; aveva visitato Roma, conosciuto il grande Augusto in persona e stretto anche una certa amicizia con colui che in quegli anni era Cesare, l’illustrissimo Tiberio. Non aveva parole per descrivere la città più grande e magnifica del mondo, non ne sarebbe mai stato capace, ma più di tutto ricordava lo sguardo di sua cognata Erodìade, moglie di suo fratello Filippo. Maledetto Filippo e la sua fortuna, benedetto quel vino che aveva fatto dimenticare ad entrambi la legge.
La fortuna di Erode Antipa era la sua buona reputazione presso i Romani che gli accordarono più fiducia e stabilità rispetto che a suo fratello Filippo ed Erodìade era abbastanza intelligente da sapere che avrebbe avuto più possibilità di essere una regina con il cognato piuttosto che con il marito.
L’abbandono di Erodìade e la sua fuga nel regno di Erode Antipa aveva suscitato un grande scandalo, ma la forza del tetrarca era stata in grado di sopprimere tutte le voci moraliste, tranne una. Un certo Giovanni, detto il Battista, continuava a condannare aspramente quell’atto adultero che andava contro la Legge di Mosè.
“Dunque?” chiese Erodìade.
“Dunque cosa, amor mio?” chiese il tetrarca.
“Quel Giovanni… continua a definirmi una sgualdrina e a mettere in dubbio il nostro onore. Non vuoi fare niente al riguardo?”
Erode cominciava ad essere veramente esasperato da quella questione. Persino in quel momento, nelle sue stanze, Erodìade aveva radunato i suoi ministri apposta per spingerlo a prendere un provvedimento estremo.
“Luminoso sovrano- disse il ministro Mardocheo, un uomo piuttosto anziano, grasso e con una voce lenta- purtroppo la questione è molto più seria di quanto non si credesse al principio. Questo Giovanni è un predicatore, un uomo che molti definiscono un profeta e sono sempre di più coloro che lo ascoltano, non solo dalla Galilea, ma da tutto il Paese di Israele.”
Si avvicinò un altro dei ministri, un certo Auele, un vecchio calvo che amava coprirsi di collari e anelli d’oro, Erode lo detestava.
“Illustre Erode, il popolo è molto nervoso ultimamente… c’è dello scontento per le nuove tasse, alcuni non sopportano la presenza degli stranieri e non abbiamo di certo bisogno di un pazzo che metta in discussione la tua autorità” disse Auele.
“Forse dovresti andare al Tempio e lasciare qualcuna delle tue collane mio buon tesoriere- disse Erode alzandosi e guardando dalla finestra il suo regno- cosa dovrei fare secondo voi? Ditemelo una volta per tutte! Cosa dovrei fare?”
Erodìade si fece avanti e rispose con forza: “Fallo arrestare e ordina che sia ucciso, amor mio. Così che tutti vedano cosa succede a chi osa mettere in dubbio il nostro onore.”
“Ma, in base alla legge di Mosè, voi avete già rinunciato al vostro onore ripudiando i vostri precedenti matrimoni” disse il nobile Dionisio. Era costui un Greco che Erode Antipa aveva assunto come intermediario e diplomatico tra la sua corte e i Romani e anche per gestire i rapporti diplomatici con i Parti, in poco tempo era diventato uno dei funzionari più fidati del tetrarca.
“Come osa questo straniero?- disse il vecchio Mardocheo- E cosa credi di saperne tu della Legge di Mosè?”
“Di certo non la conosco quanto te, nobile Mardocheo, però so che il Battista non sbaglia nel dire che, in base a tale Legge, molto amata e rispettata dal popolo della Galilea, non è lecito per un uomo prendere per sé la moglie del proprio fratello finché questi è vivo. Inoltre il procuratore Pilato ha mandato notizie da Gerusalemme, sembra che si sia interessato alla questione…”
“Pilato?” chiese Erode terrorizzato all’idea che i Romani potessero agitarsi.
“Sì, illustre tetrarca. Per ora il procuratore comunica che non ritiene di doversi preoccupare, ma se scoppiasse una rivolta, purtroppo ipotesi tutt’altro che improbabile, come il nobile Auele ci ha già esposto, Roma non esiterebbe a prendere i provvedimenti che si dimostrarono necessari con tuo fratello Archelao” quel Dionisio era davvero molto abile a raggiungere gli angoli più oscuri della mente del tetrarca. Augusto stesso aveva fatto rinchiudere suo fratello, l’etnarca di Giudea Archelao, nella lontana e sconosciuta Gallia quando si era dimostrato incapace di reggere il regno affidatogli. Benché Erode Antipa avesse preso parte alla caduta di suo fratello non poteva non provare il terrore di subire lo stesso destino.
“Tutte ragioni in più per mettere a tacere quello scellerato prima che causi ulteriori disordini” disse il ministro Auele.
“Mettere a morte un profeta?- disse Dionisio quasi ridendo- sarebbe proprio ciò che serve per causare la ribellione di tutta la moltitudine che lo segue.”
“Ma quel Giovanni non è affatto un profeta! È solo uno straccione che vaga nel deserto, si dice che mangi locuste e che getti acqua del Giordano addosso ai viandanti facendola passare per un benedizione” esclamò Erodìade con una ferocia evidente anche se trattenuta.
“Profeta o no, ormai sono troppi a crederlo tale e ucciderlo metterebbe solo in pericolo la stabilità del regno e ciò causerebbe l’ira dei Romani, senza alcun dubbio…”
“BASTA!- gridò Erode interrompendo Dionisio- Non voglio più sentire una sola parola… Giovanni il Battista non è un criminale, questo lo devo riconoscere… e se davvero parla a nome di Dio allora non posso rischiare di offendere l’Onnipotente con la sua morte. E Dionisio ha ragione: non devo scatenare disordini, non devo dare motivo ai Romani di dubitare che questa provincia sia pacifica e ordinata. Se facessi uccidere il Battista adesso senza dubbio Cesare avrebbe motivo di sollevarmi dal mio incarico e non ho intenzione di permettere che ciò accada.”
“Ma allora non hai intenzione di difendere il mio onore?” chiese Erodìade.
Il tetrarca la guardò... non poteva, non era capace di scontentarla.
“Poco lontano dai luoghi in cui predica il Battista c’è la fortezza di Macheronte, conosco il capo della sua guarnigione, è un uomo fidato. Gli ordinerò di arrestare il Battista e di rinchiuderlo nel suo castello finché la situazione del popolo non si sarà placata” disse infine Erode accingendosi ad uscire; una battuta di caccia era esattamente ciò di cui aveva bisogno.
“Tutto qui?- chiese Erodìade- vuoi farlo rinchiudere e nient’altro… dopo tutto quello che ha detto su di noi?”
“Esattamente! Sia chiaro che a Giovanni non dovrà mai essere fatto alcun male! Non è un criminale… è un profeta fastidioso, ma pur sempre un profeta” disse il tetrarca Erode Antipa uscendo da quelle stanze di cui ormai non sopportava più il fetore.

La bella Erodìade aveva però un pensiero oscuro che non la lasciava e che nel suo cuore stava già cominciando a prendere una forma molto insidiosa.

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